Il confine violato. L’attualità di Romolo e Remo.
L’invasione russa dell’Ucraina ha focalizzato l’attenzione planetaria verso città e villaggi prima della guerra poco note, in precedenza poco pronunciate e che l’informazione globale, d’un tratto, ci ha reso partecipi del loro quotidiano dramma. La fiera e tenace difesa del confine e dell’integrità territoriale si sta traducendo in un disastro umanitario senza precedenti, con un prezzo altissimo di vite umane e di danni di ogni genere. Gli Ucraini, allo stesso modo di molte nazioni hanno attribuito sacralità al confine, un valore assoluto che corrisponde alla vita stessa della comunità.
Negli ultimi giorni le agenzie di stampa riportano notizie particolarmente preoccupanti di una plausibile minaccia nucleare russa a Parigi, Berlino, Londra che annullerebbe ogni confine. Missili in grado di compiere in pochi minuti di migliaia di chilometri, di attraversare i cieli di molti Stati, per colpire dall’altra parte del globo una nazione, una regione, delle città e di cancellarle definitivamente.
Proprio in questo periodo il confine assume peculiari significati. Come descrive Claudio Magris in Come i pesci il mare… “i confini muoiono e risorgono, si spostano, si cancellano e riappaiono inaspettati. Segnano l’esperienza, il linguaggio, lo spazio dell’abitare, (…) la società con le sue divisioni, l’economia con le sue invasioni e le ritirate, il pensiero con le sue mappe dell’ordine”.
Esiste una moltitudine di significati di confine; l’etimologia indica il termine come un limite estremo che separa una proprietà di qualsiasi tipo, territoriale, linguistica, sociale, da un’altra. Può essere fisico, geografico, politico, biologico, culturale, psicologico.
Ogni giorno ci confrontiamo e ci relazioniamo con spazi più o meno limitati, il confine tra il reale e l’immaginario, tra le norme.
Nella psicanalisi l’abbattimento totale dei confini è a volte interpretata come un sintomo di grave patologia, della frenesia euforica del megalomane, una forma di schizofrenia che genera un senso di onnipotenza, all’opposto di smarrimento o di perdizione totale, che possono generare delle forme di allucinazione, la smania di superare tutti i limiti, i confini naturali. Di interpretare i confinanti come nemici e immaginare un’ecatombe nucleare, proprio come sta accedendo in questo periodo nella mente di qualche despota o oligarca russo.
La definizione di uno spazio di azione, di permanenza o di relazione, anche di sostentamento e produzione è insita negli umani, tra i primigeni atti si può immaginare la demarcazione di un campo, equivale all’azione dell’uomo sulla terra, il primo solco necessario per costruire, per coltivare, per difendersi dalle paure reali o immaginarie.
Gli architetti costantemente operano all’interno di confini e di spazi definiti. La misura è una condizione essenziale della costruzione dello spazio; definire il perimetro, la soglia, il recinto, la porta, il rimo, la distanza sono le azioni elementari di ogni architetto. Gli umani tendono istintivamente a vivere all’interno di spazi definiti, circoscritti, delimitati da recinti. Hanno bisogno di avere attorno a loro dei muri, delle pareti, delle soglie che ne strutturino lo spazio, li proteggano da alcune istintive paure ancestrali.
Allo stesso tempo il limite, il confine può trasformarsi in un grande catalizzatore che attiva l’immaginazione, l’universo dell’oltre. Una delle più emblematiche e liriche poesie del confine è l’Infinito di Leopardi. La siepe è la barriera, le frizioni, il peso della condizione esistenziale, il confine può diventare anche il desiderio di andare oltre il limite imposto e di superalo con l’immaginazione; l’ostacolo contribuisce ad acuire dei sensi, per farsi trasportare oltre il contingente, lo smarrimento e in alcuni casi il dolce naufragio nel mare delle emozioni.
Al di là del confine, gli altri possono diventare ancor più “diversi”, o in molti casi “stranieri”. Se la demarcazione delle differenze tra il proprio territorio, le proprie radici, le tradizioni, la lingua, l’economia, la religione diventano drammaticamente forti ed esclusive non si scorgerà soltanto l’estraneo, ma un potenziale “nemico” reale o immaginario che sia.
