PREMESSA
Lo scorso agosto in Catalogna è stata approvata la legge sull’architettura, la prima in Spagna e la seconda in Europa dopo la Francia. La legge segue le raccomandazioni dell’Unione Europea, che sin dal 1985 promuovono la dimensione culturale e il contributo dell’architettura al benessere collettivo, riconoscendo alla qualità del manufatto architettonico e al suo inserimento coerente nell’intorno un concreto valore per la collettività. La legge catalana istituisce misure per la diffusione e per la valorizzazione della conoscenza, coinvolgendo anche il settore dell’istruzione; nell’ambito degli appalti pubblici, la legge prevede che i criteri di valutazione della qualità architettonica siano predominanti rispetto ai criteri economici.
In Italia da moltissimi anni ormai si parla di una legge per l’architettura, senza tuttavia comprendere che la sua reale portata – anche economica oltre che civile, culturale, sociale – potrebbe coinvolgere non solo una stretta cerchia di addetti ai lavori, ma avrebbe ricadute positive per l’intero Paese; a molti la questione può apparire, per quanto nobile, poco rilevante rispetto alle grandi sfide della contemporaneità, e la legge per la tutela della “bellezza” (così spesso la descrivono i media) viene ad ogni legislatura rinviata per affrontare temi ritenuti prioritari. In realtà, la sfera di fenomeni che viene spesso frettolosamente ricondotta ad un termine generico e scivoloso come appunto ‘bellezza’ ha invece molto a che fare con quelle grandi sfide. Intorno alle trasformazioni delle metropoli “globali”, alla rappresentazione materiale dei rapporti tra gruppi sociali, flussi di merci, capitali, persone, intorno alla poderosa capacità delle metropoli globali di amplificare i fenomeni politici, sociali, culturali nel loro immediato manifestarsi, si intrecciano i grandi temi della sociologia, dell’economia, della politica del nostro tempo.
Eppure, per quelle stesse ragioni – e per molti altri fenomeni complessi – i governi locali e in buona misura anche quelli nazionali sono tendenzialmente impotenti nei confronti delle trasformazioni urbane indotte da logiche finanziarie di formidabile potenza e dispiegate su uno scacchiere transnazionale.
A fronte di un quadro sociale, economico e tecnologico in rapida mutazione, la politica ben poco si occupa di ricercare e promuovere nel settore dei nuovi modelli abitativi; modelli di abitare sociale, condiviso, temporaneo, ibrido, che tengano conto della nuova composizione sociale, dei nuovi comportamenti di individui e nuclei famigliari, dei tempi, dei flussi, delle nuove funzioni e dei processi economici che stanno modificando il volto dei nostri insediamenti, tanto nelle grandi città quanto nei territori non urbanizzati.
In Italia poi, in particolare, il quadro normativo e gli strumenti dell’urbanistica alle varie scale sono ancora quelli nati quando le città si trasformavano in base a logiche molto più frammentarie, su cui i piani dovevano (o avrebbero dovuto), esercitando una mediazione tecnico-politica, tracciare una trama coerente; questa logica è oggi totalmente inadeguata a seguire il corso reale dei fenomeni: i governi territoriali si limitano a inseguire le iniziative dei grandi operatori privati, accompagnando e – quando possibile – mitigando l’impatto di trasformazioni concepite secondo logiche altre.
In un suo saggio, Saskia Sassen ci spiega come numerose metropoli mondiali si siano sviluppate all’interno di mercati transnazionali e contengano ormai più caratteri in comune tra loro che con i rispettivi contesti regionali o nazionali.
Dunque il territorio, le città, i manufatti che le compongono rivelano in modo sempre più evidente la loro rilevanza in quanto “fatti politici” che impongono con crescente urgenza la costruzione di un piano di azione prima di tutto nazionale, oltre che integrato ai livelli sotto-ordinati e sovra-ordinati.
DOMANDA N. 1
L’attenzione sempre più acuta verso la sostenibilità, la fragilità dell’ecosistema, l’urgenza di orientare le strategie di sviluppo nazionale verso la tutela e la valorizzazione dei patrimoni culturali e paesaggistici che ne costituiscono una delle principali ricchezze, rendono ineludibile l’esigenza di una “legge sull’architettura” che ne sancisca il valore di bene comune, necessario alla crescita delle personalità individuali e collettive, di strumento di qualità territoriale e di coesione sociale, come sollecitazione ad esercitare la “cultura del progetto” per tornare a parlare di futuro.
