La seconda parte del racconto su Odessa. La prima parte Giù le mani da Odessa QUI

E così, anche Odessa non viene risparmiata dagli aggressori russi. C’è solo da sperare che la loro furia distruttiva, oltre a rispettare la vita dei suoi abitanti, possa danneggiare il meno possibile l’impianto e i monumenti di una delle città più belle e popolose (e la più importante dal punto di vista economico) dell’Ucraina.

In effetti, con orgoglio noi italiani potremmo definire Odessa una città “napoletana”: perché le sue origini si devono alle rivalità commerciali che sempre hanno contraddistinto le politiche espansive delle grandi potenze, alle quali non era estraneo il Regno di Napoli. Già nel 1776 il ministro borbonico Bernardo Tanucci, messo a conoscenza del gran numero di navi inglesi e veneziane «che con bandiera russa passavano nel Mar Nero», esortava l’incaricato degli affari napoletani a Istanbul dal 1747 Guglielmo Maurizio Ludolf (di origine tedesca) a «non perdere di vista questo assunto».

E fu nel corso della guerra russo-turca di fine secolo, nell’assedio alla fortezza di Izmail, che casualmente si trovarono, quattro anni prima della fondazione di Odessa, i quattro personaggi più legati al suo destino: il fondatore de Ribas, il progettista del piano urbanistico de Wollant, e poi il duca di Richelieu e il conte di Langeron, che l’avrebbero governata in successione, l’uno dal 1803 al 1814 e l’altro dal 1816 al 1822.

Giuseppe de Ribas (1749-1800), era un ex militare napoletano d’origine spagnola. La sua era una famiglia spagnola della piccola nobiltà, giunta in Italia agli inizi degli anni ’30 del XVIII secolo (con Don Carlos di Borbone), che si radicò ben presto nella realtà partenopea. Giuseppe – conosciuto anche come José, Joseph, Iosif, Osip Ribas, de-Ribas, De-Ribas, Deribas alla russa e Deribier alla francese – era il primogenito di Don Miguel de Ribas e di una irlandese, Margaret Plunkett. 

Benché la sua vita romanzesca assomigli a quella di un “capitano di ventura” settecentesco, a parere degli storici non può essere definito solo come “mercenario”. Era un uomo capace alla ricerca di fortuna e si stabilì a San Pietroburgo. Riuscì a entrare al servizio dei russi, e divenne così Osip Michajlovic, pur conservando legami con la capitale borbonica, che intratteneva rapporti commerciali e diplomatici con la Russia. Poi seppe introdursi a Corte, cogliendo le occasioni che si erano aperte col regno di Caterina II la Grande (durato dal 1762 al 1796), l’imperatrice di origini prussiane, che spezzò l’isolazionismo russo e avviò una vera europeizzazione del paese. 

In più, l’impero russo aveva la necessità di consolidare la sua presenza sul Mar Nero. Nel 1778 Caterina II aveva già costruito la città di Cherson, alla foce del Dnepr, pensando potesse diventare un porto importante per tutta la regione; poi, nel 1779, aveva fondato Mariupol, sul Mar d’Azov e, infine, Nikolaev (Mykolaïv), nel 1788 alla foce del fiume Bug meridionale. Ma il porto di Cherson si rivelò una località dall’aria malsana e Caterina II, su suggerimento di Giuseppe de Ribas (nel frattempo promosso contrammiraglio e comandante della flotta), decise di costruire una nuova città portuale. La scelta cadde sul villaggio tartaro di Chadžibej (Khadijbey), un’altura a strapiombo sul Mar Nero, dove i turchi per difendere la loro frontiera settentrionale avevano eretto una fortezza chiamata Yeni-Dünya, che era stata conquistata dai russi nel 1789.

