Antidoti: scenari di economia circolare
un programma di incontri in collaborazione tra IN/Arch Piemonte e Mercato Circolare | Unione Culturale | Polo del ‘900
Il tema dell’Economia Circolare come obiettivo ultimo, destinato a ricondurre ad una logica di insieme un generale indirizzo di innovazione, costituisce probabilmente uno degli aspetti che potrebbero più radicalmente modificare la traiettoria dell’umanità nel prossimo futuro. Un percorso di innovazione che investe non solo i modelli di produzione e consumo, quanto le più diverse espressioni della presenza umana sulla Terra e che potrebbe modificare i paradigmi che ne hanno guidato il percorso attraverso la Modernità. In questo scenario estremamente ampio e fittamente interrelato, il nostro sguardo di osservatori dei processi materiali e immateriali sul territorio, nelle forme insediative, nel ciclo edilizio, prova a entrare negli aspetti teorici ed empirici della produzione, del consumo, della ricerca, delle politiche e nelle diverse forme e scale di comunicazione che riguardano il settore.
Osservando le ricadute dell’E.C. sulla produzione edilizia e sugli scenari dell’architettura delle città e dei territori, la specificità del tema e – all’opposto – le sue infinite ramificazioni coinvolgono direttamente i più diversi operatori e le più diverse competenze, dagli studiosi delle forme insediative ai progettisti, alle aziende e alle imprese di settore, agli utenti, ai legislatori. Non a caso, il tema dell’E.C. pare ricalcare esattamente l’articolazione trasversale di soggetti e temi per cui era stata sin dalle origini concepita IN/Arch.
Con questo programma di incontri si intende stabilire una prima tappa, per una riflessione da parte delle principali discipline coinvolte (Architettura, Geografia, Economia, Scienze Sociali…..). L’obiettivo atteso è quello di approfondire vantaggi e minacce, segnalare impedimenti, individuare una rassegna di buone pratiche, realizzare una occasione di scambio di informazioni e disponibilità alle iniziative che permettano di affrontare con maggiore consapevolezza gli scenari del presente e del futuro prossimo.
Il programma si articola in tre incontri e coinvolgerà realtà anche più ampie di quella regionale e nazionale:
- Un primo incontro di presentazione del tema e di approccio a partire dai diversi sguardi delle discipline coinvolte;
- Un secondo incontro indirizzato a quegli aspetti dell’E.C. che rivelano ricadute più evidenti e dirette sulle forme insediative, sui linguaggi e sulle tecniche del progetto e della costruzione di architettura, sul territorio e sul paesaggio antropizzato;
- Un terzo incontro, come ricognizione delle esperienze in atto e delle prospettive innovative, alla scala delle realtà produttive interne o contigue al settore edilizio.
Poscritto introduttivo
Questo testo, insieme alla percezione che l’economia circolare avrebbe potuto costituire un tema nevralgico per la rielaborazione dei paradigmi della contemporaneità, è nato verso la fine del 2019, mesi prima che il Covid-19 ci mettesse brutalmente di fronte alla fragilità e incertezza dei contenuti, dello scenario e delle prospettive che intorno a quei paradigmi si stavano disvelando.
La situazione in cui verrà letto questo testo potrebbe essere altrettanto diversa da quella in cui sono immerso mentre scrivo queste note, ma mi pare necessario segnalare che già oggi altre priorità e – in primo luogo – la paura del Covid-19, hanno fatto dimenticare parole d’ordine come Green New Deal, End of Waste e tutto il resto. Tuttavia i piani non sono separati, anche se qualcuno, riduttivamente, si ostina ad affermare che le vicende legate alla sfera sanitaria non hanno nulla a che vedere con quella dell’economia, della produzione, della logistica, della politica in generale.
Mi pare che, in una visione filogenetica della storia materiale dell’umanità, si sia affermata la convinzione che in effetti esista – e sia piuttosto diretta e precisa – una relazione tra ciò che grossolanamente potremmo definire l’intreccio tra popolazione dei gruppi umani, sistemi insediativi, sistemi produttivi e sociali, reti commerciali, tecnologia e risorse ambientali da una parte e lo sviluppo di virus e altri agenti patogeni dall’altra; come spiega Jared Diamond, le epidemie che ne sono derivate hanno lasciato profonde tracce nella direzione assunta dalla Storia, in modo assai più efficace di quanto abbiano prodotto le guerre e la crescita o la caduta degli imperi.
