Acanto s.m. [dal lat.acanthus, gr. Άκαυϑοϛ ].-

Erba perenne, detta anche branca ursina ( lat.scient. Acanthus mollis), dei luoghi ombrosi del Mediterraneo (qua e là nell’Italia centrale e meridionale), con grandi foglie a rosetta, oblunghe, pennatifide, fiori in lunga spiga, con corolla bianco-rosea; è anche coltivata come pianta ornamentale. […] Istituto della Enciclopedia Italiana- Treccani v.1 p.38

Marco Vitruvio Pollione (80 a.C. circa – 15 a.C. circa), architetto e scrittore romano spiega l’origine, tra storia e leggenda, del capitello corinzio, ed è tratto dal libro IV, I, 9-10, dell’opera: «La prima invenzione di quel capitello ha questa tradizione. Una fanciulla corinzia, già da marito, morì di malattia. Dopo la sepoltura, la sua nutrice raccolse e ordinò in un cestello rotondo tutti quei vasetti e coppe onde la fanciulla si era dilettata in vita, e lo collocò in cima al monumento, coprendoli con una tegola quadrata onde durassero di più così all’aperto. Sotto il cestello si trovava a caso una radice di acanto, la quale, premuta dal cestello, a primavera gittò foglie e caulicoli , e questi, crescendo attorno al cestello e trovandosi spinti in fuori dagli angoli della tegola, furon costretti dal peso a flettersi nelle estremità delle volute.

Allora Kallimachos, che per l’eleganza e rifinitezza delle sue statue fu chiamato dagli ateniesi κατατηξίτεχνος , passando a lato di quel monumento, notò il cestello e le tenere foglie che gli crescevano attorno, e colpito dall’aspetto di leggiadra novità dell’insieme, costruì a Corinto capitelli su quel tipo, e ne fissò le misure proporzionali, e quindi stabilì il complesso delle proporzioni degli edifici di ordine corinzio.». Vitruvio, Architettura, Milano, Rizzoli, 2002.

Capita a volte in modo casuale che specifiche situazioni o eventi inducano nelle persone più sensibili (artisti) delle illuminazioni che determinano il momento zero di una nuova ricerca espressiva, il caso di Callimaco ne è sicuramente un esempio.

Pensate, in un solo evento si racchiudono materia, vita e trascendenza; e il risultato che elabora l’artista/architetto è un opera di architettura e successivamente un sistema di regole e proporzioni di uno dei principali stilemi classici.

Per non sembrare di volere prender le cose troppo da lontano, lo scopo di questo scritto è di fare qualche riflessione sul rapporto tra architettura e natura, in particolare sulla natura vegetale.

Cioè, il coniugare la costruzione con la biologia del “verde”. So bene che le intenzioni dei colleghi promotori dei “ boschi verticali” erano rivolte prevalentemente alle tematiche ambientali delle città, ma vedendo anche nei recenti progetti (Eden condo – Singapore) un’affermazione del connubio, a tutti i costi, tra l’edificio ed un suo ecosistema verde artificiale, ho l’impressione che questa rischi di essere una strada di ricerca di breve respiro.

Torniamo per un attimo al capitello corinzio: le foglie di acanto nella realtà, raggiunta la sommità della cesta incontrando l’ostacolo della tegola non si arrestano ma si piegano, affermando che è la natura a imporsi sulla materia; e l’artista che rappresenta ciò che aveva visto si guarda bene dal capovolgere questo primato, è nella narrazione scultorea la fotografia di quali siano le forze in gioco.

La natura, o meglio la vegetazione, ha trovato grande risalto nell’architettura barocca e nell’art nouveau, ove la grazia e la potenza plastica del rigoglio floreale hanno trovato nell’architettura una chiara rappresentazione per forgiare balaustre e altre opere in ferro battuto, cornici di aperture, mensole, bovindi e altri elementi decorativi.

Nella storia dell’architettura le occasioni di riflessione sul rapporto tra uomo e natura sono cicliche, seppure innescate da diverse esigenze; in particolare, nella stagione attuale, vale la crescente consapevolezza di non esser stati capaci (noi umani) di trovarne il giusto equilibrio.

