Terza e ultima puntata di “ANTIDOTI”: nel finale non si svela una verità conclusiva, a cui ricondurre  le diverse scale tematiche che hanno contraddistinto i precedenti incontri, ma si traccia un itinerario fatto di sperimentazioni, di situazioni più o meno virtuose, di progetti realizzati, di questioni necessariamente aperte, tanto sul piano tecnico-normativo, quanto su quello dei linguaggi e dei paesaggi insediativi, quanto ancora su quello dei paradigmi culturali legati allo scarto. Un itinerario che comunque testimonia evidenze di molte iniziative avviate e di altre ormai consolidate, di una sensibilità ambientale diffusa e di spazi di innovazione in cui il tema della circolarità apre prospettive ampie.

A partire dalla storia delle politiche forestali in Francia (Andrea Margaritelli, imprenditore e attuale presidente di IN/Arch nazionale) che dimostrano come la consapevolezza del valore strategico delle risorse naturali, attraverso una prospettiva di lungo periodo e – in particolare – della centralità anche iconica di alberi, boschi, foreste nell’agire responsabile dell’uomo sul territorio, garantendo qualità ambientale, materie prime, sviluppo di imprese di settore, mitigazione di fattori di rischio, sia in grado di produrre – anche nella cultura diffusa – una attenta sensibilità nei confronti della qualità come “valore”, incorporato nel territorio e nell’ambiente.

L’irruzione della circolarità nel processo costruttivo e nella cultura dell’architettura, sta evidenziando un impatto consistente sui requisiti relativi a materiali e a processi, come pure sui caratteri morfologici e tettonici degli edifici. La sperimentazione di nuovi approcci anche linguistici (Mario Grosso), che prendano le mosse dalla potenzialità del riciclo, progettato a partire dalle specificità territoriali, sta producendo repertori di riferimento sempre più ampi e diffusi e aprendo scenari innovativi che mettono in discussione abitudini e stereotipi consolidati. L’innovazione più radicale si concentra sul nodo del sistema costruttivo: il passaggio dal cantiere tradizionale, umido, fortemente energivoro, invasivo e con ingenti quantità di residui da smaltire, all’assemblaggio a secco di elementi prodotti a scala industriale, con un elevata componente prestazionale e tecnologica, rapidità e precisione di montaggio, flessibilità, reversibilità e recupero, è destinata a sconvolgere – soprattutto nella nostra realtà nazionale – una filiera produttiva fondata su basso livello di qualificazione tecnica, di controllo dei comportamenti nel tempo, di disponibilità all’innovazione e, insieme, tradizionale cuscinetto economico e occupazionale.

Se l’Italia guadagna alte posizioni nelle classifiche relative al trattamento dei rifiuti, non altrettanto si verifica per le iniziative rivolte a innovare obiettivi, tecniche, valori e linguaggi, in particolare nel campo dell’architettura e del territorio.

Daniela Ducato, di Edizero, ci ha fornito una testimonianza concreta delle potenzialità della Green Economy nel fare spazio a imprese innovative, in questo caso interne alla filiera dell’edilizia e a quella biotessile, capaci di mantenere standard elevati (anche superiori ai requisiti normativi) di sostenibilità ambientale, di prestazioni e costi, di responsabilità nei confronti delle specificità geografiche e sociali alla scala locale e nello stesso tempo di dimostrarsi competitive alla scala del mercato globale; introducendo il tema della trasparenza in relazione ai componenti dei prodotti e alle possibili minacce connesse, Edizero inserisce un nuovo requisito tra le diverse attenzioni ai temi ambientali e sociali: eliminando quanto più possibile dai processi produttivi ogni componente derivata dal petrolio, il repertorio di materiali disponibili per l’architettura incorpora anche una “volontà di pace”, dal momento che proprio il settore petrolchimico a produce buona parte dell’inquinamento ed è dal controllo del mercato del petrolio che nascono le guerre e le prevaricazioni nel mondo.

Valeria Cottino, di Architettura senza Frontiere, opera nella cooperazione internazionale; condizione che richiede di dilatare il percorso progettuale fino ad includere la più ampia conoscenza critica dei luoghi in cui si opera, dei processi, delle risorse e delle culture materiali presenti; oltre a questa fase di esplorazione è necessario inserire nel processo una capillare fase di comunicazione, di costruzione di relazioni e di opportunità formative, di esperienze e competenze intrecciate ad azioni di integrazione sociale. La presentazione di due casi, uno ad Haiti ed uno in Italia, costituisce l’occasione per una riflessione sulla opportunità offerte dalla introduzione responsabile della formula del cantiere/scuola – pur nelle maglie strette del quadro normativo che nel nostro paese imbriglia, con una rete quasi impenetrabile di tutele/vincoli, anche i tentativi di produrre innovazione – come opportunità di costruzione di competenze, di introdurre nel mercato del lavoro, di sviluppare consapevolezza e rompere le barriere sociali che – oggi più che nel passato – producono disgregazione sociale.

SFRIDOO, una startup nata nel 2017, rappresenta una esperienza chiave nella transizione dal concetto di scarto a quello di risorsa: una piattaforma per il mercato dei materiali di rifiuto, che tradizionalmente uscirebbero dalla catena del valore; un aspetto tanto elementare quanto fondativo di un nuovo atteggiamento mentale – sia tecnico che scientifico e culturale – nei confronti delle materie che entrano ed escono dai diversi cicli produttivi. SFRIDOO rappresenta una delle prime esperienze concrete, in Italia, di servizio alle imprese per realizzare percorsi di circolarità. Come ci ha illustrato Marco Battaglia, attraverso una ricognizione capillare di processi e norme è possibile individuare potenziali complementarità tra filiere produttive anche molto distanti, che consentano di assegnare nuovo valore di risorsa a scarti che, chiusi all’interno di una singola filiera, rivestirebbero un costo di smaltimento, a carico delle imprese e della comunità.

Realtà tutta diversa è invece quella rappresentata da ICESP (Italian Circular Economy Stakeholder Platform) – organo di ENEA, ente pubblico di ricerca italiano che opera nei settori dell’energia, dell’ambiente e delle nuove tecnologie. Carolina Innella, che in ICESP contribuisce al tavolo di lavoro su “Città e Territori Circolari”, segnala le difficoltà con cui nel nostro paese si sviluppano buone pratiche e azioni politiche rivolte a sostenere la transizione; difficoltà che, in buona misura, trovano le proprie cause nella settorialità e nella frammentarietà dell’approccio, ancorato alle incastellature istituzionali che presiedono al governo del territorio e alle pratiche urbane. Ne rappresenta un esempio (negativo, in questo caso) il Superbonus del 110% approvato dal Governo nella scorsa estate, che ingenuamente associa la riqualificazione energetica degli edifici alle prestazioni dei nuovi materiali e delle nuove componenti edilizie, ma dimentica totalmente di considerare gli aspetti legati ai prodotti di demolizione e alla necessità di inserirli in un virtuoso processo di riciclo.

Photo 3° incontro Antidoti | Polo del ‘900