Oltre a dover riconsiderare le nuove priorità, anche in funzione del possibile interesse che potrà raccogliere questa iniziativa, occorre aggiornare uno scenario che in questi mesi si è rapidamente riconfigurato, tanto alla scala globale quanto a quella locale, ad esempio:
- la riorganizzazione delle filiere globali, in funzione di una parziale autonomia dei territori dai monopoli di beni necessari per la sanità o per altri settori strategici; tema questo che fa emergere le specificità che distinguono le cosiddette “città globali” dagli insediamenti locali: mentre si percepisce l’opportunità di riconnettere gli insediamenti urbani con i territori al contorno, per favorire filiere produttive corte e diversificare l’offerta di merci e servizi, le “città globali” rivelano ruoli e connessioni che vanno ben oltre le specificità territoriali;
- L’incidenza della pandemia sul mercato dei rifiuti e la conseguente incentivazione (o meno) dell’Economia Circolare: mentre la proliferazione degli imballaggi dovuta alla crescita esponenziale dell’e-commerce e del food-delivery, ha sostenuto la domanda, la generale riduzione delle attività produttive ha probabilmente prodotto una riduzione dei prezzi;
- l’esperienza pressoché globale del lockdown ha fatto emergere le diversità dovute alla collocazione territoriale centrale o periferica, alle condizioni abitative, isolate o all’interno di comunità, alla permeabilità tra ambienti interni ed esterni, al livello di benessere materiale, alla accessibilità al bene casa, ai servizi, al livello di formazione e di informazione, che hanno condizionato la capacità di affrontare l’isolamento.
Tutti questi aspetti, insieme a valutazioni specificamente epidemiologiche, suggeriscono una ripensamento sui modelli di organizzazione delle funzioni sul territorio; modelli che negli ultimi decenni hanno privilegiato concetti come eccellenza, concentrazione, specializzazione. L’esperienza, purtroppo ancora in corso della pandemia, sta invece mettendo in luce come modelli insediativi improntati alla “prossimità”, ossia policentrici, distribuiti sui territori, funzionalmente ibridi, adattivi e flessibili, capaci di garantire un sufficiente livello di autonomia locale insieme ad un elevato grado di interconnessioni infrastrutturali, potrebbero risultare più adeguati, non solo alla contingenza, ma anche agli scenari minacciosi che molti scienziati pronosticano nel prossimo futuro.
Per un tentativo di definizione
Economia Circolare: un processo di auto-rigenerazione che avviene attraverso due diversi tipi di flussi di materiali: quelli biologici – in grado di essere reintegrati nella biosfera – e quelli tecnici – destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. (Ellen MacArthur Foundation).
Nell’evoluzione del vasto sistema di pensiero legato alla “Sostenibilità” – che riguarda l’insieme dell’agire umano a scala planetaria – il tema dell’Economia Circolare ha negli ultimi anni guadagnato una attenzione crescente, fino a suggerire un generale passo in avanti, coordinando intorno ad un unico obiettivo le singole strategie a tutela delle risorse del pianeta. È il caso, ad esempio, del Riciclo che, nella sua formulazione originale, riguardava le potenzialità di recupero di manufatti concepiti e prodotti per una specifica funzione, esaurita la quale sarebbero divenuti “scarti”; la sfida dell’E. C. è invece quella di eliminare l’idea stessa di “scarto”, introducendo nelle filiere produttive dei manufatti che, già in fase di progetto, vengono concepiti per essere rigenerati e inseriti in successivi cicli produttivi.
D’altra parte, la prospettiva di un cambiamento di paradigma era già in qualche misura implicita nell’evoluzione della concezione di impronta ecologica. Partendo dall’assunto che, per misurare l’impatto delle azioni dell’uomo sull’ecosistema, occorre allargare quanto più possibile il campo delle ricadute ambientali prodotte, fino ad abbracciare il loro intero ciclo nello spazio e nel tempo. L’esito di questo allargamento è la constatazione che il pianeta è un sistema chiuso e fittamente interrelato, governato da equilibri dinamici che ne determinano le interazioni.
