A volte in televisione succede il miracolo: un intero film, titoli compresi, proiettato senza interruzioni pubblicitarie. Recentemente, fortuitamente, mi è capitato di vedere in tv The Limit of Control (2009) di Jim Jarmuch, cineasta appartenente alla corrente del cinema indipendente americano. I suoi film hanno caratteristiche estremamente peculiari, originalità fuori dal comune. Tra questi proprio The Limit of Control, un capolavoro assoluto. Il film, oscillante tra eccesso e inibizione, si potrebbe definire contemporaneo post-surrealista. Pellicola, però, ove c’è più la volontà di citare che di stupire un’Antologia dello humor nero, un viaggio nel cinema d’essai proprio nella Spagna di Buñuel che, con Dalí, in quanto a stupire non era secondo a nessuno. Alcuni critici, assidui frequentatori della Cinémathèque française, parlano anche dell’influenza che ha avuto su di lui la Nouvelle Vague, in particolare Jacques Rivette, forse per via dei continui piani sequenza e monologhi.
Un killer di New York (Isach De Bankolé) solitario e silenzioso – non parla per tutto il film se non brevi frasi smozzicate – viene incaricato, in un incontro tenuto al gate di un aeroporto, di svolgere un’azione di “intelligence”. Egli, un eroe nero che pratica il tàijíquán che medita al posto di dormire e che svolge il sui compiti nella totale serenità interiore, viene inviato da oscuri agenti francesi in diverse città della Spagna a raccogliere informazioni per portare a termine una missione: assassinare The American, un potente personaggio che vive in una villa sul mare protetto da decine di guardie del corpo armate fino i denti. Tra gli interpreti, Tilda Swinton, John Hurt, Gael García Bernal, Bill Murray e Paz de la Huerta che recita nuda per tutto il film.
Ciò che sorprende di The Limit of Control sono le location in cui si svolge il film. Il nostro Killer infatti si sposta ripetutamente tra le l’architetture della città tradizionale spagnola fatta di basse case, piazzette alberate, vie ciottolate e le architetture contemporanee di grandi architetti. Primo tra tutti, ma non in ordine di apparizione, l’edificio Torres Blancas che si trova a Madrid al numero 37 dell’Avenida de América. Progettato dell’architetto spagnolo Francisco Javier Sáenz de Oiza e costruito dal 1964 al 1968.
Una costruzione con una forza espressiva d’ispirazione metabolista, una torre di cemento a vista alta 80 metri, fatta di capsule aggregate che ancora oggi è uno dei simboli più amati della città, allora destinata alla borghesia, direi l’equivalente dal punto di vista sociale della Torre Velasca (1957) del BPPR a Milano. È proprio in uno degli appartamenti di questo edificio che il Killer abita e parte per le sue incursioni. Segni particolari dell’edificio, oltre alle capsule bovindo ci sono i mancorrenti delle scale in pelle, le porte con i motivi astratti-geometrici in rilievo e le stanze degli appartamenti circolari con arredamenti vintage, originali dell’epoca.
È proprio nel suo appartamento di Avenida de América che Isach De Bankolé (il Killer) trova ad aspettarlo pistola in pugno l’aristocratica Paz de la Huerta ovvero la “maja desnuda con occhiali neri”. Desnuda non lo molla per tutto il film, gli dorme sempre accanto, molto vicina, notte dopo notte, mentre lui distaccato come un monaco combattente taoista neppure la sfiora malgrado le continue avance verbali di lei. Tra i due subito si instaura un irresistibile legame d’amore. Paz bellissima lo segue anche nel suo vagabondare: sul tetto del grattacielo dove, Afrodite, s’immerge nella piscina per puoi nuotare verso di lui ed invitarlo a entrare nell’acqua o a Siviglia ove gli appare a un balcone solo coperta da un’impermeabile di plastica trasparente o alla fine in un letto d’albergo, non ricordo in quale città, forse Toledo, ove addormentata/morta porge all’amato Killer, nel palmo della mano, la scatola di fiammiferi con l’ultimo messaggio. Il rapporto amoroso tra i due personaggi è la causa del sacrificio di Desnuda, surreale e di altissima intensità erotica, rimanda a una profonda conoscenza dello sceneggiatore Jarmusch di due testi di André Breton, Nadja e L’amour fou. Tra l’altro proprio quest’ultimo termina con la frase: “Je vous souhaité d’être follemente aimée” in sintesi il messaggio significante del film.
In The Limit of Control, cosa sorprendente, è l’interesse che il Killer ha per l’arte. Infatti mentre attende ordini si reca regolarmente a visitare il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia in particolare le sezioni di pittura moderna, in specie ad ammirare la bellezza di un nudo femminile, su cui il regista a lungo sofferma la camera, di Tamara Lempicka. Il museo è a Atocha. L’ampliamento (2005) è stato curato da Jean Nouvelle a integrare le precedenti settecentesche costruzioni di Francesco Sabatini e José Hermosilla creando un cortile coperto in cui sono radunati tutti i servizi al pubblico. Qui vorrei richiamare l’attenzione sulla ristrutturazione (1999) della GAM di Torino che pur ben realizzata rimane purtroppo, a mio modesto avviso, insufficiente nella parte delle esposizioni permanenti, le opere sono troppo vicine le une alla altre, si disturbano a vicenda. Bastava costruire un nuovo edificio che, nello stesso piccolo lotto di terreno, integrasse il vecchio in altezza come hanno fatto al Museo Guggenheim di NY per opera di Gwathmey Siegel.
Altri luoghi frequentati dal nostro Killer, oltre alle piazze nei barrios antiguos delle città storiche, sono l’Aeroporto di Barajas a Madrid (2004) un’opera spettacolare dell’architetto Richard Rogers e dell’Estudio Lamella, la nuova Stazione di Madrid Puerta di Atocha, quest’ultima una ristrutturazione straordinaria, terminata dopo il terribile attentato jaddista (2004); una cucitura, dell’antica stazione ferroviaria (1851) con le nuove stazioni dei treni e della metropolitana (1984/1992), dall’architetto Rafael Moneo. Ricordo sempre a Atocha, oltre al Reina Sofia, l’edificio de laCaixaForum (2001/2007) di Herzog & De Meuron galleria di esposizioni temporanee di architettura, arte e design – laCaixa, banca di Barcellona, il cui marchio è di Miró. Tutto questo a poche centinaia di metri dal Museo Thyssen-Bornemisza (1992) ristrutturato anch’esso da Rafael Moneo, dal Parco del Bueno retiro (1630-1640) e dal Museo del Prado (1819) con opere che tra Bosch e Goya in quanto surrealismo non scherzano. Un’insieme di realtà, altre oltre a quelle citate, storico culturali monumentali e infrastrutturali rendono questa zona di Madrid da urlo.
A chi ama la musica ricordo che Jarmusch, lui stesso musicista, affidò la colonna sonora del film al gruppo rock giapponese Boris.
Photo Patrick Down on flickr.com LaCaixaForum (2001/2007) progetto di Herzog & De Meuron