Da Château La Coste a Cap Martin, passando da Paestum.

L’ultimo tuffo è l’inizio del grande viaggio. 

Il 18 dicembre è mancato Richard Rogers, la mia breve riflessione non è uno dei tanti “coccodrilli” che capita di leggere nei giornali, nei blog: alla memoria di… Molte volte sono insopportabili.  Per ricordare alcune personalità non basterebbe un’intera famiglia di rettili acquatici del Nilo. 

Avrei scritto piuttosto con le “ragioni del cuore”, alla Monteiro Rossi, il giovane italiano di Sostiene Pereira, del romanzo di Antonio Tabucchi.  

Sostiene Pereira, avrebbe voluto dirgli “se lei scrive con le ragioni del cuore caro mio, andrà incontro a seri inconvenienti, questo glielo posso assicurare, (ma non disse niente di tutto ciò… anzi) ascolti ragazzo… le ragioni del cuore sono le più importanti, ma bisogna mantenere un certo equilibrio con il cuore, ma con gli occhi aperti. 

Mi affascina invece, costruire una trama costituita da fili invisibili, simili ad una costruzione di un ragno, che tocchi autori, luoghi ed opere; anche se a prima vista, tra loro, potrebbero sembrare privi di ogni relazione. Spero che non sia interpretata come una iperbole, o una stramberia.

Alcuni Maestri dell’architettura moderna, anche se molto diversi tra loro, per epoche, poetica ed esiti progettuali sembrano accomunati da una “indicibile profondità”.

Richard Rogers, dopo aver inciso profondamente nel mondo dell’architettura costruendo mirabili opere nei 5 continenti, grandi infrastrutture, aeroporti, stazioni, edifici titanici per dimensione e complessità tecnologica, conclude la sua attività progettuale con un piccolo e a mio avviso emblematico edificio. Potrebbe sembrare un singolare testamento e allo stesso tempo un viatico.

Propongo un parallelismo tra due piccole architetture di Rogers e Le Corbusier ed un reperto archeologico scoperto pochi anni fa, il Tuffatore di Paestum: le opere sono l’ultima architettura di Rogers, il più piccolo spazio espositivo del mondo, progetto 2020 della Drawing Gallery protesa sulla tenuta di Château La Coste, a Le Puy-Sainte-Réparade in Provenza e la Petite Maison di Le Corbusier, il suo Cabanon a Roquebrune-Cap-Martin. Gli edifici sono tra loro sono distanti, in linea d’aria, non molti chilometri. 

La sala del piccolo padiglione di Rogers è incastonata all’interno di un traliccio di acciaio a vista proteso a sbalzo sul bosco sottostante e con affaccio sulle vigne. 

L’edificio è un salto nel vuoto con di oltre venti metri di sbalzo ed è alto sulla parte più a valle circa 18 metri dal suolo.  

Per cui, sembra galleggiare.  

Le strutture reticolari, a vista, sono dipinte di arancione brillante, proprio come il Centro Pompidou di Parigi, colore e telaio hi-tech sono presenti sia nella celeberrima opera giovanile (progettata in gruppo con Renzo Piano e Gianfranco Franchini) e dopo molti anni, come se si chiudesse un ciclo, anche nell’ultima opera della maturità. 

La struttura a vista, poggiata su 4 plinti occultati nel piano di campagna, rende evidente la costruzione. 

Potremmo in sintesi descrivere il carattere del Padiglione con l’asciuttezza, il rigore, l’arditezza tecnologica e strutturale, e al contempo con l’esiguità del programma.  La potente poetica non rinuncia alla sperimentazione della tecnica-artigianale, peculiare è l’interpretazione del luogo e del contesto ambientale con il grande salto, il tuffo visuale.  

All’interno, il guscio dalla luce “setosa” dell’unica sala di colore bianco, lunga 24 metri, è simile ad un tunnel luminoso, con una grande finestra-parete che focalizza lo sguardo sul paesaggio.  La sala minimale e luminosa, nonostante l’enorme sbalzo, risponde ai requisiti statici previsti per gli spazi espositivi francesi, all’interno si ha la sensazione di compiere un viaggio verso la luce. 

Il padiglione di Rogers ricorda molto l’ultimo salto della lapide del Tuffatore scoperto a pochi chilometri da Paestum. La galleria, nonostante le ridotte dimensioni, si protende verso l’infinito, come il tuffatore dal trampolino di Paestum.

Il Tuffatore di Paestum è una lastra funeraria dipinta in affresco, unico esempio di pittura di età greca della Magna Grecia. “Sulla lastra di copertura è dipinto un uomo che si tuffa in acqua: il tuffo simboleggia il passaggio dalla vita alla morte.

Delle lastre dipinte “la scena principale sul coperchio evoca un paesaggio marino dove le ondulazioni fanno sentire un fremito della superficie dell’acqua, mentre il Tuffatore è colto in pieno volo, in un movimento di grande eleganza.”

