Viviamo in tempi di reazioni esasperate; c’e n’è ben donde, dopo quanto è successo, ma la pandemia, il sovvertirsi improvviso di una realtà consolidata – pur con tutte le sue inquietudini e lacerazioni – in cui la dimensione del rischio era stata rimossa, o meglio isolata in aree e situazioni marginali rispetto ai territori centrali del mondo, avrebbe potuto suggerire l’opportunità di congedarsi da letture schematiche e semplificatrici della realtà, per imparare a fare i conti con la natura controversa e mutevole delle vicende umane, con il sedimentarsi storico di sensibilità diverse, con la necessità di accogliere e valutare ogni specifico evento con strumenti più duttili dell’accetta.

Invece, assistiamo quotidianamente a sentenze capitali, in base alle quali una statua che esalta valori non più corrispondenti alla sensibilità contemporanea non può che essere abbattuta, mentre – per altro verso – un manufatto che costituisca memoria significativa del passato non può che essere conservata.

Dalle testimonianze dei successi e degli errori della Storia possiamo imparare a costruire il nostro futuro.

Se ogni stratificazione del passato fosse sopravvissuta all’estinzione e all’oblio, oggi dovremmo condividere il già angusto spazio che rimane sul Pianeta con Dinosauri, Sumeri ed Etruschi.

Anche se apparentemente incompatibili l’una con l’altra, ritengo che queste due affermazioni siano entrambe legittime, che ciascuna corrisponda a proprio modo ad approcci condivisibili alla realtà contemporanea; ma è necessario tener conto di entrambe per essere in grado di prefigurare le forme del prossimo strato che il nostro tempo depositerà sul mondo.

Un nuovo caso, quello dello Stadio Franchi di Firenze, progettato da Luigi Nervi sta catturando l’attenzione degli osservatori ed i protagonisti sono imprenditori disinvolti, conservatori scrupolosi, politici spregiudicati, nomi prestigiosi della Storia dell’Architettura e progettisti contemporanei che non hanno ancora del tutto meritato un posto in quella Storia.

Per ricostruire le vicende pregresse e le prospettive in divenire rimando agli interessanti articoli già pubblicati dal Giornale dell’Architettura e dal comunicato appena diffuso da IN/Arch nazionale e risparmio in questo modo un po’ di spazio per provare a entrare anch’io nel dibattito; non tanto per esprimere una mia personale sentenza sullo Stadio Franchi, quanto per raccomandare a chi intendesse farlo di valutare tutti i diversi e controversi aspetti che inferiscono sulla vicenda in questione.

Bisogna innanzitutto tener conto del fatto che la questione degli stadi, della loro proprietà e gestione, della dimensione del business ad essi collegato, con tutte le molteplici attività indotte, e di richiamo simbolico per i tifosi, produce oggi ricadute molto forti tanto sulle politiche urbane quanto sui budget di colossali investimenti economici e immobiliari legati alle proprietà delle squadre, come dimostra anche la nota vicenda romana del nuovo stadio e dell’ex Assessore Berdini.

Costruire un nuovo stadio in periferia, come prevede una delle ipotesi in gioco, significa incidere negativamente sul consumo di suolo, sulla mobilità, sullo svuotamento delle funzioni urbane; contemporaneamente, la conservazione dello Stadio e delle sue funzioni originali, potrebbe rischiare di produrre eccessiva congestione nel tessuto denso centrale; ma queste sono considerazioni astratte, che bisognerebbe contestualizzare per procedere verso un ragionamento più affidabile e autorevole.

Nella prospettiva di una città più sostenibile, che cresce sopra se stessa per stratificazioni successive, occorre riconoscere che il futuro dell’architettura sarà presumibilmente più indirizzato alla trasformazione, all’adeguamento e anche  alla ri-significazione di edifici esistenti, che alla realizzazione di nuove opere che espandano i confini delle città. Dunque anche i paesaggi e gli immaginari urbani sono destinati (sempre presumibilmente) ad essere popolati da manufatti caratterizzati da un linguaggio complesso e “contaminato”, piuttosto che da “forme pure”.

Da quanto mi è parso di capire dopo una veloce ricognizione sul web, i vincoli che gravano sullo stadio fiorentino non sono legati all’opera nella sua integrità assoluta, ma riguardano in modo particolare alcune parti: le curve e le scale elicoidali. Dunque, non è così impossibile concepire un progetto di adeguamento; purtroppo però, sono proprio le curve il principale nodo critico, perché troppo lontane dal campo di gioco per garantire una eccellente visibilità. In tempi molto recenti è stato bandito un concorso di architettura per l’adeguamento dello Stadio Franchi; a quel concorso non sono pervenuti progetti tranne uno, dello studio Casamonti, che però prevede la demolizione delle curve; e dunque occorrerebbe rimuovere il vincolo. Si intravede, nello stadio delle nebbie, prender forma alcuni personaggi ai quali è stato affidato un ruolo di primo piano nella storia politica del nostro Paese, qualche anno fa, e che oggi cercano di incunearsi di nuovo nelle maglie del sistema.

Fanno molto pensare, infatti, le affermazione recentissime di Nardella, con cui invoca, per lo Stadio Franchi e per altro, le stesse procedure utilizzate – in emergenza – per il Ponte Morandi.

Resta tuttavia una perplessità: effettivamente lo stadio è stato progettato in altri tempi, con altri criteri di dimensionamento (l’altezza media degli italiani è oggi nel frattempo aumentata sensibilmente e la dimensione delle gradonate costringe i tifosi a piantare le ginocchia nella schiena di chi gli sta davanti) e con una sensibilità ai temi della sostenibilità, della sicurezza, delle funzioni accolte, del rapporto con la città intorno, che non corrispondono alla cultura attuale.

Il linguaggio della contaminazione ha prodotto straordinarie, intelligenti ed eleganti sperimentazioni e insieme patetici accrocchi, frutto di un indolente conformismo.

Non è una domanda retorica, è piuttosto una inquietudine, ma mi chiedo se sia preferibile tutelare l’opera materiale a costo di tradirla e deformarla, oppure il pensiero che l’ha prodotta.

Per gusto del paradosso, mi domando se Nervi, che ricercava nel suo progettare la più rigorosa coincidenza tra struttura e forma, accetterebbe oggi – in un caso analogo di scelta tra conservazione o sostituzione – di venir meno alla propria convinzione. Oppure getterebbe il cuore oltre l’ostacolo e si libererebbe di ogni impiccio?……..

Photo by Amika San on Flickr.com