E’ comparsa nella cronaca cittadina di la Repubblica del 18 giugno 2018 la seguente notizia: Show nelle piazze auliche, è scontro fra Sindaca e Soprintendenza. Appendino difende il villaggio contadino di Coldiretti ai Giardini reali. Papotti: “Non ho visto alcun progetto”.

É una questione ormai ricorrente, quella delle manifestazioni di massa collocate negli spazi aulici del centro urbano, che si ripropone ad ogni stagione e che scatena polemiche, proposte, promesse non molto diverse ad ogni episodio. Ma forse in questo ultimo, c’è qualcosa di diverso, visto che emergono dai protagonisti alcuni atteggiamenti significativi; e a questo punto anche a IN/Arch piacerebbe dire la sua.

Avevamo capito, dal programma e dagli atteggiamenti che i 5s avevano lasciato intendere nel corso della costruzione della loro immagine, e che avevano concorso al loro straordinario successo, che la centralità del “centro storico” avrebbe in futuro dovuto essere riconsiderata, a favore di un nuovo equilibrio tra centro e periferie… Una prima questione è allora verificare la corrispondenza tra programmi e azioni concrete.

É in buona misura un automatismo fisiologico quello che induce gli gli organizzatori a inseguire successo, visibilità e prestigio individuando negli spazi più conosciuti e frequentati della città la collocazione più favorevole (ai proponenti) per gli eventi di maggiore richiamo; indipendentemente dal carico di esercizio che può gravare sulle infrastrutture cittadine, dal disagio imposto ad altre attività quotidiane, dal proseguire il processo di marginalizzazione e spoliazione di altri ambiti urbani, dalla immagine alterata dei valori urbani, dei monumenti, del paesaggio. Ma questo, a quanto pare, non pare andare molto più in là della scelta della ”location” e alla definizione quantitativa delle superfici di spazio pubblico interessate, il resto è una sciatta e apparentemente casuale disseminazione di chioschi più o meno tutti uguali.

Tuttavia, lo stesso concetto di “evento” circoscritto a un luogo e un tempo molto limitati, come scelta ricorrente delle Amministrazioni (non solo di questa Amministrazione) come indirizzo di promozione della città, è oggi messo in discussione: molti studiosi dei fenomeni urbani si domandano se questo sia davvero il terreno giusto su cui operare per promuovere la qualità urbana e quali ricadute avrà questo fenomeno sulla cultura, sull’economia, sulla socialità in generale.

Non è difficile arrivare alla considerazione che tra “ordinario” e “straordinario” occorra individuare un rapporto di equilibrio, strutturato da regole e procedure concordate nell’ambito di una concezione dell’interesse collettivo.

Una seconda questione va ricondotta all’individuazione di chi e come esercita le scelte che definiscono, nelle regole generali e nei casi concreti, questo settore di attività.

Le strade, le piazze, i giardini aulici della città non sono luoghi sacri da congelare in un silenzio incontaminato. La città è (anche) e lo è sempre stata, il luogo della densità, della contaminazione, dell’affollamento, del chiasso, dell’incontro tra diversità, della vivacità. Ne costituisce anzi la forza propulsiva e attrattiva. Le stesse immagini che ci provengono dalla storia ci ripropongono gli stessi luoghi oggi in discussione come sedi di ricchi e a volte esotici e bizzarri allestimenti temporanei, concepiti, progettati (dubito, ma purtroppo non ho elementi di conoscenza sufficienti, per ritenere che, ai tempi, esistessero formule commerciali e immaginari figurativi altrettanto ripetitivi di quelli attuali), realizzati per ospitare “eventi”, cioè brani di vita particolari, mostre, celebrazioni, spettacoli……. altro dai processi ordinari che si svolgono nella città. Oggi, in cui domina la standardizzazione, la riproposizione “da catalogo” di modelli e comportamenti ritenuti ”funzionali” proprio per il loro poter essere prodotti, acquistati, noleggiati, ripetuti all’infinito in ogni luogo e in ogni occasione, dalle parole con cui la Sovrintendente Papotti descrive gli elementi di informazione ricevute dagli organizzatori, viene da pensare che l’idea di progetto è non sia solo dimenticata, ma addirittura ritenuta un inutile capriccio, reso inutile dalle prassi già collaudate e consolidate. Non conosco a sufficienza le procedure necessarie alle attuali procedure per l’approvazione delle iniziative, ma ho ragione di ritenere che le installazioni temporanee, nei luoghi – aulici o ordinari che siano – debbano essere il frutto di una elaborazione tecnica e intellettuale; che tale elaborazione debba procedere in funzione di requisiti ed elementi di contesto specifici, in buona misura variabili di caso in caso, con collocazioni, distanze, caratteristiche architettoniche, studiate in funzione, appunto, dei diversi contesti; che debbano essere accompagnate da prefigurazioni dettagliate secondo le tecniche consuete del progetto di architettura riguardante tanto i manufatti quanto gli spazi e i paesaggi urbani, che il progetto debba farsi carico delle necessarie verifiche sui costi, sui carichi urbanistici connessi e sulla compatibilità generale con i diversi interessi della città; ebbene, tutto questo mi pare molto lontano da quanto ci viene trasmesso dalle cronache, dalle immagini, dalle esperienze dirette. Certo, comporterebbe energie, risorse, fatica, bilanci di impresa, responsabilità, competenze e tempistiche ben diverse da quanto pare succedere attualmente. Soprattutto, occorrerebbe uscire dai percorsi già tracciati e resi sempre più rigidi da abitudine e burocrazia. Questo percorso, del progetto in alternativa alla produzione standardizzata, comporterà un costo diverso, come peraltro è diverso, lo sostengono gli stessi operatori, il costo del cibo genuino prodotto dalla cultura del territorio, rispetto al “junk food” prodotto con scarsa qualità dei materiali e delle idee, dall’industria agro-alimentare. Ma probabilmente, in entrambi i casi, il bilancio complessivo potrebbe rivelarsi ben diverso!

Una terza questione va allora ricondotta alla categoria, a noi molto cara, del progetto (non solo inteso come progetto architettonico, ma come elaborazione e prefigurazione meticolosa di nuovi possibili scenari operativi e delle loro conseguenze) Un progetto denso di contenuti politici, economici, sociali, culturali in cui si formuli una scelta motivata e consapevole (non una verità….) su una serie di categorie riconducibili a binomi apparentemente oppositivi, come “centro/periferia”; “ordinario/straordinario”; “progetto/prassi”; regola/discrezione, e forse molte altre.

Resta poi ancora una qualche perplessità, derivante dal constatare il fatto che, dai titoli di cronaca, i protagonisti della polemica sembrino essere principalmente due: la Sovrintendente e la Sindaca. Ma non esiste un assessore all’Urbanistica – a cui è affidato il governo dello spazio pubblico della città – Vicesindaco, Architetto, Professore di Storia dell’Architettura, che sicuramente ricopre un ruolo non trascurabile in questa vicenda e possiede ampi strumenti e prerogative per giocare un ruolo di primo piano sulla scena? Non viene anche a voi da chiedervi quale sia il suo pensiero e come ha affrontato, o intende in futuro affrontare, la questione degli “eventi” nei suoi aspetti specifici e generali?

foto Loggiati di ricevimento eretti sulla piazza Vittorio Emanuele in occasione del solenne ingresso degli Augusti Sposi… giorno 12 aprile 1842. Litografia.,  Archivio Storico della Città di Torino