Riflessioni per la “RIGENERAZIONE URBANA DI PIAZZA UMBERTO I A SANT’ONOFRIO”
Vi sono comunità nelle quali persiste ancora un forte radicamento nel territorio, piccoli paesi italiani che resistono, o perlomeno cercano di recuperare varie forme di identità. Negli ultimi anni il restyling urbano ha ridefinito i caratteri simbolici e la fruizione di molti luoghi pubblici.
Le norme di per sé complesse ed un sistema burocratico a tratti asfissiante rendono particolarmente complessa la realizzazione di nuovi edifici pubblici o il loro recupero senza che si inneschino meccanismi perversi di appalti ed esecuzione dei lavori estenuanti, di decennale durata, con costi più che raddoppiati.
Tutto ciò ha favorito un pullulare di sistemazioni di piazze e strade di ogni genere, alcune di queste sono dettate da plausibili esigenze di risanamento e sistemazione, altre invece sono mosse anche da un resoconto elettorale, dall’esito immediato, dall’efficienza del risultato.
Nella moltitudine degli interventi, alcuni veramente pregevoli (pochi a dire il vero), altri di mero restyling si annoverano tanti interventi ridondanti, ammiccanti, accomunati dall’accumulazione di suppellettili di arredo urbano che invadono gli spazi pubblici, dalle piazze ai marciapiedi, acquistati in una sorta di supermarket urbano-digitale delle immagini e degli oggetti che tutto uniforma annullando le peculiarità di alcuni contesti urbani.
Le strategie di progetto dello spazio pubblico, si potrebbero riassumere in due grandi gruppi: i luoghi pubblici delle grandi città da una parte, e le piccole città di provincia, i paesi e i piccoli borghi italiani dall’altra.
• L’enfatizzazione dello spazio pubblico
Alcune grandi città, da qualche anno, sono pervase dal sensazionalismo dell’”urbanistica tattica”, la quale, pur nelle plausibili premesse, si pone di recuperare aree periferiche abbandonate di alcune metropoli Sudamericane, così da connotare spazi residuali e trasformarli in luoghi d’incontro. In Europa in special modo, sono state eseguite sperimentazioni all’interno dei tessuti compatti e tale pratica si è rapidamente trasformata in una specie di calamità urbana.
Un po’ come accade con alcune specie “aliene” vegetali o animali che stravolgono delicati habitat naturali. L’atto di spargere “secchiate” di vernice a “gogò” è in apparenza un’operazione effimera foriera di allegria, ma, nei fatti, alcuni materiali e vernici non sono facilmente degradabili.
La facilità di esecuzione e l’economicità di tali interventi, “lenzuolate” urbane di tinture colorate, raccoglie il facile ed immediato consenso del cittadino medio e della stampa dedicata.
I rilevati stradali restano in molti casi intatti, per marcare in sicurezza l’area carrabile da quella pedonale si fa spesso largo uso di vasi, paletti e dissuasori di ogni genere, di oggetti che proteggono dal pericolo incombente della complanarità del traffico veicolare.
All’interno di suddette aree si fa largo uso di giocosi disegni colorati, scacchiere, campi astratti e disegni di ogni genere, ai quali poi vengono addizionate panche di legno per il picnic, come se ci si trovasse in un bosco attrezzato della Valtellina, ed invece si è nel mezzo della città, a volte del traffico urbano. Si ricostruisce una sorta di piccolo fiabesco parco tematico, come in Alice nel paese delle meraviglie, ma all’interno della città, immaginata come un “Disneyland urbano”.
Il gusto comune ormai anestetizzato da immagini sempre più accattivanti e spettacolari richiede esercizi ancora più attraenti, un po’ come certi volatiti che per attirare le femmine si tingono di colori particolarmente intensi. Sono interventi facilmente eseguibili e allo stesso tempo deteriorabili, le vernici colorate, la patina in pochi mesi vengono irrimediabilmente aggrediti dalle piogge acide, dal sole che ne modifica irrimediabilmente la gamma tonale e fino all’abrasione dovuta all’usura.
