Giancarlo De Carlo e la ricostruzione del Borgo di Colletta nel comune di Castelbianco.
Senza dubbio tra le migliori opere di Giancarlo De Carlo.
La ricostruzione di Colletta nel comune di Castelbianco merita appositamente un viaggio in Liguria. Lo sanno bene le decine di viaggiatori e turisti che vi soggiornano.
È un borgo recuperato all’abbandono, al tragico destino della rovina, un lavoro di ricostruzione meticolosa, tra riletture tipologiche e autentiche integrazioni del nuovo, il tutto in un continuum percettivo di percorsi. Per cui le coperture diventano terrazzi, affacci, belvedere, quasi sempre sono magici punti di osservazione.
Il borgo di Coletta potrebbe tranquillamente essere la 56esima città di Calvino. Un insediamento atemporale, tra oriente e occidente. Una piccolissima città, una comunità continua, fluida e dalla percezione obliqua a zigzag.
Una comunità di murature antiche e nuove di volumi e terrazzi, di archi rampanti, scale e percorsi che s’intrecciano amorevolmente come serpenti in amore.
Una comunità di persone discreta, silente, che si riconosce, che fugge dalla finta agiatezza delle metropoli e si rifugia in montagna.
Non cercate la Norma, è un villaggio del tutto fuori Norma.
Altezze dei gradini, parapetti, scale, selciati, dislivelli, superfici e chissà cos’altro sono fuori dalla consuetudine delle norme.
Per fortuna, perché così ci è pervenuta pressoché inalterata la sua singolare espressività.
Scale che diventano ripide salite e discese, in susseguirsi di vicoli, è l’andar lento per scale e scalini, sentire il proprio peso, il corpo e la dolce energia richiesta per varcare per carrugi, ciasette che aprono continuamente prospettive e assi visuali sul paesaggio boschivo circostante.
Tutte le murature sono a vista, persino i muretti del parcheggio, la piscina, il teatro e gli edifici, in un succedersi di piani e volumi murari. Le murature corrispondenti agli ambienti abitati sono forate da finestre con rifasci bianchi, ricordano alcuni siti del Maghreb, o molti borghi o villaggi mediterranei o addirittura tibetani.
De Carlo ha saputo decifrare intimamente quello che egli descrive come il Codice Genetico della costruzione della comunità muraria e umana originariamente agricola-medievale.
Ne ha ricostruito il DNA del borgo, rileggendolo con un’interpretazione profondamente radicata nella storia, nella tradizione della costruzione muraria antica e allo stesso tempo è anche profondamente contemporanea.
Ci sono vari sistemi di lettura del borgo, nonostante l’apparente omogeneità della massa muraria De Carlo opera sull’interazione di diversi registri: strade, piazze, terrazzi, scale, gradini, tetti, porte, finestre, colori, verande coperte e scoperte, archi di rinforzo, cellule edilizie interconnesse e inglobate che conferiscono una percezione verticale ed orizzontale, nella loro omogeneità è continuamente modulata e ricca di variabili.
L’intervento è anche profondamente caratterizzato dall’uso della tecnologia, ha cercato di coniugare i primi interventi sperimentali italiani degli anni ’90, il primo borgo interamente cablato con internet in ogni alloggio. Per quel periodo un’autentica novità. Nel frattempo, sono stati ricomposti e ricostruiti alcuni processi radicati e stratificati che sono la peculiarità del paesaggio urbano e delle piccole comunità italiane di campagna.
Sentirsi immersi nel bosco, circondati dalla natura, lontano dal frastuono urbano, e allo stesso tempo si è incrementata una finestra tecnologica attraverso internet.
Nel piccolo insediamento vi è anche un bar ristorante dove sostare nella ciasetta (piazzetta) antistante, corrispondente alla copertura a terrazzo dell’edificio residenziale sottostante. La piazzetta è caratterizzata da una struttura intervallata da travi in legno sulla quale trova appoggio un grande glicine che offre piacevole ombra estiva agli ospiti intenti a consumare qualche una bevanda, un drink accompagnato dall’immancabile del fritto ligure, o meglio ancora, si può gustare serenamente un ottimo piatto di trofie al pesto.