Al di là del riferimento alla disciplina economica, l’E.C. richiede ovviamente un approccio fortemente interdisciplinare; il nuovo paradigma è potenzialmente destinato a coinvolgere tutti i settori in cui sono incasellate le azioni umane, fino a mettere in discussione l’insieme dei nostri comportamenti, le teorie di conoscenza legate all’universo materiale e immateriale che ne costituiscono le basi, le regole e i valori che ad esse, in modo più o meno consapevole, abitualmente attribuiamo. Nello stesso tempo, occorre sfuggire alla tentazione di assumere l’E.C. come una sorta di verità universale, di mistica della naturalità come principio salvifico: una sorta di “grande narrazione” aggiornata alla contemporaneità, che ci offre sicurezza, contenendo in sé tutta la complessità del mondo.
Le molte campagne a difesa del Pianeta sono la rappresentazione tipica di un atteggiamento centrato sulla prospettiva specifica della specie umana, dal momento che la minaccia non riguarda tanto la sopravvivenza del sistema Terra, quanto un suo ulteriore riassestamento, che potrebbe anche modificare radicalmente la classifica tra le specie dominanti.
Trasgredire un tabù?
L’ingegneria igienista, affermatasi nel clima del positivismo ottocentesco, in concomitanza con il poderoso sviluppo delle città industriali, per contrastare la diffusione di epidemie legate alla concentrazione di popolazione in situazioni gravemente insalubri, aveva individuato nuove regole insediative in base al principio di tenere tra loro separati i luoghi salubri dell’abitare dai luoghi che possono generare e propagare situazioni patologiche, siano esse fisiche, mentali o sociali; di impedire, con barriere fisiche, culturali e normative, la contaminazione tra ciò che è riconducibile alla purezza della vita sana e produttiva, e ciò che appartiene al degrado, alla morte, alle scarto o semplicemente sfugge alla “norma”.
Viene da sospettare che, tra le maglie del positivismo scientifico, nell’ingegneria igienista, che eserciterà una influenza consistente sullo sviluppo dell’urbanistica moderna, compaia, pur razionalizzato e confermato dalla crescita del sapere scientifico, un archetipo già fortemente radicato nell’animale uomo: “il tabù delle feci” ossia delle scorie prodotte dal proprio ciclo biologico; un tabù che nella nostra società si è facilmente esteso dalle deiezioni biologiche al concetto di “scarto” in senso lato che, pensando a Foucault, evoca un campo ben più vasto delle interazioni sociali.
In realtà, quella che oggi è identificata nella locuzione “Economia Circolare” e sta diventando una parola d’ordine sempre più diffusa (oggi ricorre anche negli spot pubblicitari), è questione tutt’altro che sconosciuta: è da lungo tempo presente in filiere legate a tecnologie tradizionali, in molte economie arcaiche sviluppate in scarsità di risorse e oggi, sia pure per frammenti isolati, in molti moderni cicli industriali; è empiricamente riconoscibile nei cicli biologici naturali, dove praticamente non esistono rifiuti, perché ogni sostanza usata nella biosfera costituisce risorsa per ulteriori cicli vitali, all’interno di un sistema ecologicamente equilibrato.
Occorre tener conto, tuttavia, che anche i cicli biologici, oltre che quelli tecnici, sono sottoposti al secondo principio della termodinamica, nel senso che anche la Materia, come l’Energia, si degrada: alla fine di ogni ciclo si verifica un decadimento della sua “utilità”; la Materia non può essere riusata all’infinito.
L’Economia Circolare è sovversiva?
L’ E.C. non rivendica a priori l’incompatibilità con i concetti di sviluppo e mercato, ma – separando la creazione di valore dal consumo di risorse finite – introduce nuove priorità e ne cambia l’ordine gerarchico.