In modo inverso, ma con risultato simile, molti piccoli borghi e piazze di centri urbani sono sovraccaricate da eccessi formali storicizzanti, che trovano espressione nei molteplici disegni delle pavimentazioni, nell’accumulazione delle panchine e delle suppellettili, da un arredo urbano che enfaticamente cerca goffamente monumentalizzare ogni cosa. La ricerca del blasone urbano attraverso il camuffamento.
Tali interventi, eleganti e suadenti, allo stesso modo dell’urbanistica tattica, snatureranno il carattere di molti luoghi; sono l’espressione di una società che ha smarrito il senso della bellezza della prosa, come se si fosse persa l’attitudine di gestire la grammatica urbana.
• Sintassi e grammatica urbana
Le pause, la punteggiatura sono casuali e ingombranti, specialmente tra gli internauti, tra i blogger, tra chi frequentemente utilizza i social. Allo stesso modo in architettura, nella città, nei brani della struttura della città, regolata da alcuni importanti principi che ne determinano la forma, tra compattezza e rarefazione.
La piazza è uno dei principali strumenti che regola la scansione delle dinamiche della città, è il luogo del racconto urbano, un teatro nel quale la comunità agisce e si rappresenta, dove sono avvenuti e avvengono accadimenti violenti, feste, fiere, mercati, eventi di popolo e di potere di ogni genere. La piazza è rarefazione, una pausa, un momento in cui la continuità della struttura urbana decanta, un “vuoto” carico di presenze di ogni genere. Un intervallo necessario che consente di apprezzare e riconoscere le gerarchie urbane.
La gestione delle pause in architettura è sempre stata una peculiarità, cosa rara, oggi ancor di più.
Propongo, quindi, una mia riflessione scritta per la postfazione di un volume di progetti di un collega, professore universitario e valente architetto progettista: “Una virgola fuori posto può modificare una narrazione, una pausa anche breve può far assumere ad un testo significati molto diversi. Nel film La Stranezza, una delle scene più esilaranti vede Pirandello divertito che, nascosto in un loggione, assiste alle prove della commedia di due improvvisati registi-attori, La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu. Un goffo recitante dal palco mal dispone la pausa cambiando così il senso del copione: invece di ripetere «non ho nessuno scopo e sono felice», ripetutamente recita «non ho nessuno, scopo, e sono felice».
Nonostante i registi richiamino più volte l’attore a non fare pause, non c’è nulla da fare, basta una pausa e … scatta il sorriso di Pirandello, degli attori teatrali e del pubblico che guarda il film nella platea cinematografica”.
Le pause, le punteggiature sono molto importanti, la risposta della Sibilla al soldato che consultava l’Oracolo per l’esito di una missione, di una guerra, si poteva interpretare agli opposti attraverso una pausa ed era qualcosa di vitale: Ibis, redibis non, morieris in bello (andrai, non ritornerai, in guerra morirai) Ibis, redibis, non morieris in bello (andrai, ritornerai, in guerra non morirai)”.
Come comprendere il carattere dei luoghi, così da trasformarli in linguaggio adeguato? Come risemantizzare le eccezioni e allo stesso tempo restituirne le sospensioni, le pause, un senso di comunità di domesticità condivisa? Si può codificare la sintassi, la grammatica compositiva? Ovviamente è errato redigere decaloghi, “i dieci comandamenti dello spazio urbano”, sarebbe una chiara manifestazione di arroganza intellettuale, di ortodossia annichilente. Ogni luogo ha dei codici, alcuni anche un’aura, per cui sono necessari progetti tagliati su misura, progetti sartoriali. Non il bricolage o peggio ancora al rammendo urbano, tanto abusato negli ultimi anni, non c’è nessuna biancheria da rattoppare.
Bisogna leggere i tessuti e saperli tagliare, misurare sul corpo della città, per cucirli addosso ad essa. L’architettura della città dello spazio pubblico è simile all’arte sartoriale.
Ricucire i bordi con l’esistente, disporre la tessitura dei basolati dei rivestimenti, regolarne i dispositivi urbani per la sosta e l’incontro, l’ombra estiva, il soleggiamento invernale, rifuggendo dall’onnipresente arredo urbano dal carattere generalista che si adatta ad ogni luogo.
