Tassidermia, overtourism e desertificazione delle città storiche.
Da circa 2 anni la pandemia di Covid19 ha moltiplicato le inquietudini delle grandi città, a volte sono sfociate in vere e proprie crisi. Allo stesso modo molti “errori” umani sono quasi sempre la cartina al Tornasole della vulnerabilità del territorio alle calamità geologiche. Con la pandemia alcune parti di città, se non intere aree o quartieri vocati e “specializzati”, un tempo sovraffollati si sono paradossalmente d’un tratto desertificati. Le sofferenze urbane, al di là della comune percezione, non si palesano soltanto nelle aree dismesse o periferiche delle città, da diversi anni si evincono segnali di evidenti di crisi anche in diversi quartieri centrali a valenza storica. Vaste aree urbane delle città dedite al turismo o a similari attività di nicchia sono rapidamente passate dall’Overtourism alla recente la Desertificazione.
Il mondo invidia il patrimonio diffuso delle tante città d’arte italiane, non soltanto per la loro struttura urbana e i monumenti, anche per le tradizioni locali, i paesaggi, le eccellenze enogastronomiche. Tutti subiamo la profonda fascinazione delle città italiane, tutte diverse ma con caratteri affini; modelli che nella varietà della forma urbana ripetono alcuni principi della loro morfogenesi.
Il viaggio, sino alla metà del XIX sec. è stato una prerogativa dei nobili, dei gentiluomini che andavano in Europa, soprattutto in Italia, per completare la loro formazione. Il Grand Tour ha caratterizzato due secoli si riscritture letterarie e grandi scoperte, anche interiori. Dalla fine dell’Ottocento al primo dopoguerra è stata anche la prerogativa di persone colte, artisti, degli intellettuali. Dal secondo dopoguerra è nato il Turismo di Massa, diventando una delle principali attività economiche del ‘900, “Il turismo è il frutto di due rivoluzioni, una tecnologica, delle telecomunicazioni e dei trasporti, che è poi la rivoluzione del capitalismo (uccidere lo spazio per mezzo del tempo), la quale ha reso possibile il viaggio, e la rivoluzione sociale che ha reso possibili i viaggiatori: l’introduzione del tempo libero retribuito, piuttosto recente.”
Come descrive D’Erasmo “È straziante assistere all’agonia di tante città. Città gloriose, opulente, frenetiche, che per secoli, e a volte per millenni, erano sopravvissute alle peripezie della storia, a guerre, pestilenze, terremoti. E che ora, una dopo l’altra, avvizziscono, si svuotano, si riducono a fondali teatrali su cui si recita un’esangue pantomima” con l’ormai consueta omologante teoria di paninari, pizzerie, negozietti di souvenir e le friggitorie.
L’Italia è dotata di norme di tutela come nessun altro paese, a volte, sono fin troppo rigide ed asfissianti e hanno imbalsamato edifici e quartieri. Paradossalmente le stesse norme, addirittura, hanno accelerato il consumo turistico, la cancellazione della città storica attraverso la sua turistificazione.
“Alcuni brani monumentali delle città, rischiano – come descrive d’Erasmo – forme di “Tassidermia”. Molti edifici sono diventati simili a dei fantasmi di pietra, che riflettono lo splendore di una civiltà scomparsa o in lenta via d’estinzione, in cui i palazzi diventano delle quinte scenografiche.”
Nell’elzeviro dal titolo Urbanicidio a fin di bene, Marco d’Erasmo, con un notevole, lucidissimo e pungente piglio provocatorio, espone le ragioni di un titolo così eclatante. In altre parole, malgrado le buone intenzioni dell’UNESCO, nella maggior parte dei casi tale brand – questa la definizione di d’Erasmo – “marchia a fuoco per sempre”, diventa paradossalmente simile ad “un killer seriale di città, marchio che dissangua e imbalsama villaggi gloriosi, metropoli millenarie, sottraendo il tempo al naturale divenire”.
La più grande ambizione dei politici delle città d’arte è potersi fregiare del riconoscimento, dell’ambita “griffe” dell’UNESCO che attira i promoter turistici che cercano di trarre un importante tornaconto economico, tutto ciò attiverà “a cascata” la filiera turistica di massa, dal “pizzettaro”, ai souvenir, alla ristorazione diffusa, alla diffusione capillare dei B&B. Tutto ciò sarà il primo passo dell’espulsione dei residenti storici.
