L’entusiasmante Padiglione Italiano all’EXPO di Dubai.
Lettera personale ricevuta da una collega.
1.
Per Vincenzo Latina,
caro Architetto, le scrivo il mio disappunto per l’aspra critica del Padiglione Italiano dell’EXPO di Dubai letta nella sua bacheca di un social e i conseguenti commenti, poco teneri, dei suoi “amici”.
Le espongo una mia breve riflessione del Padiglione.
Anche se l’Expo è stato inaugurato con un anno di ritardo, non ha deluso le mie aspettative. A mio avviso rivela la parte migliore della ricerca italiana.
Finalmente, la pandemia sembra circoscritta, (nonostante alcuni scalmanati NOVAX no green pass), si riapriranno i cancelli di tutti i grandi eventi, delle kermesse. Tra questi è stata inaugurata l’Expo di Dubai, a dispetto dei retrogradi, di tutti quelli che non apprezzano le imprese, gli sforzi, la ricerca avanzata e quanto di meglio le nazioni espongono negli EXPO.
Altro che fenomeno da “grande fiera dell’industria” ottocentesca. Da alcuni anni i nuovi materiali, i nuovi sistemi costruttivi, le nuove tecnologie indicano il futuro, è alla portata di mano.
Credo che la via è stata indicata e non si tornerà più indietro!
Non si costruirà più come prima. Una nuova forma di Design è tornata di avanguardia.
L’Italia, dopo due anni di pandemia e di restrizioni ha bisogno di tornare a correre, e il padiglione è il nostro “fiore all’occhiello” da esporre al mondo intero. È il sistema Italia in grado di indicare nuovamente strade future.
Le Esposizioni universali sono ormai qualcosa di non procrastinabile. Altro che eventi ottocenteschi. Si è visto a Milano. Il mondo “civile” delle imprese, della ricerca, del design, del gusto si riuniscono in un luogo e nell’arco di alcuni mesi esprimono quanto di meglio si possa produrre e rappresentare. Non importa se costano miliardi, se in passato alcuni siti sono stati in parte abbandonati e gli edifici portati a discarica, quello che interessa è l’evento.
Le fantastiche immagini del concorso del Padiglione Italia non hanno “tradito” le mie attese, le previsioni. L’edificio è lì, ed è evidente.
Perché non ve ne rendete conto?
Il Padiglione è stato definito dai progettisti Ratti e Rota “un bellissimo laboratorio per il domani del nostro Paese”.
Mi piacciono molto i tre grandi scafi, sembrano pronti ad essere riutilizzati, sono sorretti da una copertura composta da trenta travi calandrate lunghe settanta metri. La grande copertura è descritta come un capolavoro d’ingegneria. Ad alcuni, me compresa, rievoca la grande “nave” della grande sala della Basilica Palladiana di Vicenza, o del Palazzo della Ragione di Padova. Dove l’ingegno navale dei cantieri e dei maestri d’ascia ha trovato l’esaltazione nella costruzione dell’aula.
Anche a Dubai si assiste all’esaltazione della tecnica, alla costruzione delle grandi navi come è nella tradizione della cantieristica navale italiana. I tre scafi come è descritto potrebbero essere adatti anche alla navigazione. Per cui, in futuro potrebbero essere riutilizzati, magari così potrebbero prendere il largo. Il tema dominate del Padiglione è la sostenibilità, la riconversione, la resilienza, attualmente sono esposti anche nel Padiglione Italia della Biennale di Architettura di Venezia.
I tre scafi capovolti, ad alcuni maligni (e penso che siano pure invidiosi), potrebbero ricordare recenti naufragi nel mediterraneo, o altri eventi drammatici. Nel caso specifico invece, lo intendo come un peculiare rimessaggio. Per cui, gli scafi potrebbero prendere nuovamente il largo, in attesa di nuove esplorazioni, per tacciare nuove rotte, nuove scoperte.
Tutto ciò è commovente, a me sembra meraviglioso! Non Trova?
