3/3  Trilogia

L’ARCHITETTURA DEGLI INNESTI

Quali sono i principali caratteri che favoriscono l’azione del riuso: la scala, la porosità, la permeabilità, l’involucro, l’adattabilità. Tali azioni si traducono con la sottrazione e l’addizione di parti di edifici, con la pratica dell’ibridazione, dell’innesto.  

L’ibridazione, l’innesto, hanno generato esseri leggendari muniti di poteri sovrumani. Sono quelli che facevano parte dell’immaginario collettivo come la Chimera, il Minotauro, il Centauro, la Sfinge, l’Unicorno e tanti altri. Il meticcio, l’ibridazione, nel regno animale e vegetale è riconosciuto, offre i frutti migliori, quelli più resistenti, quelli che sopravvivono alla selezione ed alla fragilità della purezza.” 1

Come suggerisce la parola, innestare significa genericamente “inserire” qualcosa all’interno di un corpo estraneo. Se parliamo del mondo vegetale, innestare vuol dire “unire” o “collegare” due rami inizialmente divisi, una sorta di trapianto tra piante. Tale pratica comporta una sorta di vantaggio evolutivo. 

Allo stesso modo, sta nascendo una nuova consapevolezza verso il così detto Frankenstein-food. Il cibo “mostro” geneticamente modificato, con innesti “altri” pietanze a base di algoritmi.  Simile alla creatura di Victor Frankenstein, che aveva assemblato con pezzi di cadaveri e particolari composti chimici, animato da una misteriosa scintilla elettrica. 

Una grande serie di straordinari casi presenti nel territorio nazionale, la formazione culturale umanistica e tecnica della scuola italiana e un forse eccessivo regime di vincoli possono aver favorito gli architetti italiani ad una speciale predilezione e capacità non comune per il riuso dell’esistente. Nel ‘900 Scarpa, Albini, Minissi e Mollino e molti altri.  Tra i recenti casi, quelli più eclatanti sono gli interventi Guido Canali, Massimo Carmassi, Emanuele Fidone, Pietro Carlo Pellegrini, lo studio Archea, lo studio DAP, Werner Tscholl solo per citarne alcuni.  

Un caso interessante, poco conosciuto ai più, è il riuso delle Ciminiere di Catania, un complesso industriale trasformato in polo culturale e fieristico, tra gli anni ’80 e ’90 del ‘900, su progetto dell’architetto Giacomo Leone. L’intervento è peculiare ed interessante; la grande sala conferenze sembra un grande cutuliscio (un grande sasso lavico modellato dall’acqua) o se si preferisce immaginarlo è simile ad un enorme uovo lavico appena eruttato dal ventre dell’Etna. La foto d’epoca, di cantiere, dell’autore del progetto ben documenta la scala dell’intervento. 

Particolarmente suggestive sono le visioni di alcuni architetti contemporanei, i quali fanno della loro grammatica compositiva una cifra per una architettura visionaria, in cui l’eretico riuso dell’esistente diventa una cifra utopica particolarmente efficace. Carmelo Baglivo, Beniamino Servino e Carlo Prati, Alberto Iacovoni -studio Mao-, Domenico Pastore, e molti altri, con i loro disegni-progetti stanno caratterizzando uno dei più fecondi e interessanti movimenti dell’architettura contemporanea. Sono accomunati dalle seguenti parole chiave: “eresia, analogico, digitale, collage, scala, gioco, sovrapposizione, addizione, contaminazione, ibridazione, replicazione, parallelo, trascrizione, rilettura, gigantismo, monumento, processo, fuori scala, traduzione, tradizione, tradimento…”1

Note

1 Vincenzo Latina, Necessità monumentale. In: AA.VV. (a cura di): Valerio Mosco Claudio Triassi, L’attualità dell’utopia. vol. 6, Siracusa: Lettera Ventidue Edizioni, 2017

TESTO TRATTO DA : Latina Vincenzo. “T. T. T.”, The three “T”s of reuse .RE-USE . AREA 166. pp.4-9. In AREA – ISSN:0394-0055 vol. 166, anno 2019

Gli altri testi della trilogia: L’ARCHITETTURA È UN ESERCIZIO INTELLETTUALE  | Le tre T. T. T. dell’architettura

Nella foto l’innesto di una pianta di agrumi. Elaborazione di Vincenzo Latina