Scaduti i termini dell’Avviso del Ministero della Cultura per i Comuni che hanno presentato progetti volti alla riqualificazione dei loro borghi, il 16 marzo sono stati comunicati i risultati. La delusione è grande, e non poteva esser che così. Si sono spartiti le risorse agriturismi, comuni turistici, siti fantasma: l’opposto delle prospettive che avrebbe potuto aprire il bando borghi.

Qualche esempio? In Friuli Venezia Giulia i tantissimi piccoli centri montani sono stati sopravanzati da Borgo Castello, nel centro di Gorizia; in Umbria è stato scelto Borgo Cesi, frazione di Terni: entrambi casi in cui il Comune scelto è anche capoluogo di provincia. La Sicilia ha selezionato “A Cunziria”, antica conceria di Vizzini, ormai associata sul web all’omonimo agriturismo. Per il Molise è stato scelto Pietrabbondante, sede del più visitato sito archeologico regionale, per la Liguria il castello di Andora. E in Veneto il preferito è un Comune ben integrato nei circuiti turistici come Recoaro Terme. 

Il bando è rimasto aperto un paio di mesi e ha sollevato un’attenzione mediatica senza precedenti. Mai un bando era stato al centro di un tale dibattito. In termini giornalistici, si direbbe che questa attenzione è stata la notizia e non invece che venga speso oltre 1 miliardo di euro. La notizia è la corsa al bando, il fatto che la “linea a” e la “linea b” siano state prese di mira da migliaia di Comuni italiani per accedere ai finanziamenti; che i borghi siano nuova sorgente del futuro, che migliaia di case possano essere riqualificate sono notizie nella notizia. 

Ma il bando si è rivelato una lotteria. Una lotteria, abbiamo detto e scritto come Uncem. E non abbiamo condiviso l’impostazione complessiva data dal Ministero. Una “linea a” con 21 fortunati borghi che si portano a casa 20 milioni di euro ciascuno, scelti dalle Regioni e ora ancora da valutare in via definitiva da parte della Commissione ministeriale. Ci sono città che ritagliano pezzi di città da candidare, paesi molto piccoli, Comuni già preoccupati su come spenderanno quei soldi stante tutto il caos delle minime macchine organizzative dei Comuni. Ci sono molti progetti belli, interessanti, virtuosi che saranno importanti per il futuro (se nella rimodulazione, annunciata, prevista e ormai certa, del PNRR, si troveranno altre risorse per questi borghi, altri avranno speranza). 

Eppure è successo di tutto su questa assurda e poco visionaria misura che premia uno e scontenta tutti gli altri. “Un ingrato e mille scontenti”, si diceva per le nomine della prima Repubblica. Venti contro duemila, in questo caso. Non doveva essere così in un Paese che deve, oggi come mai, generare coesione a partire dall’unità delle Istituzioni. Facendo lavorare insieme i Comuni. Solo insieme, in un territorio omogeneo i Comuni sono vincenti e forti. Non da soli e uno contro l’altro! Così si distrugge la rete dei Comuni, si ignorano le faticose reti esistenti, si inabissa il lavoro dei Sindaci che vincono i campanilismi e i dannosi municipalismi per essere forti insieme.

Scelte del tutto inadeguate anche per la “linea b” del bando: 229 saranno i prescelti da una Commissione – in cui Uncem non c’è e non ha voluto in alcun modo esserci – che, per fare una valutazione complicatissima, dovrà esaminare forse mille o duemila candidature. Aspettiamo ancora la “linea c” del Piano, a valere sul PNRR, quella per le imprese. Non è chiaro se ne beneficeranno solo i titolari del biglietto fortunato sulla linea b. Sarebbe ancor più inopportuno, nella già inopportunità di un percorso che ha spinto centinaia di Comuni a “correre verso l’avviso” con il supporto di assistenze tecniche pagate bene, in alcuni case piombate sui Comuni italiani da tutt’Europa … promettendo molto, anche di punteggi, e generando non poco caos. Lo abbiamo denunciato e lo faremo ancora. La rigenerazione dei Comuni, dei territori, delle comunità, ha bisogno di “supporti” veri, ma non di prese in giro.

