La Méduse e le “Zattere alla Deriva”.
il 15 maggio 2021 avevo scritto una breve riflessione, poi, i tragici accadimenti del 23 maggio con il crollo della cabina della funivia del Mottarone mi hanno spinto a scrivere l’incipit.
26 maggio – Nel giro di tre giorni la Procura di Verbania, a tempo di record, forse con eccessiva rapidità, impone una svolta all’inchiesta del disastro della funivia del Mottarone facendo arrestare tre responsabili della funivia. Pare che ci sia la confessione della manomissione del sistema frenante, così da poter riaprire al più presto e non perdere turisti. Eppure la funivia era stata revisionata di recente, anche se c’erano molti segnali di mal funzionamento. Il profitto a volte va oltre ogni buon senso.
Il bambino Eitan si risveglia dal coma indotto.
23 maggio – Una cabina della funivia del Mottarone precipita nel vuoto con il suo bilancio funesto, una strage nuclei familiari annientati, 14 persone morte, e un bambino di 5 anni superstite, vivo per miracolo, è in gravi condizioni, la prognosi è riservata.
15 maggio – Il 2 luglio 1816, la fregata francese la Méduse per risparmiare tempo e costi si distaccò dalla flotta aumentando la velocità, cambiò rotta e finì in una secca a 160 chilometri dalla costa della Mauritania. Il Naufragio della nave è da imputare alla negligenza del comandante e alla scarsa conoscenza dei mari.
L’intero equipaggio era costituito da circa 400 marinai. Alcuni ufficiali restarono sulla fregata, la maggior parte dei marinai circa 250 si salvarono sulle imbarcazioni di salvataggio, il resto della ciurma, circa 150 disperati, finì su una zattera appositamente approntata alla buona e messa al traino delle barche.
A causa dell’eccessivo peso dei naufraghi la zattera iniziò ad affondare, per evitare peggiori conseguenze fu tagliata la fune di traino e fu lasciata alla deriva. Dopo alcuni giorni l’equipaggio stremato ed affamato, per sopravvivere, si abbandonò al cannibalismo. Al tredicesimo giorno del terribile naufragio il battello Argus trasse in salvo alcuni sopravvissuti, alla fine ne torneranno a casa soltanto in 15.
Theodore Géricault, aveva soltanto 29 anni quando descrisse il drammatico naufragio con dovizia di dettagli anatomici e delle terribili testimonianze dirette dei pochi sopravvissuti. Il dipinto suscitò subito grande scandalo. Fu reputato troppo drammatico per il gusto del momento.
Invece l’opera diventò uno spartiacque, aggiunse il dramma, le forti emozioni all’arte francese. Inizierà una “tendenza” che si sostituirà lentamente all’ideale Neoclassico del momento.
La Méduse ci ricorda alcuni recenti drammatici naufragi nel mediterraneo.
In realtà, la zattera abbandonata alla deriva potrebbe essere anche la metafora di alcune negative peculiarità italiane, come la fragilità idrogeologica del territorio, la vulnerabilità sismica, il vasto e vetusto patrimonio delle infrastrutture, ponti, autostrade, per non parlare degli edifici pubblici, in particolare le scuole, realizzate dal dopoguerra in poi.
Carente è l’attitudine alla pulizia programmata degli alvei dei fiumi, dei boschi.
La scarsa manutenzione degli edifici, sia pubblici sia privati, ha accelerato l’invecchiamento precoce e generalizzato delle infrastrutture realizzate dal secondo dopoguerra, alcune di queste con qualche peccato originale nell’esecuzione.
Anche se le recenti norme delle opere pubbliche obblighino alla redazione del piano di manutenzione, così da poterne prevedere la vita e le possibili azioni programmate così da ridurne la vulnerabilità, risultano ancora diffuse le omissioni nei controlli, inesistenti i monitoraggi e le scarse manutenzioni.