Evitare il clamore ambientale-vegetale tanto di moda; piantare specie vegetali, siepi, ed alberi sempreverdi per i climi particolarmente caldi, per goderne dell’ombra, o per definire con maggiore forza come dei layer, differenti piani percettivi.
Preferire quando è possibile un design laconico, “senza tempo”, lontano dalla moda, dalla bulimia cacofonica dei tracciati incastonati sulle basole, a meno che il contesto non sia eccezionale e lo richieda.
Le sospensioni sono anche le relazioni a distanza, il vuoto non è assenza di argomenti, è aria suono rarefazione, immaginazione; un’attesa che fa percepire cosa potrebbe accadere nella variabilità atmosferica, delle relazioni umane. Gli spazi dell’immanenza sono intimamente connessi al significato stesso di piazza.
Far sì che il “nuovo” s’innesti con alterità calcolata, i materiali siano rispondenti ai materiali reperibili del territorio, utilizzare tecniche consolidate; la sostenibilità della riqualificazione urbana è disporre materiali di lunga durata, con spessori adeguati differenti in relazione alla loro collocazione, un gradino, un massello hanno caratteristiche diverse dalle superfici e dai rivestimenti. Utilizzare materiali e tecniche di installazione che esprimano il territorio, o già sperimentati nelle città.
• Prime riflessioni per la ricostruzione urbana di Piazza Umberto I a Sant’Onofrio
Sant’Onofrio come molte cittadine del Sud Italia presenta molte peculiarità identitarie, dista pochi chilometri da Pizzo Calabro (città di grande valenza turistica) e da Vibo Valentia (capoluogo di provincia).
Il senso di radicamento e decentramento, fa sì che le trasformazioni siano più lente e permane un attaccamento ad alcune tradizioni, riti, eventi, feste e processioni, che fanno presupporre un senso di comunità.
Piazza Umberto I di Sant’Onofrio è prevalentemente una strada passante, dei larghi marciapiedi laterali e diversi piani soprelevati che realizzano delle vere e proprie balconate continue, che si protendono anche in altre strade del centro urbano. Il piano “attico” che si protende sulla strada conferisce una peculiare di teatralità urbana che trova esaltazione in alcuni riti religiosi che si celebrano in piazza Umberto I che diventa un concentrato di emozioni, sensazioni, dove fede e folclore trovano la scena ideale a Pasqua con l’incontro tra la Madonna e il Cristo risorto.
È una festa che coinvolge l’intera comunità, la quale si ritrova nella piazza principale; nello spazio passante s’incontrano due gruppi, nella solenne “Affruntata”, che portano a spalla i simulacri della madonna e del Cristo appena risorto; negli ultimi metri, proprio nella piazza, di corsa avviene l’incontro nel tripudio collettivo che si carica di molteplici auspici, riti antichi rinnovati dalla cristianità.
La piazza e i suoi piani attici soprelevati diventano così teatro nel teatro, e il progetto non può che registrare e favorire maggiormente tale peculiarità.
La piazza è caratterizzata da tre singolari oggetti: la fontana monumentale, il monumento ai Caduti della prima guerra mondiale e la stele del crocefisso, sono in Marmo di Carrara e Travertino e costituiscono dei punti focali che dialogano a distanza strutturando, in piccola scala, assi ottici e relazioni spaziali tipiche delle città barocche.
Il progetto esalterà la teatralità dei salti di quota, delle rampe, degli oggetti singolari, della messa a dimora di piante e siepi, così da ricreare nuovi fondali e quinte spaziali un tempo presenti.
La riscrittura del testo prevede l’eliminazione di alcuni elementi di disturbo addizionati nel tempo, un design asciutto che non prevarichi, piuttosto che ne ridefinisca il carattere, che ricomponga la tipica ambivalenza dello spazio pubblico delle cittadine del Sud Italia, la sua peculiare domesticità urbana, senza eccessiva enfasi. La piazza è gli edifici che la definiscono. Riappropriarsi del luogo pensato per le processioni, le feste, le persone e le stagioni, per le persone, i principali attori del teatro urbano del quale l’architettura ne registra e ordina le dinamiche. Senza troppo pudore si intende recuperare la pratica del restauro urbano dello spazio pubblico della piazza italiana famosa in tutto il mondo, della quale molti ne hanno smarrito il senso, la misura, la valenza.