Bianco, rosso e verde, i colori degli scafi è la nostra bandiera! È stato realizzato il più grande Tricolore della storia, non sarà soltanto pienamente apprezzabile solo da satellite (come alcuni ironicamente scrivono), anche i droni potranno fare delle magnifiche riprese.
Sono state installate 70 chilometri di corde, fungono da mitigazione e filtro esterno, a mo’ di una mega tenda che potrebbe ricordare un accampamento beduino, con le dune vicine. Le corde diventano schermo mobile per la proiezione di filmati e grandi scene spettacolari, e potrebbero trovare nuovo impiego, non a caso sono tagliate a pezzi di 27 metri.
Anche qui non sono mancate le critiche, qualcuno dei suoi colleghi rimandava per analogia visiva alle tende davanti le porte, per tenere lontane le mosche.
Altri ancora, li hanno paragonati a giganteschi “mocio” asciuga tutto. Qualcuno, addirittura, alla pasta messa ad essiccare, stesa fuori su assi di legno, gli spaghetti si solevano stendere e asciugarli all’aria aperta, si soleva fare al sud, in Campania sino al primo dopoguerra.
Caro Architetto come mi insegna, l’architettura si nutre di visioni e di analogie, di rappresentazioni, per cui, ognuno vede quello che fa parte della propria cultura visiva. Ogni opera è aperta e si presta a tante interpretazioni e visioni. Questa è la grandezza delle opere d’arte.
I Leitmotiv sono SOSTENIBILITA’, RESILIENZA, RESISTENZA, RICERCA, SVILUPPO, AMBIENTE.
Sono state sperimentate neo-materie un mix tra materiali da costruzione di origine organica e biologica. A tal fine sono stati impiegati anche dei batteri. E la performance dell’edificio è costantemente monitorata da un complesso sistema digitale che mitiga la temperatura e misura in tempo reale varie parti dell’edificio. Si tratta di un edificio intelligente, architettura totale, un sistema circolare tra natura e architettura in simbiosi grazie alle nuove tecnologie. Questa è la nuova frontiera!
È risaputo che gli italiani sono esperti nel riuso di alcuni scarti, siamo stati abituati per tradizione a rispettare il passato e a riutilizzarlo.
Come si dice dalle mie parti, “del Maiale non si butta niente”.
Lo sapevano bene i contadini, i nostri nonni, i quali, per centinaia di anni hanno sostentato l’economia domestica delle proprie famiglie.
E allora partendo dallo stesso principio: nel Padiglione sono stati adottati materiali di riciclo di recupero e materiali innovativi, che hanno comportato l’utilizzo dei fondi di caffè, le bucce d’arancia. Si è pensato anche all’utilizzo della plastica riciclata dagli oceani.
Si è predisposto un sistema di climatizzazione artificiale, e poi sono state coltivate alghe negli spazi interni in grado di catturare la CO2 prodotta dai visitatori. In più depureranno l’aria, e attraverso l’umidità produrranno l’acqua per l’irrigazione. Si mette in atto la collaborazione in simbiosi tra natura e architettura.
Si riscrivono i nuovi canoni formali dell’architettura. Bisognerà cambiare il modo di leggere gli edifici. Il nuovo bello, non si leggerà più come in passato! Ebbene, l’obiettivo a mio avviso è stato centrato!
Non pensi al bello antico, (mi scusi, che noia), questo è il nuovo canone di bellezza!
All’interno un mix tra giardino e la somma straordinaria di alcune ricostruzioni del Bel Paese.
Quanto di meglio l’Italia abbia realizzato negli ultimi secoli. Si ripropongono come un palinsesto la cesura tra Antico, Rinascimento e la Nuova Rinascita con visione di futuro.
È un viaggio, tra ricostruzione in scala reale di monumenti iconici ed evocativi, il fulcro di tutto è la scansione 3d e la riproduzione fedele del David di Michelangelo.
Tanto è fedele da sembrare più vero del reale. La meraviglia delle meraviglie portata a Dubai.
