Tanto è stato scritto in proposito e diverse sperimentazioni sono in atto nelle città italiane.

Quando ci confrontiamo e riflettiamo sul futuro delle nostre città, è facile seguire le suggestioni di altre geografie, con altri capitali e con altro processo di decision-making.

In Italia, stanno emergendo modelli diversi che poco si pongono la domanda: “quale cultura vogliamo costruire?”

Costruire, co-progettare cultura, significa non solo fare uno sforzo creativo o tecnologico ma di analisi profonda del genius loci che molto spesso è sepolto, ancora acceso, sotto i tanti livelli trendy o opportunistici ai quali di volta in volta le diverse amministrazioni cittadine si aggrappano nel tentativo di fare coincidere vision e mission

Dunque: quale cultura vogliamo (ri)costruire per Torino?

Si chiama Torino Social Impact il sistema attraverso cui la città, intesa come ampia rete di attori profit e non profit, cooperative, imprese e pubblica amministrazione, approccia il tema del modello di governance del welfare cittadino.

Per sperimentare questo nuovo modello open ed eterarchico, il passo fondamentale è stato quello di ri-conoscersi come ecosistema generativo urbano, cioè convergenza di attori che, seppure nella loro diversità, condividono un obiettivo: sperimentare azioni a impatto sociale che possano creare inclusione e sviluppo per la città e con la città.

E la città che agisce come reflexive practitioner, attingendo alle proprie risorse, anche ridotte, tangibili ed intangibili, di competenza e conoscenza ma anche di legacy e di immaginazione implementativa.

Non è modello perfetto né completo ma tentativo di fare insieme non in quanto sistema diretto ma come ecosistema dinamico di conoscenza ed azioni.

Se pensiamo a possibili declinazioni, vedo un modello che si può ampliare ai tanti temi che richiedono oggi generatività ibrida: il riuso degli spazi dismessi, la disponibilità di capitali pazienti e blended, la sperimentazione di servizi innovativi, il design di nuove politiche sperimentali, la creazione di nuova impresa a impatto sociale, l’attivazione della contemporaneità giovanile, il superamento di modelli rigidi di interpretazione delle risorse in quanto classificate e non adattabili…

E se provassimo a partire da ciò che abbiamo e che abbiamo sempre percepito e vissuto come “directed” e lo concepissimo come patrimonio comune, ricco, configurabile, che posa sulle solide basi del genius loci e vola alto sulle innumerevoli possibilità di sviluppo che tempi ibridi come i nostri sono in grado di realizzare?

Torino ha profonda matrice sociale e solido know-how tecnologico: un ecosistema urbano generativo non può che partire da un nuovo modelling che riconosca questo mix unico…

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