Non può funzionare tutto questo perché la matrice narrativa, politica, istituzionale, non è corretta. Lo diciamo amareggiati, preoccupati, con la testa bassa. Un miliardo non si spende così. Avevamo la legge sui piccoli Comuni, la 158/2017 che poteva orientare la spesa! Perché ignorarla come è stato fatto? Non andava concepito così quel bando, quell’impianto. Tanto più complicando notevolmente gli aspetti amministrativi e giuridici con la volontà di “scremare”. Se è vero, ad esempio, che per i partenariati pubblico-privati un Comune doveva già avere una scrittura in fase di candidatura – come se si potesse sancire prima di un finanziamento che si lavora insieme – questo è un modo buono per togliere di mezzo numerosi progetti. 

Vale, in tutto questo e nelle prossime missioni con avviso del PNRR, quello che il 21 ottobre 2020 Uncem scrisse all’architetto Stefano Boeri. Sui media erano appena apparse le sue e altre dichiarazioni: titoli e grandi pagine sulla bellezza dei borghi, sulla rigenerazione, sulle migrazioni dai quartieri urbani verso i villaggi e i paesini. Ci eravamo permessi di ribadire che dovevamo evitare retorica e banalità. I paesi sono paesi. Non borghi. Costruire comunità non è rifare un borgo. 

Proponevamo di fare un Patto per provare a costruire insieme percorsi. Su un nuovo modo di vivere e abitare. “Nei borghi da Lei richiamati – dicevamo – non servono griffe, o tanti milioni di euro. Servono in primo luogo modelli e progetti, visione. Ascolto degli Enti locali, dei Sindaci, protagonismo delle comunità abitanti. Servono rilancio delle politiche per agricoltura e ripensamento dei modelli turistici. I borghi non sono luna park e non sono tutti disabitati. Tanti, moltissimi sono i ruderi. Il patto può far sì che Lei e altri docenti si coalizzino … consolidando … quanto fatto dalle reti di architetti o urbanisti, paesaggisti, docenti, che da sempre lavorano nelle aree montane, alpine e appenniniche, non solo italiane”. 

E così, la lettera aperta di allora è validissima oggi, a maggior ragione viste le conclusioni del bando borghi del MIC. Peraltro nato sulla scia di una certa retorica dei borghi fatta nel corso dei primi due lockdown, all’inizio della pandemia. Quando tutti ci dicevano “che belli i borghi, che bella la montagna”, “come siete fortunati”. “Compriamo casa in un borgo”, “ci sono le case a 1 euro, sono perfette”. Salvo poi accorgersi che “eh ma qui c’è la neve”, “manca l’asilo … e pure il pediatra!”. “Vivere qui costa caro … i chilometri da fare in auto sono molti”. “Manca la connessione e il telefono prende malissimo. Poveretto chi vive nei borghi”. Ecco. In mezzo a questo movimento del pendolo schizofrenico, ci siamo noi. Ci sono le Comunità, con i Sindaci e i Comuni dei territori montani, rurali, interni del Paese, alle prese con una retorica che vorremmo evitare di leggere in certi avvisi e nelle modalità di assegnazione dei finanziamenti. Perché di nuove Venezie non abbiamo bisogno e le campane di vetro in montagna sono difficili da portare. Non ci servono. 

Orientiamo in modo diverso gli avvisi e i piani del PNRR. I territori non sono tutti uguali e la fenomenologia del bando, la lasciamo a questo passato del bando borghi. Che chiudiamo volentieri mettendo una pietra sopra alle modalità-lotteria. E chiedendo a chi decide e scrive i bandi – siano interni ai Ministeri, alle Regioni o consulenti di grandi gruppi esterni, ben pagati – più attenzione a come è fatta l’Italia, ai Sindaci e alle comunità.

Con tanta amarezza e sofferenza, per come poteva essere diverso il destino di 1 miliardo di euro. 

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