Il sito era ben posizionato, vicino alle foci dei maggiori fiumi dell’Europa orientale, quali il Danubio, il Dnestr, il Dnepr, il Bug. Il villaggio di Chadžibej inoltre era un luogo di passaggio delle greggi che pascolavano lungo le rive meridionali, di scambio dei prodotti agricoli provenienti dall’Ucraina nord occidentale e anche del traffico commerciale proveniente dalla Polonia e dal Mar Baltico. Ma, soprattutto, godeva dell’ampiezza della baia, della profondità delle acque, di un clima dolce e offriva un accesso immediato al mare aperto.  Una occasione unica per realizzare un porto russo che offrisse riparo tutto l’anno ai natanti di tutte le dimensioni. Quanto al villaggio preesistente nel luogo in cui nacque la cittadina, le poche baracche degli indigeni sparirono presto quando con i primi lavori cominciò ad accogliere una quantità crescente di emigranti, molti dei quali provenienti dal Sud Italia. 

Apprezzando la posizione favorevole della baia indicatale per far nascere la nuova città portuale, il 2 settembre 1794 Caterina la Grande sancì formalmente la sua fondazione con decreto imperiale. Contemporaneamente ne nominò de Ribas governatore, assicurandogli una consistente dotazione finanziaria con la quale, coadiuvato dal progettista militare Frans de Wollant poté iniziare a edificare Odessa, dando seguito alla sua missione nelle terre appena conquistate dall’Impero Russo.

De Ribas stesso inizialmente le diede il nome di Odesso, ispirandosi a una antica colonia greca sul Mar Nero (Odessos) e – pare – alla leggenda del viaggio di Ulisse (Odysseus). Il nome però fu cambiato l’anno seguente in “Odessa” dalla zarina Caterina, perché voleva che la città avesse un nome femminile, in modo da sottolineare la sua “forza e importanza” come donna di potere.

De Ribas diresse i lavori seguendo il piano disegnato dall’ingegnere – definito “di nazione olandese” – Frans de Wollant. Questi era d’origine brabantina, d’Anversa. Il suo nome era François-Paul Sainte de Wollant, ma in Russia fu chiamato Franz Pavlovic de Vollan o De Voland (De-Voland) o Devolan e anche Sent-Devolan. 

Due stranieri furono dunque i “padri” di Odessa, due personaggi che avevano trovato nella Russia di Caterina II la possibilità di esprimere compiutamente le proprie capacità, secondo i rispettivi ruoli. Per questo non si può affermare che fu lo stesso de Ribas a disegnare il piano della città o a chiamarvi subito tutti gli specialisti ingegneri e architetti, soprattutto dall’Italia, necessari per il suo sviluppo e che presero parte all’impresa. La chiamata più consistente avvenne piuttosto nell’epoca immediatamente successiva, ma è errato anche sminuirne il ruolo organizzativo.

Come governatore di Odessa de Ribas, infatti, nei primi tre anni del suo governatorato non solo realizzò, insieme a un primo gruppo di tecnici e costruttori italiani, un porto funzionante e attivo, ma anche un teatro dell’opera in cui andarono in scena regolarmente gli ultimi repertori italiani e d’altri compositori, oltre a una serie di edifici in stile classico che diedero la forma iniziale alla scena urbana in via di consolidamento. 

Dopo la morte della zarina, nel 1796, il figlio Paolo I però, sempre in disaccordo con la politica materna, accusò de Ribas di malversazioni, destituendolo, e obbligandolo a ritornare a San Pietroburgo, dove morì poco dopo, nel 1801. 

Per difendersi, de Ribas spiegò come l’onere della realizzazione della città e del porto fosse ricaduto soprattutto su di lui, già a partire dal 22 agosto del 1794, quando erano iniziati i lavori e che ormai era avviata, secondo i progetti e i piani di de Wollant, ma sotto la sua supervisione, la costruzione di una quantità di impianti. E non si può dargli torto: in poco più di due anni erano in via di ultimazione la dogana, la borsa, l’ospedale, il tribunale, gli arsenali e le chiese, mentre il molo principale, con tutte le sue dotazioni, sarebbe stato completato nel 1797.

In effetti nel 1799, poco dopo la sua destituzione, a Odessa si contavano già 60 edifici statali, 353 case private, 416 negozi, 101 magazzini e le opere portuali erano state quasi tutte ultimate. Tanto che il 21 gennaio di quell’anno Guglielmo Costantino Ludolf, figlio di Maurizio, che aveva sostituito il padre come ambasciatore presso lo Stato ottomano, poteva ottenere il permesso di transito nel mar Nero dei mercantili napoletani.