Secondo alcuni, il Capitalismo sta sviluppando nuove forme di profitto, non più solo estratte dalla produzione, dal consumo e dalla finanza nel tempo presente, quanto dal dominio sui mercati delle materie prime, sottraendo così risorse alle generazioni future cui toccherà pagare le conseguenze. Tuttavia, le condizioni imposte dai nuovi assetti economici e dalla pandemia, hanno già di fatto intaccato le logiche del neoliberismo, nella misura in cui, nella attuale crisi, da ogni parte si riconosce la necessità di forti interventi da parte dello Stato. L’affermarsi di nuove urgenze connesse all’ambiente e alla necessità di riequilibrare la distribuzione di benessere sul pianeta, introduce priorità che possono rivelarsi antagoniste alle logiche del profitto.
«L’economia circolare riguarda anche i flussi “tecnici” di materiali, quelli legati alla produzione e al consumo delle merci, proponendosi la loro rivalorizzazione, il loro riutilizzo, per evitare che rientrino nella biosfera. Tutti i fenomeni economici e sociali, tutte le attività di produzione e consumo di merci e servizi, sono basati anch’essi su flussi di materia e di energia che cominciano dalla biosfera – il serbatoio delle risorse naturali, inorganiche e organiche – passano attraverso la singola abitazione, i campi coltivati, la fabbrica, la città, il territorio antropizzato, e ritornano, più o meno presto, nei corpi riceventi naturali sotto forma di materia gassosa, liquida o solida, delle scorie e dei rifiuti.»[Giorgio Nebbia, Per un’economia circolare (e sovversiva?)]
Se è vero che quella attuale è una economia dove «la responsabilità dei beni si ferma al cancello della fabbrica e i rifiuti – cioè tutto quello che oltrepassa tale cancello – diventano un problema e un costo per qualcun altro» (E. Bompan, N. Brambilla, Che cos’è l’economia circolare, Ed.Ambiente 2016), allora ha ragione Giorgio Nebbia (cit.) ad affermare che «far durare di più gli oggetti, riparare le merci consumate, condividere l’uso delle automobili, fabbricare merci rinnovabili, sono altrettante pugnalate alle spalle dell’industria dei divani, delle automobili, della chimica. Che quella circolare sia un’economia sovversiva?»
Più drastica Luciana Castellina su Il Manifesto del 18 Agosto 2020: «il green capitalism non è possibile, piaccia o non piaccia. Perché la rivoluzione ecologica – e adopero coscientemente questa parola pesante – presuppone la fine della centralità del suo organismo più delicato ed essenziale – il mercato, come organo autonomo, mosso dal profitto visibile, quello immediato, ma miope come una talpa rispetto al lungo termine, il tempo in cui per sopravvivere la collettività dovrà pagare le spese non contabilizzate del guasto operato da alcuni e che solo dopo molto tempo rende palesi le sue tremende dimensioni.»
Altri, più diffidenti, ritengono che il Capitalismo sia così solidamente radicato nelle sorti che reggono il mondo, così poliforme e duttile nell’adattarsi al divenire, che riuscirà – senza perdere le proprie capacità egemoniche – a ricondurre le questioni ambientali all’interno di una logica di ottimizzazione e integrazione dei flussi di materiale ed energia all’interno dei singoli cicli produttivi e tra un ciclo produttivo e l’altro, per sostituire un paradigma tendenzialmente lineare (un manufatto o una azione nasce come risorsa e conclude il proprio ciclo come scarto) con un paradigma tendenzialmente circolare: un manufatto o una azione nasce come risorsa e, esaurita la propria funzione in un ciclo, rinasce come risorsa seconda, terza e così via, riducendo al massimo gli sprechi di risorse e limitando la produzione di rifiuti all’essenziale. In effetti, in questi pochi anni, l’E.C. è riuscita ad acquisire un peso non indifferente nell’economia globale (300-380 miliardi di euro di PIL in Europa – dato 2018, La Repubblica, 5 Settembre 2020) a giocare un ruolo efficace nelle strategie di marketing, ad aprire nuove fasce di mercato dove assegnare posizioni vantaggiose a brand capaci di interpretare ruoli fortemente innovativi.
