IL GATTOPARDO
Che capolavoro la versione completa de Il Gattopardo (1963)! Tratto dall’omonimo romanzo storico dello scrittore Giuseppe Tommasi di Lampedusa (1896-1957). A mio avviso, potrei sbagliarmi, il film più bello della storia del cinema… insieme al Barry Lindon (1975) di Stanley Kubrick (1928-1999).
In un’intervista, Goffredo Lombardo (1920-2005), produttore cinematografico del film, in merito ai rapporti “difficili” con Luchino Visconti (1906-1976) dichiarò la imprescindibile volontà del regista di girare le scene in architetture e luoghi formalmente coincidenti (non riuscendoci in toto) con quelli citati nel libro. Il fondatore della Titanus — per via del film la casa di produzione entrò in crisi fallimentare — recatosi in Sicilia sul set per raccomandare a Luchino di contenere i costi che crescevano sempre di più a causa del suo perfezionismo maniacale, tendente a un costosissimo “iper-realismo storicistico” ricevette questa risposta: «Lombardo, io questo film lo posso fare solo così. Se lei vuole, mi può sostituire». Pertanto usò come set solamente i luoghi e gli edifici siciliani — tra l’altro illuminati da centinaia di candele — appositamente arredati con armadi, mobili e madie piene di vestiti, opere d’arte, oggetti vari, originali dell’epoca. E nel momento in cui alcuni non fu possibile utilizzarli per ragioni logistiche, li fece rilevare e ricostruire in grandezza naturale in altro posto più confacente ai problemi di produzione. In particolare volle il “restauro” filologico delle zone di Palermo dove combatterono i garibaldini contro i borbonici (piazza San Giovanni Decollato, piazza della Vittoria allo Spasimo, piazza Sant’Euno, piazza della Marina) eliminando, tutto ciò che non apparteneva al periodo storico come pali e cavi elettrici, insegne, serrande dei negozi, nascondendo le superfetazioni, sostituendo con la terra le pavimentazioni in asfalto, riempiendo le strade di cumuli di macerie e barricate. A provvedere alle fedeli ricostruzioni fu lo scenografo Mario Garbuglia (1927-2010) sulla base dei quadri commemorativi dei pittori del Risorgimento italiano e dei sopralluoghi fatti precedentemente con Visconti e Gioachino Lanza Tommasi figlio adottivo del principe Giuseppe. Per non parlare dei costumi e dell’uso di autentici gioielli, storicamente perfetti, curati da Piero Tosi (1927-2019). Penso ad esempio, all’inizio del film, agli abbigliamenti rigorosamente neri e camicie, colletti, polsini bianchi, perfetti, di grande sartoria, che indossa tutta la corte del principe di Salina, in preghiera durante il rosario alle cinque del pomeriggio.
La questione per Visconti era dovuta principalmente alla necessità di trasmettere una visione oggettivamente documentaristica dell’epoca in cui il film si svolge, non falsata da superficiali interpretazioni scenografiche da Studios.
Fu proprio per il suo primo film Ossessione (1943) che fu coniato il termine Neorealismo (1943-1955) un genere cinematografico seguito da gran parte dei registi italiani dopo la Seconda guerra mondiale. Influenzato dal realismo poetico francese degli anni ’30 carico della forte componente ideologica sociale del Front popolaire (1933-1935), con temi gravitanti intorno a figure di malviventi, operai, disertori, proletari, fuori di testa, spie, anarchici etc.. Un movimento professato da Herbier, Vigò, Epistain, Carné, Gance, e dallo stesso regista Jean Renoir (1894-1979) di cui Visconti fu aiuto regista e costumista in Verso la vita (Les Bas-fonds, 1936) e Una gita in campagna (Partie de campagne, 1936). Anche se tutti, Visconti, lo hanno sempre considerato un’intellettuale comunista, iscritto allo stesso PCI, a mio avviso dai suoi film, non so se ne fosse segretamente consapevole, traspare la sua natura fortemente aristocratica reazionaria — per sua grazia e nostra fortuna — quella di un genio elitario che attiene a una realtà senza ideologie, incomprensibile a chiunque non ne appartenga per nascita.
Sinopsi: siamo in uno dei momenti più importanti della storia risorgimentale italiana. Nel maggio 1860, dopo lo sbarco a Marsala di Garibaldi con i suoi mille, protetto «dai remi inglesi». Guardando il film veniamo catapultati nel mondo dell’antica nobiltà siciliana, quella discendente dalle casate Normanne, Sveve, Aragonesi e Asburgiche; baroni, principi, duchi conti, grandi di Spagna di prima classe. Ci ritroviamo con Don Fabrizio principe di Salina ad assistere con distacco e con malinconia alla fine dell’aristocrazia feudale siciliana e alla sua “sostituzione” da parte di una borghesia imprenditoriale anche arricchitasi amministrando proprio i latifondi della distaccata pigra nobiltà. Tra i garibaldini però c’è anche Don Tancredi Falconeri (Alain Delon) il nipote prediletto di Don Fabrizio figlio di sua sorella e di un padre dissipatore di una grande fortuna che rassicura “Zione” con la famosa frase: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi“. E anche la risposta di Don Fabrizio è emblematica: “…E dopo sarà diverso, ma peggiore…”.
Il film inizia nella residenza di Palermo. E prosegue quando, come tutti gli anni, il principe con la famiglia e la corte si reca nella residenza estiva di Donnafugata a Palma di Montechiaro e trova ad aspettarlo il nuovo sindaco del paese Calogero Sedara (Paolo Stoppa, 1906-1988), un borghese di umili origini, rozzo e poco istruito, che si è arricchito con il commercio e la politica. Tancredi, s’innamora di Angelica (Claudia Cardinale), figlia di quest’ultimo, impalmandola con l’approvazione dello zio malgrado fosse destinato a sposare, per ragioni non soltanto dinastiche, la cugina Concetta.