È stata proposta una singolare visione della fedele riproduzione del DAVID di Michelangelo, l’enorme scultura vista per livelli, dall’alto e dal basso. La scultura è stata inglobata in una sorta di grande cavedio interno rivestito di legno. Da lì si potrà finalmente guardare negli occhi, in scala reale, il David. Magari percepire le stesse emozioni, lo stesso brivido di Michelangelo quando dava gli ultimi ritocchi.
E poi da sotto sentire la scala enorme dell’appoggio dei calzari che cingono i piedi.
Tanti detrattori hanno gridato allo scandalo, la visione parziale della scultura, le nudità nascoste, è soltanto una casualità, e poi si sa, paese che vai tradizioni che trovi, allora perché urtare la sensibilità altrui a casa loro? È risaputo che il nudo integrale non è sempre ben accolto, che è un retaggio della cultura classica.
Il mondo, la globalizzazione richiedono a volte di ricalibrare alcuni canoni.
2.
Nouveau dell’Esprit Nouveau? 1921-2021
Risposta
Gentilissimo architetto C.I. Trattario (per la privacy è nome di fantasia)
Sono lieto che Le piaccia l’EXPO e in particolare il Padiglione Italiano.
Le ribadisco che gli ultimi Expo mi sembrano delle grandi fiere campionarie, ormai desuete, fuori tempo. Per lo più eventi di altre epoche, tra la fine dell’800 e il primo ‘900, quando non vi erano ancora i contemporanei mezzi di comunicazioni. Erano la proiezione del progresso industriale, anche visionario. Alcuni padiglioni erano vere e proprie macchine delle meraviglie, i visitatori avevano la sensazione della prima visione, della scoperta sensazionale. Ora? Rischiano di sembrare fiere delle vanità, eventi turistici e nulla più. Una sorta di Disneyland delle nazioni.
Esattamente 100 anni fa Le Corbusier con l’Esprit Nouveau dava un nuovo impulso all’industria verso la definizione della macchina da abitare e le città industriali.
Le Corbusier, ha in parte domato il caos della tecnica empirica e dell’edilizia industriale, disciplinandoli all’interno di una struttura progettata classicamente. Ha liberato la struttura, consentendo ai materiali e alle forme industriali di parlare il loro linguaggio.
Utopia della tecnologia dell’”ambiente esatto” e della precisa ripartizione dello spazio abitato, sogno di macchine perfette per guarire, per controllare, per abitare trovano riscontro nei fondamenti delle teorie di Le Corbusier, fino alla ripresa in chiave drammatica e pubblicitaria del tema della macchina per abitare confezionata da Le Corbusier con l’Esprit Nouveau del 1921.
L.C. intravede l’esigenza di trovare un incontro tra l’industria navale, le invenzioni e la necessità di poter abitare, vivere tale macchina: «La casa dei terrestri è l’espressione di un mondo scaduto a piccole dimensioni. Il piroscafo è la prima tappa nella realizzazione di un mondo organizzato secondo lo spirito nuovo».
Solo creando eterotopie i fautori delle teorie collettiviste, spesso socialisti cattolici, pensano di poter razionalizzare, curare, individuare le tante Arca di Noè residenziali proletarie, sono “città rifugio” ad “esistenza guidata”, la loro derivazione dalla caserma all’ospedale, contiene valenze metaforiche sin troppo eloquenti.
Le eterotopie sono luoghi “disegnati entro le istituzioni stesse della società”. (Georges Teyssot “Il dispositivo Foucault”).
Il movimento moderno sembra pervaso da un inconciliabile sintesi fra nichilismo ed etica.
MORALE – IGIENE – ESTETICA, sono i principi da riproporre per la salvezza della città moderna.
Alcuni edifici di Le Corbusier e in particolar modo l’Unitè d’Habitation di Marsiglia, 1952, cercano e trovano ampie rispondenze nella ricerca della grande “nave abitativa”, una sorta di moderna Arca di Noè, in parte autosufficiente.