A metà strada, la lettura che propone J. Stiglitz, secondo cui le grandi contraddizioni prodotte dal neoliberismo – dalle ricadute negative della globalizzazione alla pandemia e al riscaldamento globale – stanno assumendo una dimensione tale da minacciare la sopravvivenza stessa del sistema e rendono impellente una correzione di rotta dagli effetti non ancora del tutto prevedibili: il passaggio ad una fase di “capitalismo progressista”?ovvero, nel lessico europeo, di socialdemocrazia, di un nuovo equilibrio tra Stato e Mercato? Dal momento che «quando la gente ha bisogno di essere protetta da rischi seri si rivolge allo Stato, non certo ai privati» (intervista a J.E.Stiglitz di Riccardo Staglianò, La Repubblica 13 Marzo 2020)
A che punto siamo?
Il percorso verso l’E.C. in particolare nel settore che a noi più interessa, quello dei processi legati alle trasformazioni insediative, è da considerare realisticamente poco più che iniziato, non condiviso da tutte le istituzioni e le parti politiche coinvolte, ma in progressiva diffusione a livello di consapevolezza generale e, in quantità contenute ma significative, percepito anche a livello imprenditoriale, come dimostrano le molte piattaforme informatiche che stanno nascendo per fare circolare le informazioni utili all’avvio di percorsi di riciclo.
Il ritardo nel nostro Paese è, secondo Legambiente, in buona parte da addebitare al mancato adeguamento del quadro normativo nazionale in materia di rifiuti ai criteri “End of Waste” adottati in sede europea; altri osservatori lo attribuiscono al ritardo con cui i mercati finanziari e le politiche economiche hanno «acquisito consapevolezza di crescenti rischi ambientali che non sono più classificabili come semplici esternalità ma oramai minacciano direttamente il tessuto dell’economia […]»(Marcello Minenna, Ambiente e finanza, la svolta Green delle banche centrali, il Sole 24 ore del 23 dicembre 2019).
La casistica di esperienze legate alla logica circolare nel panorama imprenditoriale, può approssimativamente essere ricondotta a due categorie (dai confini indefiniti, probabilmente destinati nel tempo a trovare ricuciture): da una parte un settore marginale, in qualche modo erede delle controculture del secolo scorso e delle microeconomie tradizionali, in cui sono consolidate pratiche prevalentemente autogestite di recupero/riciclo degli scarti della produzione, di condivisione dei beni e delle energie e di “simbiosi” tra processi produttivi (cibo, tessuti, carta, vetro, legno…).
Dall’altra, nell’economia “mainstream”, sono evidenti i segnali che qualcosa sta cambiando: l’estendersi della fascia di consumatori sensibili ai temi ambientali ha prodotto il progressivo irrompere del messaggio “Green” nelle strategie di marketing, modificando l’immagine dei prodotti di consumo; la pressione dell’opinione pubblica, i rapporti scientifici, la prospettiva di nuovi e più stringenti vincoli normativi, la sempre più concreta minaccia di ricadute sull’economia in un futuro non distante, stanno facendo affiorare un reale interesse da parte degli imprenditori verso strategie di innovazione dei prodotti e dei processi, tanto per acquisire miglior prestigio quanto per collocarsi competitivamente all’interno di un settore di mercato emergente come quello della “Green economy”.
Verso la città circolare
È noto che le pietre del Colosseo e di molti altri edifici – oggi inviolabili beni di valore storico/culturale – furono utilizzate per realizzare le case barocche; le civiltà orientali furono a lungo estranee al concetto di restauro, di un legame indissolubile tra cultura materiale/tempo/memoria incorporato negli edifici, concetto che è oggi diffusamente acquisito tra noi occidentali; molti tessuti abitativi minori, come ad esempio le favelas, si modificano continuamente proprio perché discendono dalla autocostruzione, eppure se ne percepisce una continuità morfologica, tipologica, legata allo specifico di risorse, socialità, tecniche…
Il valore della dimensione del Tempo nell’architettura è estremamente sensibile al variare delle tradizioni, dei climi culturali, delle relazioni con l’habitat che i gruppi umani intrattengono. Anche se abbiamo cercato di circoscrivere lo sguardo alle questioni dell’architettura e del territorio (che non sono altro che il calco fisico dei comportamenti umani), le riflessioni sull’E.C. ci riportano continuamente alla cornice generale, ai modelli di produzione e consumo e ai sistemi di valori che li sostengono.