L’eccessiva protezione, o l’esclusività di una piccola comunità familiare, di persone mosse da interessi comuni, sino alle più estese comunità urbane, regionali e nazionali può generare una distorta condivisione delle aspirazioni; col tempo potrebbero trasformarsi in incubi collettivi, sino alle estreme e distorte visioni di un “destino comune”. Nel secolo scorso è stato uno dei fattori scatenanti dell’ideologia nazista e fascista fondate sul primato della razza.
Il senso del territorio, dell’area di azione, di protezione e di “caccia” (procurare gli alimenti e le risorse necessarie alla vita) sono innate negli umani, sono una delle tante tare che ci accomunano al mondo animale.
Le lotte per il territorio, per una tana, per un terreno di caccia, un confine e le risorse sono insite nell’istinto animale. Gli umani, all’apice della catena globale, a differenza di tutti gli altri esseri viventi, ahimè hanno la tecnologia, i mezzi, per condurre azioni ostili ben oltre il proprio territorio. Sono in grado di distruggere non soltanto i “nemici” di prossimità, ma anche tutto quello che li circonda. È come se una colonia di formiche per difendersi da una colonia estranea o aliena incendiasse l’intera foresta.
Gli esseri umani allo stesso tempo hanno pure un innato senso per l’accoglienza per aprire i confini al soccorso dei consimili in estrema difficoltà, ai profughi che fuggono dai conflitti e dalle crisi climatiche e alimentari.
Come accennato, il confine è anche dettato dalla natura fisica del suolo, i mari, fiumi, catene montuose, da ragioni pratiche come il campo d’azione di una o più comunità per reperire le risorse o dalla necessità di stabilire delle distanze di sicurezza tra comunità diverse.
Il recinto è una delle espressioni del confine, è la costruzione del riparo, della prima casa, del villaggio, della fortificazione delle città antiche.
La costruzione del recinto, dei limiti, dei confini delle città, la definizione degli spazi, delle soglie, è allo stesso tempo il loro superamento sono state da sempre una delle più alte espressioni umane, dell’ingegno, della ricerca speculativa, filosofica e religiosa. Nell’antichità il recinto, il confine ha difeso gli esseri umani da molteplici pericoli, dai predatori, dai fenomeni climatici avversi e da altre comunità antagoniste.
L’origine dell’architettura è stata presumibilmente la costruzione del primo riparo, del recinto. Senza la costruzione del limite non esisterebbe la misura, la percezione dello spazio. Delimitare un recinto di un villaggio o il limite di una città antica ha avuto molteplici valenze. Il solco è un atto violento che richiede offerte alle divinità, per le quali si offrono riti propiziatori, con la speranza di riscuotere buoni auspici.
Nell’antichità, le fasi lunari, solari, il calendario delle ricorrenze, le preghiere, i sacerdoti, le manifestazioni della natura erano essenziali alla definizione del limite; attraverso lo scavo del primo solco dove poi si imposteranno le fondazioni delle case, delle mura delle città. In Giappone tutt’ora persiste nella religione scintoista, anche in quella cattolica, il battesimo e la cerimonia augurale della prima pietra. Se nell’antichità si compievano sacrifici animali e si offrivano libagioni, oggi alle inaugurazioni si stappano bottiglie e si ingurgita finger food.
La fondazione della città
Nella torre dei Balivi di Aosta, strutturante dell’impianto dell’Urbe, durante una recente campagna di scavo è stata rinvenuta la testimonianza della fondazione di Augusta Praetoria, oggi Aosta; la pietra angolare che raffigura due falli contrapposti. L’aratro che feconda la terra, la posa della prima pietra angolare in travertino raffigurante due falli, erano fondamentali “Nella sfera religiosa romana il fallo, o fascinus, come lo definisce Plinio il Vecchio, svolge un’indipendente funzione di guardiano dei luoghi, protettore della città, dei campi e delle singole case“.
Fondare città romane era un formidabile mix tra una sviluppata cultura topografica, scientifica, ingegneristica, tecnica ed astronomica, ma sovente era il ricorso al divinatorio, come se la scienza da sola non bastasse.
