Sayat Nova – Il colore della melagrana (1968)

Sayat Nova – Il colore della melagrana (Цвет граната, 1968) scritto e diretto dal regista scenografo russo di origine armena Sergej Iosifovič Paradžanov (1924-1990) un intellettuale libertario, un perseguitato dal regime sovietico. L’ineguagliabile capolavoro della cinematografia poetica che rimanda alle avanguardie del ’900 non solo russe. La fusione tra l’arte contemporanea e l’arte antica; oltre all’architettura secolare si vedono affreschi, pitture miniate, bassorilievi, sculture. 

Un susseguirsi di ieratici quadri, metaforici, allegorici, fantastici, dada, mistici surrealisti con conseguenti ambientazioni oniriche che raccontano la biografia di un celebre trovatore itinerante: il poeta musicista multilingue armeno Sayat-Nova (Re del canto) pseudonimo di Harutyun Sayatyan (1712-1795). Una storia che va dall’infanzia alla corte regale, dal ritiro in un convento (dedito alla ricerca interiore) alla morte. Poeta dell’amore universale, di cultura esoterica simbolica sacra tradizionale che ricorda per santità il pittore di icone l’Andrej Rublëv (1360-1430) canonizzato nel 1988. Al quale nel 1966 Andrej Tarkovskij (1932-1986) ha dedicato un film biografico.

Il film di Paradžanov è diviso in otto parti: L’infanzia, La giovinezza, La corte del principe (dove si innamora della zarina), Il monastero, Il sogno, La vecchiaia, L’angelo della morte e La morte. Ogni parte è introdotta da un testo — come nei primi film muti — con frammenti di poesie dello stesso Nova. Ove l’attrice georgiana Sofiko Čiaureli (1937-2008) interpreta sei personaggi diversi, maschili e femminili. Suo è il seno con la conchiglia, metafora, simbolo ermetico: una delle più poetiche immagini che il lungometraggio mostra. Tutto sotto la protezione di santi e cavalieri.

Michelangelo Antonioni del film disse: “…Il colore del melograno di Paradžanov è di una bellezza perfetta. Paradžanov secondo me, è uno dei migliori registi al mondo…”.

Sempre da Wikipedia: “…Il restauro è stato eseguito dalla Film Foundation di Martin Scorsese in collaborazione con la Cineteca di Bologna ed è stato descritto dal critico canadese James Quandt come “…il Santo Graal del cinema”. Martin Scorsese ha ricevuto nel 2014 il premio per il restauro dal Parajanov-Vartanov Institute di Los Angeles…”.

Quadri, dicevo, con sfondi architettonici fissi di interni e esterni di chiese, ruderi, castelli, fortezze. L’architettura antica domina in tutto il film in unione con le scenografie di completamento totalmente innovative. Tra le più simboliche quelle della stanza bianca cubica che si riempie di oggetti e personaggi in una composizione “pittorica” di arte comportamentale cinetica. I personaggi ricordano — non nei costumi che sembrano quelli della tradizione antica armena — bensì nei movimenti ripetitivi e a scatti quasi meccanici, i balletti dell’Abstrakter Tanz o meglio Il Balletto Triadico (Das Triadisches Ballett, 1922) creato del pittore scultore tedesco Oskar Schlemmer (1888-1943) tra i più importanti esponenti del Bauhaus (1919-1933). La macchina da ripresa è centrata e fissa, non vi sono movimenti di camera, lo stile a quadri che si succedono ricorda il primo cinema di Georges Méliès (1861-1938) e l’audio è a volte acronico senza il diretto collegamento alle immagini, slegato dai tempi della scena. Un capolavoro sconosciuto ai più che si può facilmente vedere su YouTube, nell’edizione recentemente restaurata. Nel film c’è molto di Pasolini, Medea (1969) e Edipo re (1967), non so se per i ruoli classici o per via dei personaggi ieratici, dei costumi, uniti ai fondali delle architetture in pietra. 

Un film che ha creato non pochi problemi di censura al regista per via dei sentimenti sovranisti filo-armeni antisovietici e religiosi, simbolicamente espressi già dalle prime scene; molte infatti di contenuto mistico religioso sono state tagliate dalla censura di regime. Io penso per via delle sue idee libertarie fuori dal contesto ideologico materialista del regime, ove domina la plastica del realismo socialista. Da Wikipedia: “…il succo rosso sangue di un melograno sgocciola su un canovaccio creando una macchia la cui forma richiama i confini dell’antica Armenia Maggiore. Successivamente, tintori sollevano matasse di lana da tinozze con i colori della bandiera armena, rossa, blu e gialla…”. “…Nel 1974 il regista viene arrestato con varie accuse, tra cui furto di oggetti d’arte e omosessualità ed è condannato a cinque anni da trascorrere in un campo di riabilitazione… A seguito di una mobilitazione internazionale (capeggiata dal surrealista francese Luis Aragon) Paradžanov viene liberato nel 1977, ma gli viene impedito di girare film. Arrestato nuovamente nel 1982, è rilasciato qualche mese dopo…”.