Il campo di azione dell’E.C. insiste sulle fittissime interrelazioni tra le azioni dell’uomo e le loro ricadute sull’ambiente, ed è in grado di esercitare un formidabile impatto sulle forme del progettare, del costruire, dell’abitare i luoghi del nostro agire sociale. L’impatto investe i diversi operatori tecnici, i diversi settori della produzione, del commercio, della manutenzione, della demolizione e dello smaltimento delle componenti edilizie; impone una revisione sostanziale del quadro normativo; esercita una fortissima influenza sulle espressioni, sulle conoscenze e sulle tecnologie di settore; le sue ricadute possono incidere sensibilmente nel prossimo futuro sul modificarsi dei valori funzionali, sociali, culturali, simbolici, e sugli stessi valori immobiliari, in relazione alla affermazione di nuovi stili di vita, a nuove forme di uso condiviso dei beni, all’imperativo di evitare nuovo consumo di suolo naturale, alle informazioni che i manufatti sono in grado di trasmettere, al ciclo di vita atteso per l’edificio e per gli elementi che lo compongono.
Mentre la città contemporanea si è identificata con “i luoghi del consumo”, relegando ai margini i “luoghi dello scarto”, la città circolare si sta probabilmente muovendo verso nuovi equilibri tra due funzioni sempre più complementari. Anche il tradizionale dualismo tra città/campagna sarà destinato a trovare relazioni più integrate, che garantiscano filiere di approvvigionamento più brevi e contrastino l’abbandono delle aree interne. Lo stesso tessuto urbano potrebbe riorganizzarsi in borghi in cui – entro una distanza compatibile con i sistemi della mobilità sostenibile – siano presenti le principali funzioni legate alla vita quotidiana. Già oggi la pianificazione estende la propria azione dallo spazio al tempo, per mitigare picchi e valli nell’intensità dei flussi.
Gli indizi di un primo percorso verso cui si sta muovendo, in Italia, il tema della città circolare mi pare si concentrino intorno a questi aspetti:
- L’attenzione dell’architettura bioclimatica sta ampliando alla scala di sistema urbano le indagini e le esperienze che in questi anni si erano prevalentemente rivolte a ridurre l’energia consumata dal singolo edificio (ma una città non è solo una gran quantità di case);
- Gli effetti negativi dello sprawl e la spinta verso una dimensione più sostenibile della mobilità, tendono (tra mille contraddizioni) all’idea di una città compatta; con un po’ più di lungimiranza, si potrebbero introdurre anche altri obiettivi: aumentare il verde, aumentare la prossimità e l’accoglienza (https://inchieste.ilgiornaledellarchitettura.com/le-citta-della-prossimita-aumentata/)
- il disegno di un quadro normativo rivolto al tema della città circolare è il più delle volte risucchiato intorno al tema del “consumo di suolo zero”, in una accezione ancora manichea e puritana, che considera la forma delle nostre città come un dato acquisito e irreversibile; la sua evoluzione verso formulazioni più articolate, come “consumo di suolo netto”, (http://www.eddyburg.it/2013/11/consumo-netto-di-suolo-zero.html) permetterebbe di rinnovare la cultura architettonica, indirizzandola verso nuovi requisiti e verso nuovi rapporti tra forma ed energia;
- Il contenimento dei flussi di energia riferiti al ciclo edilizio è oggi solidamente inserito nei protocolli normativi; ma quei protocolli si limitano appunto alle prestazioni energetiche, sganciandole da ogni altro elemento di valutazione, sia esso riferito alle filiere produttive delle componenti, al modificarsi del paesaggio urbano, alla ricerca di maggiore flessibilità funzionale, deformando un principio che, a mio parere, deve essere introdotto nell’E.C., secondo il quale ogni elemento che concorre a definire il bilancio generale dei benefici e dei costi, deve poter essere in qualche modo ricondotto a valori confrontabili.