A distanza di un secolo, non credo che si possa paragonare l’epoca attuale a quella in cui operava L.C. Asserisce, che si stia segnando un nuovo passo, a dir poco, epocale verso un futuro sostenibile, e che il Padiglione Italiano esprima il meglio della ricerca e il buon gusto italiano.
La descrizione che fa del Padiglione mi ricorda alcune sperimentazioni condotte nelle navicelle spaziali. La cinematografia ne fa largo uso per le missioni intergalattiche, alla ricerca di nuove forme di vita. Recentemente ho visto “Sunshine”, film di fantascienza molto bello, sembra che anticipi la visione del contemporaneo italiano realizzato a Dubai.
La trama del film vede gli astronauti intenti a bombardare con armi nucleari il sole malato, così da poterlo “riaccendere”, così da poter riportare nuovamente calore alla terra, piombata una specie di nuova glaciazione.
Durante il lungo viaggio l’astronave intergalattica traeva energia vitale per l’equipaggio da un orto sperimentale che forniva scorte di ossigeno, alimenti e acqua ottenuta dalle piante. Purtroppo, alcuni eventi imprevedibili ne modificano irrimediabilmente la missione mettendo in crisi il complesso programma. La distruzione del giardino decreta la fine certa dell’equipaggio, anche se per fortuna, nel loro caso, riusciranno nell’impresa e salveranno la Terra.
L’astronave come una perfetta “macchina ipertecnologica e naturale-artificiale”.
Si potrebbe configurare come una nuova arca di Noè. Potrebbe essere associata anche per analogia al padiglione italiano?
Ogni Architetto immagina l’Arca dove portare in salvo l’umanità dal diluvio universale.
La ricostruzione dell’Arca di Noè è stato uno dei temi dominanti dell’architettura moderna, dalla fine dell’800 in poi. Spesso l’architetto si è immedesimato in Noè.
Alcuni con la speranza, altri, con la convinzione di poter “salvare” demiurgicamente il mondo corrotto.
E con la fiducia di poter toccare, finalmente, terra! Approdare sul Monte Ararat dopo il “diluvio” della contemporaneità.
Parafrasando Koolhaas
…quello di cui Noè avrebbe avuto bisogno era il cemento armato.
Quello di cui ha bisogno la contemporaneità è un diluvio…
Gentile architetto, ognuno ha una personale visone di quello che accade, per cui, ne interpreta una personale narrazione, una propria verità. Un racconto tra il reale e l’onirico, in cui la misura, gli aggettivi, le locuzioni sono a volte fin toppo esaltate.
Non voglio entrare nelle disquisizioni o se preferisce nelle speculazioni estetiche e del gusto, non ne usciremmo più. Credo che si aprirebbero baratri.
Lei ha “visto” il Padiglione italiano dell’Expo di Dubai con gli occhi carichi di entusiasmo e ne ha tratto una personale narrazione.
Comprendo il suo entusiasmo, per quel che mi riguarda sono ancora convinto delle mie riflessioni.
Le propongo “Esercizi di Stile”, abile e divertente gioco narrativo di Raymond Queneau.
È un gioco combinatorio di esercizi di retorica. Nel caso di Queneau si tratta di una descrizione su un tram di Parigi, cose in apparenza senza nessuna importanza. Basta una “posizione diversa” e lo sguardo, la visione diventa obliqua e l’oggetto osservato assumerà una luce diversa, una narrazione diversa. Queneau ne farà magistralmente 99.
Le propongo un personale lettura ed interpretazione della sua riflessione che muove dallo stesso “gioco” narrativo di Queneau. In questo caso leggerò il suo testo utilizzando l’antifrasi:
“l’antifrasi è una figura retorica che consiste nell’affermare ironicamente il contrario di quanto si pensa. … L’antifrasi è una figura retorica che consiste nell’esprimersi in modo opposto a quanto si pensa. Sintetizzando in una formula facilmente memorizzabile, antifrasi significa “dire una cosa per dire il contrario”.
Spero che non si offenda, è soltanto un gioco.
Cordiali saluti
Vincenzo Latina
per visitare il sito del padiglione Italia a Dubai QUI