Ritenete che una “legge sull’architettura” possa rivestire una reale utilità per il Paese, e vi proponete eventualmente per contribuire concretamente alla sua redazione e promulgazione?
DOMANDA N. 2
Malgrado le prospettive di moderato ottimismo, la crisi di questi ultimi anni ha inciso e continuerà a incidere anche sulla soddisfazione di fabbisogni primari: l’emergenza abitativa è collegata al costo della casa, alla persistente urbanizzazione, all’insufficiente intervento pubblico, ma anche alla crescita degli sfratti e del numero di senza tetto (nei report degli analisti si affaccia ora il settore dei “poor home owners”, prossime vittime della crisi). L’emergenza abitativa è aggravata dalle calamità naturali e dai flussi migratori, costituisce una realtà diffusa soprattutto nelle grandi aree metropolitane, pregiudica la dignità delle persone e l’esercizio dei diritti individuali, peggiora i fenomeni di diseguaglianza, di marginalizzazione e minaccia la coesione sociale. Paradossalmente, cresce il fenomeno dell’invenduto nel mercato immobiliare, continua lo svuotamento dei centri minori e la desertificazione dei territori montani, mentre il patrimonio pubblico inutilizzato fatica ad assumere un ruolo coerente nelle strategie di governo.
Qual è la vostra opinione in merito alla utilità di un programma nazionale per l’edilizia sociale, da avviare partendo dal recupero del patrimonio esistente (caserme, edifici industriali da riconvertire, ecc.), dalla diffusione di forme di affitto calmierato e, più in generale, dallo studio di nuovi modelli abitativi che possano contribuire alla integrazione sociale e alla qualità dei territori urbanizzati?
DOMANDA N. 3
Il corpus normativo, gli strumenti e le pratiche che caratterizzano il repertorio materiale delle azioni di governo del territorio alle diverse scale, con la sua arretratezza e le sue farraginosità, con la proliferazione e sovrapposizione di soggetti, competenze, procedure, con la affermazione di categorie inadeguate alla contemporaneità, costituisce per gli operatori, per gli enti e per le istituzioni locali un campo d’azione incerto e tortuoso.
Non sono mancate iniziative che, sovrapponendosi a questo quadro, hanno costituito concrete opportunità per aggiornare l’ordinamento di settore e introdurre innovazione nelle forme di intervento e nei processi partecipativi (dai diversi settori della sicurezza e della tutela del patrimonio culturale e ambientale, al risparmio energetico, al codice degli appalti, fino alla introduzione del dibattito pubblico per le grandi opere), pare tuttavia mancare uno sguardo di insieme, che affronti in modo integrato i diversi temi che convergono sul settore delle costruzioni e del governo del territorio.
Quale effettiva efficacia attribuite a questi recenti provvedimenti? Ritenete che un nuovo quadro legislativo semplificato e integrato (che non deve significare omologato e standardizzato) in materia urbanistica possa costituire una priorità per il nostro Paese, in grado di sostenere lo sviluppo e insieme restituire alle rappresentanze politiche elette democraticamente il ruolo di principali protagonisti delle scelte di indirizzo e controllo dei processi territoriali?
DOMANDA N. 4
La “diminuzione del consumo di suolo”, al di là dello slogan, troppo spesso limitato ad enunciati puramente quantitativi, potrà sicuramente costituire uno strumento efficace per contrastare un processo impressionante nei suoi valori aggregati (secondo il rapporto ISPRA 2017 in Italia si consumano 30 ettari di suolo al giorno), oggi apparentemente inarrestabile e di impatto devastante sulla qualità del territorio.
In quale modo ritenete si possa concretamente contribuire a tradurre questo slogan in strumento articolato, flessibile ed efficace per migliorare la qualità del nostro ambiente?
Un’occasione per porre le nostre domande
Le Professioni nel Terzo Millennio
22 febbraio, ore 20:30, Hotel NH Santo Stefano, via Porta Palatina 19, Torino.
È un invito che estendiamo a tutti coloro che volessero partecipare all’incontro o suggerirci altri temi di discussione.
Se riceveremo inviti da altre forze politiche parteciperemo volentieri per porre le nostre domande.