La contaminazione tra la nuova borghesia e la declinante aristocrazia è un cambiamento ormai incontrovertibile: Don Fabrizio ne avrà la conferma durante un grande ballo in una casa patrizia di Palermo, al termine del quale inizierà a meditare sul….
Luchino Visconti era un raffinato cultore dell’architettura, la usò diegeticamente in tutti i suoi film e in modo ossessivo in Ludwig (1973). Però più di ogni altro amò Villa Erba (1898), la casa di famiglia a Cernobbio sul lago di Como, in stile Eclettico rinascimentale degli architetti milanesi Giovan Battista Borsani (1850-1906) e Angelo Savoldi (1845-1916). La villa fu per molti anni la residenza estiva sua e dei suoi sei fratelli, l’abitò fino a poco prima di morire. «Villa Erba è una casa che noi amiamo moltissimo. Ci riuniremo tutti là, fratelli e sorelle e sarà come al tempo in cui eravamo bambini e vivevamo all’ombra di nostra madre». Dal 1986 l’area di Villa Erba appartiene a un consorzio pubblico, il quale l’ha trasformata in un complesso espositivo congressuale su progetto dell’architetto milanese Mario Bellini.
Il film è stato girato nei dintorni di Palermo. Primo tra i luoghi, dove il regista si sofferma con la cinepresa a lungo sull’aspetto architettonico, è la Villa Boscogrande (1768) a Cardillo nella Piana dei Colli. Realizzata dal duca Ramondetto di Montalbo su un precedente antico baglio è un esempio di eclettismo in architettura. Caratterizzata da una facciata simmetrica Neoclassica a lesene con capitelli corinzi, mentre gli altri prospetti, la scala a tenaglia che conduce all’ingresso principale (una grande sala utilizzata per i balli) e i terrazzi sono rigorosamente Barocchi. All’interno, oggi, è possibile ammirare nelle stanze e nei saloni gli affreschi e i decori originali. Sono stati conservati anche gli antichi pavimenti in argilla smaltata con disegni geometrici. Per realizzare le scene fu restaurata in brevissimo tempo e arredata con ogni bene di antichità prestate da famiglie palermitane.
Per rappresentare Donnafugata, Visconti inizialmente voleva utilizzare il borgo medievale di Palma di Montechiaro, la vera casa estiva dei principi di Salina, ma questo avrebbe creato grossi problemi logistici per via dello stato dell’edificio. Visconti fu costretto a spostare la produzione nel villaggio medioevale di Ciminna. Dove fece ricostruire la facciata e la balconata del palazzo di Palma in piazza Matrice e usò gli interni della prospiciente Madre Chiesa di Santa Maria Maddalena (origine 1230) la cui facciata in stile Barocco è del ciminnese Paolo Amato (1634-1714) architetto del Senato di Palermo. Gli interni barocchi della chiesa però sono precedenti alla facciata, l’abside è decorata con stucchi (1622) di Scipione Li Volsi (1588-1667) rappresentanti apostoli e angeli, inoltre è provvista di scranni lignei del 1619 con intagliati motivi di grottesche. La chiesa è stata utilizzata da Luchino Visconti per le scene del ringraziamento dopo l’arrivo a Donnafugata — nel film si vedono Don Fabrizio Corbera principe di Salina (Burt Lancaster, 1913-1994) con la moglie Donna Maria Stella (Rina Morelli, 1908-1976), i sette figli tra cui Donna Concetta (Lucilla Morlacchi) e tutta la corte durante il Te Deum. Sempre nei dintorni di Ciminna sono state girate le scene di caccia con Don Ciccio Cimea (Serge Reggiani, 1922-2004) e della partenza del nobile cavaliere piemontese Chevalley di Monterzuolo.
Il gran ballo è andato in scena a Palazzo Valguarnera-Gangi (XVIII sec.), che da forma alla deliziosa piazza Croce dei Vespri a Palermo e non soltanto. Cito da un sito internet: “…un prospetto del palazzo — che è vasto ottomila mila metri quadri — guarda piazza Sant’Anna, da un suggestivo giardino pensile — quello usato per la cena del ballo — si vede la facciata Barocca della chiesa di Sant’Anna la Misericordia (1736) dell’architetto matematico ingegnere Don Giovanni Amico (1684-1754)… tra i grandi architetti italiani d’ogni epoca”. Nella parte inferiore di questo fronte, c’era il piccolissimo Teatro Sant’Anna, compreso tra il palazzo stesso e l’oratorio seicentesco di Santa Maria di Gesù decorata nel 1740 da Procopio Serpotta (1679-1756).
Il palazzo abitato ancora oggi dai discendenti, mirabilmente conservato dalla principessa Donna Carine Vanni Mantegna di San Vincenzo, è totalmente integro. Dalla sua costruzione non è stato modificato nulla dello stile Rococò creato dall’architetto trapanese Andrea Gigante (1731-1787) allievo di Don Giovanni d’Amico; suoi la corte e lo scalone monumentale ornato dalle statue marmoree di Ignazio Marabitti (1719-1797) e la Galleria traforata. L’infilata di saloni è stata decorata da tanti artisti quali Interguglielmi, Serenario, Fumagalli, Velasco, in collaborazione con una fitta schiera di pittori ornatisti, marmorari, intagliatori, indoratori, stuccatori e mobilieri. Dalla grande cultura Barocca siciliana ne godiamo anche a Torino grazie al genio del messinese Don Filippo Juvarra (1678-1736).