La storia a volte viene riproposta, si carica di eccessive valenze simboliche che inesorabilmente si riveleranno gravide di cattivi presagi. Mai così funesta fu la frase “È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende. E il vomere e la lama sono entrambi di acciaio temprato come la fede dei nostri cuori”. Benito Mussolini
La fondazione di Roma, la leggenda di Romolo e Remo.
Una delle più emblematiche rappresentazioni della costruzione del limite è la fondazione delle città, tra tutte Roma, le vicende che legano la leggenda di Romolo e Remo.
I romani prima della costruzione delle città celebravano riti propiziatori chiamati “Condēre”; ha molti significati, fondare, seppellire, narrare, celebrare, custodire …
“Il rito complesso della fondazione di una città romana prevedeva l’intervento di Giove”.
Importante era l’osservazione del volo degli uccelli prima del sorgere del sole, si chiamava auspicium, significa “osservazione degli uccelli”, indica la richiesta di un segno divino, una risposta in riguardo all’opportunità di poter compiere una o più azioni. Tale prerogativa era di competenza dei magistrati.
Altra pratica essenziale alla fondazione delle città o al tracciamento di un confine era l’augurium, che significa “accrescimento”, era di competenza esclusiva della stirpe regale o principesca, o di appositi sacerdoti gli augures; il rituale consisteva nella richiesta di un’approvazione ad un cambiamento stabile dello status di una persona o di un luogo, assenso che proviene dagli dei stessi e che aveva carattere definitivo.
Importanti erano la coincidenza degli astri, le fasi lunari, le ricorrenze, le nascite di imperatori per tracciare il primo solco, il limite, il recinto, “fondare equivaleva a celebrare un rito e insieme a seppellire e nascondere ciò che costituiva la sacralità…”
Solo dopo tali cerimonie subentravano gli agrimensori, i quali con i loro strumenti tracciavano la campagna, facendola diventare base della città.
La sacralità dei confini era un’eredità etrusca, Giove impose, al fine di evitare dispute tra gli abitanti, tra i coltivatori, di misurare e contrassegnare i campi contro l’avidità umana.
Nella modernità fondare città è desueto, quando accade diventa prevalentemente una pratica urbanistica, una quantificazione “politico-economica” dei suoli e dell’infrastrutture. Dopo arriva l’alto prelato che spruzza un po’ di acqua santa sul terreno e sugli astanti. Lo stesso avviene per l’inaugurazione di alcuni bar o dei centri commerciali.
Nell’impero romano la cinta muraria svolgeva un ruolo fondamentale nella definizione della città, sanciva con precisione la differenza fra il “dentro” e il “fuori”, allo stesso modo fra la civiltà romana e la barbarie, fra ordine delle leggi condivise e il caos. Tutto ciò è un elemento costitutivo e fondante della città. Chi vive oltre il confine non appartiene alla comunità, se il confine viene arbitrariamente superato lo straniero diventa nemico.
Nella leggenda della fondazione di Roma, Remo con un salto vìola la sacralità del solco, del confine; chi compie tale azione, anche il fratello, viene punito con la pena capitale.
Il fratricidio è causato dall’attribuzione della sacralità del solco o della cinta muraria, e Plutarco ne spiega le ragioni “Così si ritiene che … Romolo abbia ucciso il fratello, perché aveva tentato di oltrepassare un luogo inviolabile e sacro e renderlo attraversabile e profano”
(Questioni Romane 11, 4).
Secondo alcune interpretazioni Remo oltrepassa il solco primigenio per negare la sacralità della fondazione. Invece per Romolo, non poteva lasciare impunito il salto di Remo perché avrebbe significato che le mura potessero diventare “attraversabili e profanabili”. L’unico modo per rimediare a ciò era la morte del trasgressore, senza distinzione di sorta, anche del fratello; era la condizione essenziale per ristabilire o sancire la sacralità e l’inviolabilità delle mura, del confine. La leggenda, a distanza di migliaia di anni mantiene inalterata la sua valenza simbolica e la possiamo riscontrare continuamente nelle dispute territoriali e nell’attuale tragica vicenda Ucraina.
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