Non può essere che il disagio prodotto dagli errori della specie umana sull’ambiente e sulla natura abbia condotto a ritenere utile il verde verticale, inteso come un magazzino automatizzato di macchine riduttrici di Co2, come enfatizzato nel recente progetto/concorso a Milano Pirelli39 (Diller Scofidio+ Renfro e S.Boeri)?

Tornando all’impiego specifico della vegetazione in architettura, nella breve stagione che va dal 2010 al 2020, senza la pretesa di una campionatura esaustiva, mediante la distinzione di diversi approcci, voglio considerare 2 casi distinti terminati nel 2014: Bosco verticale di Stefano Boeri a Milano, 25 Verde di Luciano Pia a Torino (fig.2).

Nel primo caso è la vegetazione che realizza l’architettura; la costruzione dell’edificio è concepita come  intelaiatura per la crescita del verde, diventando un forte elemento paesaggistico di rottura nello skyline milanese. Due fabbricati gemelli, due torri che si leggono da tutti i lati e da notevole distanza.

Nel secondo – progetto dell’arch. Luciano Pia – l’architettura si caratterizza sia per l’imponente attività vegetativa sia per tutte le strutture fisiche che, dalla natura, per materiali e forme, traggono ispirazione; dalle figurazioni ad albero delle strutture in corten visibili in facciata, alle scandole di legno per i rivestimenti murari. Assumendo la tipologia a cortina, in un isolato a breve distanza dal Valentino, uno dei più importanti parchi urbani torinesi, un’architettura nascosta si disvela con grande meraviglia a chi transita per le vie di quella parte di città.

In entrambi i casi la funzione abitativa diventa quasi ostaggio della potenza vegetativa e della capacità ombreggiante, indipendentemente dall’orientamento geografico, a tal punto che la quantità di luce naturale  che raggiunge gli appartamenti lascia un po’ a desiderare.

Biofilia è il termine che descrive “ l’amore per la vita” e, complice l’era post-pandemica, sicuramente descrive la tendenza a ricercare un nuovo  equilibrio nel rapporto tra uomo e natura.

Questo è il vero tema epocale: come correggere l’atteggiamento diffuso per millenni di un universo antropocentrico, ove i bisogni o i finti bisogni dell’uomo vengono prima di tutto, a prescindere del proclamato (e mai realizzato) rispetto per il pianeta.

Quando si fanno convivere specie vegetali diverse a stretto contatto, essendo che ogni pianta necessita di un ambiente fisico e chimico differente, il controllo da parte dell’uomo attraverso interventi compensativi non può rappresentare una discontinuità nei confronti dell’atteggiamento precedente.

Se per analogia ci focalizziamo sul sistema di produzione alimentare, ci troviamo nel pieno di un conflitto tra produzione agricola controllata geneticamente e la cosiddetta agricoltura biologica. 

Ecco perché affermo che questa tendenza della produzione architettonica legata ad un impiego del verde come elemento costruttivo non va nella auspicata direzione a partire dal rapporto dei diretti fruitori (gli abitanti degli edifici) ai quali non è concessa alcuna interazione attiva con gli organismi vegetali, che sono a totale controllo centralizzato coadiuvato da sonde, igrometri, sistemi di irrigazione automatizzati e interventi agronomici programmati ecc.

Anche la tenuta di questi sistemi nel tempo potrebbe riservare delle sorprese, che ne sarà di questi edifici tra cinquant’anni, le piante si ammaleranno, verranno sostituite? I terreni nei quali sono messi a dimora quante volte dovranno essere nuovamente azzollati? Non si può prevedere.

Rimarranno segni di una stagione, quella della ricerca di una sostenibilità mai completamente realizzata, priva di fondamenti filosofici quali quelli espressi dal botanico-filosofo giapponese Masanobu Fukuoka, di cui la celebre frase my ultimate dream is to sow seeds in the desert. To revegetate the deserts is to sow seeds in people’s hearts.” E ancora con le parole di Papa Francesco nella seconda Enciclica “l’ecologia integrale diventi un nuovo paradigma di giustizia, perché la natura non è una mera cornice della vita umana. […]”

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25 VERDE

25 Verde Torino progetto di Luciano Pia

BOSCO VERTICALE

Il bosco verticale, Milano progetto di Stefano Boeri