Interpreto l’invito allo sguardo dei vigneti sottostanti del Padiglione di Rogers come il grande salto del Tuffatore. 

Il Cabanon di Le Corbusier non ha alcuna affinità con il padiglione sospeso di Rogers. 

La capanna da campeggio era il rifugio estivo di Le Corbusier e della moglie.  Le Corbusier diceva: “Ho un castello in Riviera che è 3,66 metri per 3,66 metri. L’ho fatto per mia moglie, un luogo stravagante di conforto e gentilezza. Si trova a Roquebrune, su un sentiero che arriva fin quasi al mare. Una porticina, una scaletta e l’accesso a una capanna incastonata sotto i vigneti. Solo il sito è fantastico, una baia superba con ripide scogliere

Costruito interamente in legno, sulla geometria di base del Modulor, è la congiunzione tra le nombre d’or e la scala umana. Il Cabanon è la sintesi del suo pensiero e della sua visione sull’architettura, un micro spazio, è una cellula che riassume anche l’idea della macchina per abitare.

La cellula abitativa dall’arredamento minimale è contenuta ed organizzata all’interno di un movimento interno di geometrie sottese, a spirale e la disposizione degli arredi ha un movimento elicoidale. 

Il Cabanon è anche la nudità di Le Corbusier, più volte ritratto in foto al naturale, la nudità evoca il rifugio ancestrale, il primitivismo, il naturismo e forse pure l’utero materno. 

Presso alcune antiche popolazioni del mediterraneo era in uso disporre supinamente, in posizione fetale, le spoglie mortali dei defunti, con andamento spiraliforme.

Le Corbusier, il 27 agosto del 1965, all’età di 78 anni, nonostante il medico lo avesse sconsigliato, decide lo stesso di andare a nuotare nel Mediterraneo nelle acque antistanti al Cabanon in Costa Azzurra, davanti a Roccabruna e che sia annegato per un improvviso malore (per alcuni testimoni e soccorritori sembra che sia stato colto da un infarto mentre nuotava).  

Uno dei tanti aneddoti su Le Corbusier – che quel giorno avrebbe detto agli amici che lo ospitavano in vacanza “come sarebbe bello morire nuotando verso il sole” –. 

Per cui, alcuni pensano che abbia deciso deliberatamente di morire. 

Mi affascina questa versione, di immaginarlo in cerca della libertà. Nel momento di grande difficoltà abbia voluto spiccare l’ultimo salto, l’ultimo tuffo, proprio come il Tuffatore di Paestum. 

Ovviamente la mia è una interpretazione romantica, scritta con le “ragioni del cuore” proprio come Monteiro Rossi.

L’anonimo Tuffatore di Paestum del 480 a.C., Le Corbusier e Rogers ci ricordano che la fine è il grande salto, che l’ultimo tuffo è l’inizio del grande viaggio. 

Buon viaggio Richard Rogers.

P.S.

L’ultimo tuffo nell’Egeo di Takis Zenetos, architetto greco Come accennato, la tela è costituita da trame invisibili, si infittisce e trova rispondenze e relazioni.

Il caro amico e professore Antonino Saggio dopo aver letto in anteprima il mio testo in una mail scrive:  

“Sai mentre leggevo il tuo scritto pensavo a Takis Zenetos architetto greco. L’ho veramente riscoperto anni fa. Ora vedi Takis, geniale come pochi, era atletico ed era notoriamente un grande tuffatore. Nel 1977 giovane ancora in pieno regime dei colonnelli, fece un tuffo ultimo per suicidarsi.”

*prefazione al volume, di Antonino Saggio 

Takis Zenetos è un architetto greco nato nel 1926 e morto suicida nel 1977 ad Atene. Educato a Parigi nel vitale clima d’avanguardia artistica e culturale del primo dopoguerra, colto e sensibile, grande nuotatore e mirabile tuffatore è stato una persona affascinante.

È stato anche un genio dell’architettura. Una parola così impegnativa si giustifica non solo per la qualità del suo lavoro, ma soprattutto perché Zenetos ha visto con incredibile chiarezza la sfida che l’elettronica poneva a tutte le scale dell’operare architettonico. Ne ha scritto sin dagli anni Cinquanta, ha creato progetti sperimentali e ha alimentato le sue numerose architetture realizzate con la linfa del nuovo imprescindibile orizzonte. 

Nella morte di un artista, sconosciuto anche ai maggiori esperti fuori patria e presto messo in un angolo anche in Grecia nonostante l’impegno di Orestis Doumanis, c’è forse un sogno. Che qualcuno sia capace di rileggere e capire il lavoro fatto: che in quel messaggio nella bottiglia che si è lanciato al mondo abbandonandolo con un tuffo nel vuoto, ci sia la possibilità di un riscatto del proprio impegno e della propria vita.”

Da: Takis Zenetos. Visioni digitali, architetture costruite. Dimitris Papalexopoulos, Eleni Kalafati,  prefazione di Antonino Saggio. Ed. Edilstampa ANCE 2006