SMETTO QUANDO VOGLIO (2014) di Sydney Sibilia
Smetto quando voglio (2014), Masterclass (2017), Ad honorem (2017) è una trilogia del regista Sydney Sibilia. La sceneggiatura è dello stesso regista Sibilia e di Valerio Attanasio. Ottime la fotografia di Yadan Radovic e la scenografia di Alessandro Vannucci; le immagini coloratissime, molto fumettistiche, danno alla “pellicola” un senso pop surreale e di sogno gioioso.
La saga, con forti accenti comici, racconta la storia di un gruppo di laureati e ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma che tentano di uscire dall’impasse lavorativa ed esistenziale; dalla precarietà che, con le grandi crisi recessive succedutesi dal 2001 in poi, ha devastato il lavoro giovanile in Italia.
Smetto quando voglio evidenzia quanto nel nostro paese conti poco il mondo della qualità, il mondo dei migliori. Parla dei “cervelli” che rimangono, quelli che non se ne vanno all’estero, frustrati, emarginati: due latinisti che lavorano in un distributore di benzina, un chimico genio lavapiatti in un ristorante, un economista matematico pokerista, un neuro biologo con assegno di ricerca che dà ripetizioni ad allievi che non lo pagano, un antropologo con un impiego partime in uno sfascia carrozze, un archeologo mal pagato dall’università e… il detto Murena, un boss della malavita romana, un ingegnere navale che, anche lui causa della recessione, ha dovuto cambiare mestiere.
Pietro, Mattia, Arturo, Andrea, Alberto, Giorgio, per migliorare la loro vita, utilizzando le loro indubbie conoscenze scientifiche e capacità di laboratorio decidono di produrre una nuova droga sintetica che non rientri nell’elenco delle sostanze proibite in modo da poterla spacciare senza rischiare l’arresto. Una commedia all’italiana che si ispira a quelle di Monicelli, di Comencini, della Wertmūller.
Due importanti opere architettoniche romane appaiono nella trilogia Smetto quando voglio: nel primo film, di scorcio, la Moschea di Roma (1984-94) di Paolo Portoghesi e in tutti i tre film il Complesso dell’Università La Sapienza (1932-1935) progettato da Marcello Piacentini (1881-1960) con Francesco Guidi e Gaetano Minucci e nove strabilianti architetti provenienti da tutta l’Italia. Vale la pena elencarli: Giovanni Michelucci, Giò Ponti, Mario Pagano, Ernesto Rapisardi, Pietro Aschieri, Giuseppe Capponi, Gaetano Minucci, Eugenio Montuori, Arnaldo Foschini. Un gruppo di professionisti di valore internazionale. La stessa esperienza, Piacentini, la fece quasi contemporaneamente a Torino con altri professionisti, torinesi, nel progetto dell’Asse di Va Roma (1937-1938). Discusso capolavoro da pochi anni rivalutato.
La Città Universitaria della Sapienza oggi è l’ateneo più grande d’Europa con 67 dipartimenti attivi e 145.000 studenti iscritti. Per importanza considerato tra le prime università del mondo. Dal punto di vista architettonico urbanistico la si può definire un’imponente opera di dimensione classica.
“…L’intervento, nella sua distribuzione urbanistica, fu definito da Marcello Piacentini, con l’idea di riproporre l’antico tema della piazza, strettamente legato al concetto dell’agorà e del foro…” “…Nella Sapienza l’impianto è di tipo basilicale, composto da un viale principale, della larghezza di 60 metri, navata, tagliato da un asse trasversale, transetto, per proseguire in un’abside immaginaria…”. Gli edifici sono tutti di grande valore artistico, ne segnalo quattro: la Scuola di Matematica, l’Istituto di Fisica e l’edificio di Mineralogia quali esempi di razionalismo, gli architetti furono rispettivamente Giò Ponti (1891-1979), Giuseppe Pagano (1896-1945) e Giovanni Michelucci (1891-1990). E il Rettorato di Piacentini – con all’interno l’affresco L’Italia tra le Arti e le Scienze (1934) di Mario Sironi – prospiciente la piazza con la statua di Minerva (1935) di Arturo Martini.
Molto diverso il progetto di Piacentini dell’università romana rispetto a quello di Via Roma realizzato con i colleghi torinesi, impianto che sembra risentire della cultura mitteleuropea di inizio secolo. L’influenza di Otto Wagner (1841-1918) e Adolf Loos (1870-1933) con sua Looshause (1907) di Mikaelerplatz a Vienna è evidente; in Via Roma sembrano applicati i principi stilistici dell’autore di Parole nel vuoto (1900) e della rivista Das Andere (1900-1931).
Infatti in Via Roma tutte le tendenze stilistiche si fondono grazie a una pianificazione culturale di grande intelligenza, un capolavoro unico al mondo, un Case Study, da trasmettere agli studenti delle università di architettura. Un modello di come si interviene in una città barocca e ottocentesca, senza stravolgerne i connotati, implementandola con edifici di altissimo livello qualitativo, strutturale, estetico e razionale, mantenendone le preesistenze.
Un cultura eclettica che permette di conservare a livello d’occhio pedonale lo stile classico, i colonnati con archi nella parte tra Piazza Castello e Piazza San Carlo di Annibale Rigotti (1870-1968), Ilario Sormano, Federico Canova, Vittorio Bonadè Bottino (!889-1879), Eugenio Corte e le colonne con trabeazioni nella parte tra Piazza San Carlo a Piazza Carlo Felice di Piacentini, senza soluzione di continuità con portici del ‘600, ovvero la parte architettonica soprastante libera da condizionamenti stilistici; cosa molto evidente nella razionalista Torre Littoria di Armando Melis de Villa (1889-1961) che gravita su Piazza Castello ma il cui basamento arretrato (con il piccolo ingresso) si trova “mimetizzato” in via Viotti, nascosto dai portici prospicienti la piazza realizzati nel 1619 da Carlo di Castellamonte (1571-1640).
Per quanto riguarda i cinema all’interno dell’intervento torinese rammento: il Cinema Vittoria (1915), oggi teatro, prima sala di Torino, ampliata e integrata a Via Roma nel 1936, il Cinema Doria di via Andrea Doria e l’Astor di via Viotti, entrambi chiusi a causa della crisi delle mono-sale. L’Astor è stato riqualificato insieme al restante palazzo, a nuova destinazione d’uso, dallo Studio Sergio Hutter negli anni ’90 e in fine la Galleria San Federico e il Cinema Lux progettati da Corte, Canova e Bonadè Bottino che si occupò anche della contestuale realizzazione dell’Hotel Principi di Piemonte (1936).
Il progetto della Galleria San Federico (1932) si contraddistingue per i suoi connotati strutturali, molto originali, ad esempio le volte a crociera in vetrocemento, e la ricchezza dei materiali utilizzati (marmi e stucchi di grande pregio), in essa vi sono ampi spazi per negozi, magazzini e autorimesse sotterranee e numerosi locali per uffici. La galleria dal 1934 fu la sede degli uffici del quotidiano La Stampa e della Compagnia Assicurativa SAI, fino al trasferimento negli anni ’70 nei nuovi palazzi di via Marenco.
Purtroppo la recente ristrutturazione in multisala del Cinema Lux ha distrutto la bellezza della sala originaria. Rimangono l’ingresso e gli scaloni di accesso, però senza le originarie grandi pareti di specchi.
Photo di seier on flickr.com