nell’immagine la pianta di Torino con il Quartiere Cavalleria di Sant’Antonio (1864)

A Torino non c’è solo la TAV a dividere l’opinione pubblica: l’ultimo caso è quello del Burger King, aperto nel nuovo ‘palazzo’ al centro dell’area pedonalizzata sulla quale si affacciano tre scuole – una media, un liceo e l’Università – con migliaia di ragazzi di tutte le età.

Da una parte ci sono i collettivi studenteschi dell’Università e dei licei che organizzano proteste, c’è un professore ‘illuminato’- il delegato del Rettore per la sostenibilità ambientale – che critica l’iniziativa non solo perché il junk food produce squilibri alimentari di massa, ma anche perché  questa hamburgheria è l’ultimo caso di banalizzazione  dello spazio urbano centrale; dall’altra parte c’è un economista ‘liberista’( direttore del Centro Einaudi) che invece si stupisce delle reazioni critiche perché sbrigativamente afferma “alla fine è il mercato che decide, cioè i consumatori”; in mezzo ci sono gli indifferenti, che sono la maggioranza sia tra gli studenti che tra i docenti.

Perché parlare di questa ‘guerra’ all’hamburger, in una ‘pagina’ del bollettino dell’INARCH?

Perché anche il docente ‘illuminato’,  che critica l’omologazione dello spazio, la attribuisce ai negozi delle ‘catene’ che stanno colonizzando il centro, ma non vede che in fatto di ‘guasti’ ambientali,  peggio dell’ hamburgheria e dei negozi delle ‘catene’, è l ’edificio nuovo, che per di più è stato voluto proprio dall’Università, e che è punto di arrivo di una storia lunga e istruttiva.

LeCorbusier diceva “occhi che non vedono”: per chi ha occhi per vedere, tutto lo spazio che ha al centro Palazzo Nuovo, è uno spazio dei ‘guasti’ provocati dalle demolizioni e dalle costruzioni tirate su alla cieca, che si fanno la guerra , e che insieme  fanno la guerra alla Mole Antonelliana.

In particolare il Palazzo Nuovo è un esempio dei ‘guasti’ prodotti in questa area da un attivismo cieco, da una modernità malintesa: infatti per costruire il Palazzo, negli anni ’60, e si è demolita una caserma neoclassica;  nessuno  si è ricordato che l’Università era ospitata felicemente in edifici del ‘700, dell’800, che tante  scuole dell’800, erano state felicemente sistemate in  conventi e ospedali settecenteschi; nessuno si è accorto che la grande caserma sarebbe stato un campus ‘naturale’.                       

Paradossalmente poi l’area ‘liberata’ dalla demolizione della caserma neoclassica, è rimasta praticamente inutilizzata fino a ieri, quando l’Università ha cominciato a pensare di costruire lì per ricavare nuovi spazi: il progetto (di carta) è stato , tra gli esempi ‘virtuosi’ nell’Atlante dell’Architettura di Carlo Olmo, ‘storico del futuro’, (Allemandi 2008) perché “… ripropone la precedente cortina edilizia intorno ad una piazza giardino ...”, descrizione però smentita dalla cartografia storica, ma anche dal render, nel quale invece  ci sono tanti, troppi, edifici nuovi che spiccano per l’estraneità rispetto alla  morfologia urbana ed alle tipologie edilizie del contesto ‘storico’. Dopo dieci anni sono stati costruiti metà dei blocchi previsti, che però sono diversi da quelli del progetto, ancora più estranei al contesto: infatti il tipo edilizio è ibrido, fatto da scatoloni in muratura, bucati da grandi finestre verticali,  che poggiano su un piano alto vetrato ,  quello  su via Verdi poi, poggia su di un inedito alto zoccolo in pietra, intagliato da scale e rampe.

Come è possibile che un  progetto del genere, che fa a pugni con il contesto ottocentesco, sia stato approvato dalla Soprintendenza e dalla Commissione Edilizia, mentre l’Università guardava da un’altra parte, avendo imboccato la strada del project financing?

In questi giorni su Repubblica si susseguono interventi sul tema delle élites: in questo caso è chiaro che le élites – gli architetti, gli amministratori – non hanno avuto ‘occhi per vedere’: è una cecità che ha radici lontane e diramate, se nella scheda del Dipartimento Casa-Città per il Censimento dei beni culturali e ambientali (SIAT, 1984), si ignorava la demolizione della caserma neoclassica e il Palazzo Nuovo era giudicato “..cospicua presenza nel contesto edilizio..”- quando nella  Guida all’architettura moderna di Torino (Magnaghi, Monge e Re , Celid,1982) il Palazzo Nuovo era già stato oggetto di una lunga scheda  severamente critica – e  se i progettisti del PRG, i sindaci e gli assessori, per trent’anni si sono ’dimenticati’ di preparare un piano particolareggiato dell’area, a tutela della Mole e del contesto ottocentesco: forse per lasciare libero il ‘mercato’?   

Adesso è un bel pasticcio. gli antichi romani direbbero: “quis custodiet ipsos custodes?

Il progetto sull’isolato tra via Verdi e via Sant’Ottavio