Non ne sono esenti persino le opere che hanno dato lustro alle imprese e all’ingegno italiano, che hanno in passato goduto di temporanea “gloria” della ricostruzione, della rinascita post bellica del paese e che hanno visto l’apporto delle più grandi personalità del momento.
Molte opere sono accomunate da un comune destino. Come se fossimo pervasi da un senso di diffusa smemoratezza, di oblio, o forse è l’esercizio di una devastante economia rapace ed omissiva?
Negli ultimi decenni appena si è conclusa una nuova opera pubblica, generalmente, la si è “abbandonata” a sé stessa. La smania della novità, le norme sempre più severe, l’aggiornamento dei codici e politica taglia nastri inaugurali ha prediletto il nuovo facile, accessibile, dai tempi certi per un sicuro tornaconto elettorale.
Capita spesso di vedere piazze soventemente rinnovate da nuovi lastricati, da un asfissiante arredo urbano o da folta vegetazione che simuli le Urban Giungle.
Nel frattempo, molte scuole italiane versano nel degrado delle suppellettili e delle strutture.
Molte opere pubbliche sembrano simili a “zattere alla deriva”, in balia delle correnti, delle onde e dei “pirati”.
A volte, con un po’ di fortuna, dopo qualche anno di abbandono, sempre che non sia troppo tardi arriva qualche “scialuppa di salvataggio”, simile al battello Argus.
Le infrastrutture italiane, le opere pubbliche e le scuole pubbliche, università comprese ne hanno proprio bisogno.
Emblematica è la vicenda del ponte Morandi sul Polcevera, quasi certamente tra le possibili cause del crollo potrebbe imputarsi l’assenza delle necessarie manutenzioni e degli improcrastinabili lavori straordinari. Sarà la magistratura ad accertarlo.
Il crollo del ponte Morandi a Genova ne è un emblematico esempio.
È il 1979, a scrivere è l’ingegner Riccardo Morandi “Penso che prima o poi, e forse già tra pochi anni, sarà necessario ricorrere a un trattamento per la rimozione di ogni traccia di ruggine sui rinforzi esposti», perché «la struttura viene aggredita dai venti marini», dall’«alta salinità», dai «fumi dei camini» del vecchio stabilimento Ilva”.
In quarant’anni si è intervenuto solo parzialmente, il tragico epilogo lo conosciamo.
Il ponte Morandi è soltanto la punta di un Iceberg che nella parte subacquea si estende diffusamente da nord a sud, sovente crollano porzioni di viadotti, si segnalano pericoli alle infrastrutture, si sfondellano i solai delle scuole. Gli argini e gli alvei dei fiumi non curati, si trasformano a causa delle torrenziali piogge in mortali torrenti alluvionali, dal Bisagno a Genova, a Sarno, per arrivare in Sicilia a Giampilieri. Sono soltanto sparuti esempi.
Ogni opera necessita di cura e programmazione della sua gestione. Senza ciò il complesso sistema delle costruzioni, la tecnologia e gli impianti vanno in tilt in poco tempo.
Buona parte del patrimonio edilizio e monumentale richiede interventi che vadano oltre i proclami del 110% gli ecobonus e il sisma bonus (di difficile attuazione).
Abbiamo l’obbligo civico e morale della manutenzione e il restauro del moderno, così da salvare il patrimonio, le architetture. Senza ciò perderemmo importanti testimonianze della nostra cultura. Urge che Recovery Plan che preveda un vasto e diffuso programma di “messa a punto” delle risorse.
Senza ciò, ci troveremmo come in un gioco di ruolo, costretti ad andare soltanto avanti, facendo saltare metaforicamente e fisicamente i “ponti” fisici e culturali che ci hanno preceduti.
Foto JEAN LOUIS THÉODORE GÉRICAULT. La Balsa de la Medusa (Museo del Louvre, 1818-19)

foto di Manuel Gausa The Morandi Bridge and La Val Polcevera