Uno status che accelera alcuni fenomeni caratterizzanti il paradosso contemporaneo, costituito da un micidiale mix di visioni divergenti del “patrimonio da tutelare” e contemporaneamente del suo eccessivo “consumo” a causa dell’industria turistica che produce una frenetica fruizione, la quale ne snatura il carattere e la peculiarità del bene da salvare.
“L’UNESCO viene di volta in volta chiamata in causa – a volte a piacimento, come se si trattasse del grande “gendarme planetario”. L’importante istituzione mondiale viene confusa da alcuni come se si trattasse di un ente certificatore di qualità garantita”
Sembra improbabile che senza il riconoscimento UNESCO gloriose città d’arte possano precipitare in una sorta di blacklist o nella serie “B” mondiale delle bellezze dell’umanità?
“C’è da aggiungere che alcuni siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO corrono il rischio per un eccesso di “amore” di subirne, a volte “anche involontariamente”, a causa degli stessi “buoni propositi” – di cui alcuni traggono profitto – irreparabili danni.” “D’altronde, è ormai risaputo, ahimè, che alcune iniziative “etiche” quelle “a fin di bene” rischiano di innescare involontari ed imprevedibili meccanismi che conseguono risultati – a volte – peggiori degli iniziali propositi.”
Lo sfruttamento intensivo del turismo di massa, la “turistificazione“, ha reso predatorie le più belle città d’arte italiane. L’immaginario comune percepisce l’enorme giacimento delle bellezze naturali, artistiche, architettoniche e anche gastronomiche come una sorta di “petrolio verde” nazionale da immettere nel mercato turistico, tutto ciò ha favorito negli anni politiche che hanno incrementato ed esaltato la vocazione turistica di tanti centri storici e delle città d’arte italiane. Le città storiche si svuotano dei residenti stabili, tanto che da qualche anno si sta parlando sempre più di desertificazione dei centri storici delle città minori.
A Venezia la sostituzione delle attività, la migrazione dei residenti e la specializzazione turistica hanno stravolto, da almeno cinquant’anni, il fragile equilibrio delle città. Ultimamente la pandemia, per l’opposto, ne ha acuito la crisi con la desertificazione urbana.
La città è stata invasa ogni anno da circa 25 milioni di turisti con un indotto stimato di circa 2,5 miliardi di euro, in una città di circa 50 mila residenti. Molteplici navi da crociera quotidianamente “scaricano” nella città decine di migliaia di turisti.
La pandemia ha evidenziato, tra le molteplici fragilità contemporanee quella dell’industria turistica. Le norme anticontagio hanno reso complessa ogni azione quotidiana, ancor di più i collegamenti internazionali, i trasporti pubblici, aerei, marittimi e ferroviari. Molte attività ricettive e culturali hanno subito un grave contraccolpo, maggiormente gli alberghi, i musei, gli esercizi commerciali e gli eventi di ogni genere.
Le piazze e le città, il più grande patrimonio architettonico ed urbano italiano, con la mancanza degli onnipresenti turisti e la prolungata chiusura si sono trasformate, per diversi mesi, in una teoria di desolanti saracinesche chiuse. I centri storici, simili a stucchevoli parchi tematici al servizio esclusivo della “rappresentanza” urbana e del consumo turistico, come se fosse una sorta di “gioielleria urbana”, apparivano terribilmente vuoti e allo stesso tempo di desolante bellezza.
Non bisogna soltanto alleggerire la pressione antropica delle grandi città, urge riequilibrare lo sbilanciamento eccessivamente turistico delle città storiche. La rigenerazione dei centri minori non si può confondere con l’attuale moda dell’action painting urbano, i murales e le piacevoli azioni di alcuni artisti e le innumerevoli stravaganze di tanti altri, non sono la scena teatrale dello sbalordimento. “Rigenerare i centri storici significa anche riportare quei luoghi, quelle strade ad essere di nuovo densi di scambi, relazioni, socialità e vita civica, di residenti stabili.
Le Amministrazioni locali hanno, quindi, il compito di ribaltare le sorti dei nuclei storici con decisioni forti e coraggiose incentivando l’utilizzo del patrimonio edilizio esistente e inutilizzato e delineando nuove vocazioni per i propri territori.”
Note
G. Battiston, La bolla dell’overtourism si è sgonfiata, ma tornerà presto a crescere: intervista a Marco d’Eramo
M. D’Erasmo, Urbanicidio a fin di bene, Domus 982 / luglio–agosto 2014
V Latina, Fantasmi di Pietra, “la Battaglia di Venezia”, Francesco Venezia, Vincenzo Latina, dEditore, 2017
Giulia Cantaluppi, Matteo Persichino, Abbiamo bisogno di un piano contro la desertificazione dei centri storici,
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