Allo stesso modo i servizi igienici non sono direttamente nel bar ma nella prossimità, scendendo alcuni scalini e girando attorno all’edificio si trova un piccolo, varco. La stessa dislocazione nel borgo è stata disposta per la piscina comune, il parcheggio e un piccolo teatro. Un luogo dove convive l’ospitalità diffusa e alcuni ospiti che hanno scelto di risiedervi per lunghi periodi. Un senso di comunità, condivisione e discrezionalità caratterizza il borgo. Il silenzio sembra un indispensabile tacito accordo.
La recente pandemia di covid19 sembra aver accelerato la previsione di nuove strategie urbane inerenti ai futuri insediamenti umani e delle comunità residenziali dislocati nel territorio, lontano dalla conurbazione. Quello che oggi viene proposto come assoluta novità, sono già venti anni che nel Borgo di Colletta nel Comune di Castelbianco è una consuetudine. È stato un intervento antesignano. Colletta è la pietra di paragone del recupero dei centri “minori” dei borghi abbandonati e disseminati in tutta Italia, prevalentemente sugli Appennini.
È un autentico capolavoro, apprezzato da olandesi, tedeschi, francesi. Da tutto il mondo. Si vede dalle targhe delle auto in sosta presso l’area parcheggio comune.
Il progetto di De Carlo ha avuto un merito di recuperare un borgo distrutto e crollato e riportarlo alla vita. Anche se poi i proprietari hanno voluto “fare cassa”, ovvero “il Borgo è diventato quasi esclusivamente turistico, che prende vita in pochi periodi dell’anno, e principalmente in estate” ma questa è un’altra questione.
Gabriele Piazza, ritiene che “Le visioni lungimiranti (e forse anche utopiche) dei grandi progetti non bastano di per sé a decretarne il successo, senza la consapevolezza, la lungimiranza ed il coraggio da parte di chi (pubblico o privato) ne raccoglie l’eredità.
Perché senza dubbio, di coraggio ce ne vuole e molto.
Il borgo di Colletta avrebbe potuto essere un esempio unico in Europa se i suoi proprietari e gestori avessero saputo capirne il valore e le potenzialità indicate da De Carlo. E oggi quella unicità ne costituirebbe un valore inestimabile.”
Emanuele Piccardo, studioso dell’opera di De Carlo, ritiene che “in ogni caso il borgo è ben manutenzionato, in ogni parte, anche se per alcuni potrebbe apparire come una sorta di gated community, ma tutto ciò “non inficia il lavoro meticoloso di De Carlo nei contesti storici” dimostra, in ogni caso, che il progetto di De Carlo con tutti i cambiamenti in corso d’opera era coerente e metodologicamente corretto.”
Sono fortemente convinto che ogni cantiere si trasforma inesorabilmente in un “campo di battaglia“.
Nel caso in esame risulterà fondamentale l’apporto sostanziale di Antonio Troisi, collaboratore ligure di De Carlo (che in seguito ne rileverà lo studio). Ha seguito le fasi del cantiere con devozione, con commovente passione si percepisce nella cura del dettaglio, e nel trovare continue risposte e soluzioni in fase d’opera. È presumibile che ne abbia conferito una personale interpretazione, aggiunta a quella dell’autore, da sommare ai molteplici interventi. De Carlo, ha dato l’avvio ad un processo molto complesso.
Se fosse stato realizzato fedelmente, come da progetto iniziale, probabile il risultato sarebbe stato, in alcune parti, leggermente diverso. Ogni intervento del genere porta con sé molte incognite.
In ogni caso, non si ha la sensazione di sentirsi dentro una ricostruzione falsata, alla Truman Show.
Il Borgo è forse poco conosciuto da molti architetti italiani, intenti ad inseguire le mode, le frivolezze delle Archistar e dei guru contemporanei. Si ha la propensione a seguire le spettacolarizzazioni, il muscolare temporaneo, gli edifici body builder o all’opposto ai “travestimenti” con ogni specie vegetale, come se fosse l’edificio potesse essere una improbabile maschera architettonica alla Arcimboldo, giustificata da incombenze energetiche-ambientali.
Ringrazio molto l’amico Giacomo Airaldi che ha organizzato il viaggio al Borgo di Colletta. Io ho riportato soltanto una sensazione a caldo. Un report di viaggio con tutti i limiti del caso.