Ciononostante il progetto d’Odessa fu abbandonato e il sogno di de Ribas di fondare una sorta di «Napoli orientale» sembrò svanire: i lavori furono sospesi per circa tre anni. 

Dopo l’assassinio di Paolo I, uno zar tirannico molto odiato (avvenuto il 21 marzo 1801), il figlio Alessandro I cercò di riprendere il processo di riforme intrapreso dalla nonna. Su consiglio dei suoi ministri, d’accordo sull’utilità della nuova città per l’incremento del commercio in Mar Nero, i lavori ripartirono. Furono concessi il libero passaggio a tutti i vascelli stranieri e particolari franchigie sulle merci importate ed esportate e Odessa ne trasse un grande giovamento. Nel 1803 lo zar decise di utilizzare i profitti commerciali marittimi per completare le costruzioni nel porto e nel lazzaretto. In poco tempo Odessa passò dagli iniziali 2.000-3.000 abitanti a circa 10 mila, molti dei quali stranieri, principalmente greci e italiani, cui furono concessi permessi per esportare grano.

In questo contesto di modernizzazione e di integrazione commerciale anche lo sviluppo d’Odessa ridivenne strategico: un apporto decisivo lo dette il duca Armand Emanuel du Plessis de Richelieu, discendente dell’omonimo cardinale, nominato nel 1803 governatore generale di Odessa e delle amministrazioni di Cherson e di Yekaterinoslav.

Con la sua nomina, ripresero senza più impedimenti i lavori impostati nel periodo precedente. L’impegno del Richelieu, entrato al servizio del governo russo – come altri stranieri – dalla fine del XVIII secolo, si contraddistinse per la sua determinazione e la sua continuità, tanto a Odessa, quanto nella provincia della “Nuova Russia”, di cui fu nominato governatore generale nel 1805.

Emigrato a Vienna durante la rivoluzione francese e poi entrato nell’esercito russo, con la sua raffinata cultura seppe dare un apprezzato aspetto urbanistico alla città. Molti stranieri ne furono attirati, acquistando depositi e aprendo botteghe per inserirsi nel commercio del grano già consolidato. Benché parigino, fece anche costruire numerosi palazzi sul modello dei coevi edifici signorili italiani e impresse un preciso disegno alla città, attraversata da ampi boulevards alla francese. Organizzando il sistema scolastico, ove spiccavano un ginnasio con molte altre scuole, seppe dare spazio anche all’insegnamento dell’italiano, la «lingua franca» usata dalla numerosa colonia che vi si era stabilita.

Resta sempre oggetto di discussione, specie da parte di coloro che tendono ad esaltare l’opera di Richelieu, ieri come oggi, l’effettiva portata del lavoro condotto da de Ribas nel periodo 1794-1797, sebbene lo stesso Richelieu contestasse l’opinione diffusa fra i suoi contemporanei che prima del suo arrivo Odessa non fosse «che una piccola città miserabile che appena si garantiva la sopravvivenza». Certo, a guardare l’insediamento ancora nel primo decennio dell’ottocento, avendo come riferimento altri porti europei, era evidente la sua incompletezza, ma non si possono imputare a de Ribas i ritardi, le inefficienze, la corruzione riscontrati nel periodo successivo (1797-1803) al suo esautoramento.

Del resto anche il tanto lodato Richelieu dovette lamentarsi dei pesanti oneri che gravavano su di lui, come sul predecessore, per il duplice compito di occuparsi d’Odessa ma anche della Nuova Russia dal punto di vista dell’amministrazione e della difesa militare.

Ma se sono sorti tanti edifici neoclassici, ospedali, chiese, magazzini, e soprattutto quartieri residenziali attraversati da scenografici viali alberati lo si deve molto allo spirito d’iniziativa e alla spinta iniziale di Giuseppe de Ribas, che concluse la sua carriera militare come ammiraglio e fece di questa città un monumento alla civiltà italiana e un riconoscimento alla lungimiranza dell’imperatrice Caterina II, negli ultimi anni del suo regno.

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