- I flussi di materia, di merci, di informazioni che si combinano con il ciclo edilizio sono, come già detto, ancora lontani da processi estesi di controllo e di razionalizzazione in funzione del ciclo di vita, a causa dell’arretratezza del quadro normativo; ciò nonostante alcune iniziative imprenditoriali si stanno muovendo, tanto nel segmento mainstream, quanto in segmenti alternativi.
- I comportamenti delle persone, gli stili di vita, i codici sociali costituiscono uno dei principali aspetti su cui intervenire efficacemente, nella transizione verso l’E.C.; anche se è percepibile una crescente sensibilità nei confronti dei temi ambientali, un ruolo determinante in questo senso deve essere assolto dagli attori dei processi formativi, in modo sistematico, diffuso e appropriato per i diversi segmenti sociali.
L’Economia Circolare e gli statuti disciplinari dell’Architettura
La durata programmata dei manufatti e la possibilità di riutilizzarne le componenti in uno scenario in continua modificazione, alterando i paradigmi di Tempo, Storia e Memoria, induce a rivedere almeno uno tra gli elementi della triade vitruviana, la Firmitas, il cui significato riconduce alla solidità, ma anche alla permanenza nel tempo dei manufatti architettonici, alla loro capacità di staccarsi dalla contingenza. Dal momento che lo scenario dell’E.C. prefigura un repertorio di merci concepite per durare il più possibile, la domanda che ci si pone è se saranno i manufatti architettonici nella loro interezza ad essere destinati a durare nel tempo e sopravvivere alle ragioni contingenti (confermando, sia pure in una prospettiva storica totalmente trasformata, le critica di Aldo Rossi al funzionalismo ingenuo) o se i manufatti architettonici saranno destinati ad una connaturata provvisorietà, in quanto assemblaggio temporaneo di componenti destinati (solo loro) a conservare nel tempo il proprio valore d’uso e di scambio.
Rientra in gioco, in questo modo, il binomio Monumento/Tessuto connettivo, che aveva alimentato gli indirizzi teorici di alcune scuole degli anni ’60, dove il Monumento era prevalentemente inteso come caposaldo caratterizzante, destinato a sopravvivere nel tempo e il Tessuto connettivo indifferenziato destinato ad un continuo divenire?
La questione della flessibilità funzionale riacquista rilevanza ai fini dell’uso prolungato nel tempo dell’architettura; secondo Richard Sennet «La forma incompleta mette in discussione l’ideale progettuale di un oggetto fisico adatto allo scopo. Al contrario, la sfida della forma incompleta consiste nell’usare le nuove tecnologie per produrre edifici più semplici e al contempo più flessibili. Una volta spezzata la morsa della funzione sulla forma, possiamo costruire edifici meno rigorosamente pensati per il loro uso, che possono diventare strutture vive, in evoluzione.» (LOTUS 168)
L’eterogeneità dei caratteri costruttivi degli edifici ha fino ad oggi rappresentato una ricchezza, riferita alle diverse culture materiali dei gruppi umani: Kenneth Frampton (“Tettonica e architettura”, ed. Skira, 1999) individua due distinte matrici tettoniche, le cui radici affondano in due contesti geografici e culturali differenti anche se intrecciati: la pietra, l’argilla, il peso, lo spessore, il rapporto con il terreno per la cultura costruttiva mediterranea (Brickwork); la costruzione in carpenteria leggera, in legno e poi in metallo, ricoperta di membrane sottili, elevata verso il cielo, legata alle popolazioni dei boschi e alla tradizione nord-europea (Roofwork). Le tecnologie e le scelte tettoniche, alla luce delle esperienze maturate nel campo della sostenibilità, hanno introdotto altri elementi di valutazione, che – detto grossolanamente – associano al Brickwork le proprietà legate all’inerzia termica e al Roofwork quelle legate alla costruzione a secco e alla facilità di riciclo. Prefigurare una Architettura coerente con i principi dell’E.C. significa affrontare consapevolmente l’ipotesi di contaminare i caratteri di queste matrici, congedandosi dalle loro specificità geografiche e culturali.