Ma analizziamo le architetture del film che si vedono poco nella loro interezza, ma costantemente negli scorci e nei particolari. I set sono numerosi siti storici: in Armenia,  il Monastero di Sanahin, il Monastero di Haghpat, la Chiesa di San Giovanni ad Ardvi e il Monastero di Akhtala, tutte architetture medievali nella provincia settentrionale di Lori. Mentre in Georgia, il Monastero di Alaverdi, la campagna che circonda il complesso del Monastero di David Gareja e il complesso di Dzveli Shuamta vicino a Telavi. Le località dell’Azerbaigian includono la Città Vecchia di Baku e laFortezza di Nardaran.

Il Monastero di Sanahin (IX sec.) è un complesso alto medioevale costruito nei secoli da architetti bizantini romani. Il monastero insieme al gemello Monastero di Haghpat (meno antico) non lontano sono divisi da un fiume. ll monastero di Sanahin è dal 2000 Patrimonio UNESCO dell’umanità. È composto da molti edifici chiese e tombe, tra i quali la Cappella di San Gregorio e la Biblioteca che risale al 1062 (nel film si vedono molti libri messi ad asciugare al vento sul tetto o nei prati circostanti). La parte più antica è il sancta sanctorum della Chiesa di Santa Madre di Dio (Surp Astvatsatsin) che risale al 928. Tutto il complesso è costruito in pietra locale, pilastri, colonne, archi, volte. Nel XII sec. nel convento, centro culturale oltre che religioso, fu istituita la scuola di medicina. 

Chiesa di San Giovanni e il Monastero fortificato di Akhtala (XII secolo), ubicati nell’omonimo villaggio, nella valle del fiume Debet, storicamente luogo di saccheggi; l’interno della chiesa, circondata dai resti dal complesso monastico coevo distrutto da un terremoto, è per intero coperto di affreschi risalenti all’epoca della costruzione.

Il Monastero David Gareja (Davit’garejis samonastro komplek’si), è un complesso monastico ortodosso georgiano in parte scavato nella roccia (celle, refettorio) ed in parte edificato, situato nella regione della Cachezia nella Georgia orientale, in una zona semi desertica. Centro culturale oltre che religioso, fu fondato nel VI secolo da David (St. David Garejeli), uno del gruppo di tredici monaci assiri giunti ad evangelizzare il paese. Il complesso fa parte di una rete di monasteri in Georgia tra i quali Udabno, Bertubani e Chichkhituri. I discepoli di Garejeli, Dodo e Luciane, lo ampliarono e fondarono altri due monasteri conosciuti come Dodo’s Rka letteralmente, “il corno di Dodo” e Natlismtsemeli “il Battista”. Il centro monastico si sviluppò ulteriormente sotto la guida del santo georgiano Hilarion l’Iberico del IX secolo. Non si conoscono gli architetti, probabilmente itineranti, che aiutarono i monaci nella costruzione. Il convento era particolarmente frequentato dalle famiglie reali e nobili georgiane. Il monastero nei millenni ha avuto diverse vicissitudini. Con la caduta della monarchia georgiana, subì un lungo periodo di declino e devastazione da parte dell’esercito mongolo (1265). Sopravvisse all’attacco safavide (Islam sunnita) del 1615, quando i monaci furono massacrati e i manoscritti della biblioteca e le importanti opere d’arte religiose distrutte. Fu restaurato dal padre superiore Onopre Machutadze nel 1690. Con i bolscevichi le cose peggiorarono. La Georgia fu annessa all’impero sovietico nel 1921. Logicamente il monastero venne chiuso e rimase disabitato. Negli anni della guerra sovietico-afghana, il territorio del monastero è stato utilizzato come campo di addestramento per l’esercito sovietico. Utilizzo demenziale che inflisse danni al ciclo di affreschi. Nel 1987, un gruppo di studenti georgiani guidati dal giovane scrittore Dato Turashvili ha lanciato una serie di proteste per la salvaguardia del luogo sacro. I monaci sono tornati solo dopo l’indipendenza della Georgia nel 1991. Oggi il complesso monumentale è diventato meta turistica e di pellegrinaggi.

Le riprese in Azerbaigian sono state realizzate nella Città Vecchia di Baku, dal 2000 Patrimonio UNESCO dell’umanità, con: la Torre della Vergine, le Mura Nord della Città, il Palazzo degli Shirvanshakh, l’antico Hammam, la Scuola e il Mercato. 

Inoltre nel film si vede la stupenda Fortezza di Nardaran opera dell’architetto Mahmud ibn Sa’ad (vissuto tra il 13 sec. e il 14 sec.). 

L’Islam ha lasciato in quei territori architetture di grande qualità artistica. Degli architetti del mondo islamico (con le denominazioni di mi’mār, ustād o bannā) conosciamo i nomi. La loro firma si trova solitamente in una particolare zona di una parete dell’opera. Però non sappiamo di che origini fossero, dal momento che era uso sotto la dominazione islamica cambiare i nomi in arabo. Comunque di Mahmud ibn Sa’ad ne possiamo seguire il percorso progettuale. Oltre a Nardaran conosciamo la vecchia moschea Bibi-Heybat (purtroppo demolita dai sovietici nel 1936 e oggi ricostruita) e la moschea Mullah Ahmed proprio nella città vecchia di Baku.

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