Marzo 2020 – 2021

È trascorso un anno. 

Dopo il primo lungo lockdown da Covid19, con la parentesi estiva pensavamo di aver scampato il microscopico mostro invisibile. E’ risaputo che l’invisibile è più potente del visibile, suscita un sentimento bipolare, suscita le paure ancestrali e allo stesso momento la curiosità, se non la fascinazione, perché tocca le corde dell’immaginazione. Sono stati formulati tanti buoni propositi, come l’assunzione di una maggiore consapevolezza dei reali valori umani essenziali, della qualità della vita, della qualità urbana. Invece tutto ciò si è tradotto nel paradosso. Dalla proposta di una diffusa Expo vaccinatoria, al boschetto francescano di San Petronio. Dal Contryside, l’Urban Jungle, sino all’architettura postpandemica, per non parlare dello smodato abuso del sostantivo Resilienza. Utilizzato un po’ ovunque, come il cacio sui maccheroni o se si preferisce come formaggio non gusta minestra. E poi tanto, ma proprio tanto altro ancora.  

Dopo un anno a bagnomaria, di continui stop and go e un crescente stillicidio di contagi e di vittime, di crisi sanitaria, economica, scolastica, occupazionale e sociale ci troviamo nuovamente nel Lockdown. E’ ormai acclarato che il vaccino sia l’unica arma, l’unica via d’uscita dalla pandemia. 

Come e quando finirà? Diventeremo migliori di prima?

Viaggio in Italia 19 MARZO – 29 APRILE 2020

Il viaggio è nato casualmente, da un post di Facebook, una sorta di invocazione, un mix di paura, rabbia e soprattutto speranza per quello che in quei giorni stava accadendo, gli immani sacrifici del personale sanitario, le vittime del Covid19, il Lockdown e l’economia verso il baratro, le città deserte e la paura di tornare a viaggiare; di tornare nelle amate città italiane, da nord a sud.

La condivisione delle città su Facebook è stato uno dei momenti piacevoli del Lockdown. Era diventato un appuntamento quotidiano, in cui vecchi, nuovi e improbabili “amici” (per usare il gergo dei social) si sono ritrovati nella narrazione, hanno commentato, amplificato e condiviso le riflessioni.

Dopo i primi post sulle città, lontano dallo scoop e dal sensazionalismo ancor più evidenti in quel delicato periodo, si è formata una piccola comunità che, nonostante l’isolamento, ha ritrovato il piacere del viaggio, del sogno e della rinata voglia di tornare nelle città.

Ricordare luoghi, incontri, eventi, persone è simile all’escursione sotterranea dello speleologo che si addentra in antri e cavità alla ricerca dei collegamenti; è simile allo scavo dell’archeologo che interpreta i segni, gli affioramenti dell’immediato sottosuolo. 

Allo stesso modo la memoria fa emergere soltanto dei frammenti, simili a dei cocci. 

Il paziente lavoro di ricomposizione, con la necessaria aggiunta delle parti mancanti, potrà dare forma e completezza all’oggetto mutilo. 

Con le restrizioni del Lockdown è stato come trovarsi, d’un tratto, nel mezzo di un campo di rovi.  La narrazione delle città italiane è stata un’inaspettata sorpresa, come trovare tra le innumerevoli spine, tra le punture e il sangue, una serie di more di rovo, quelle selvatiche. Dopo il primo assaggio lo sguardo è diventato più attento e sensibile e ha consentito, nella difficoltà del movimento, nel dolore della rigida postura, di scorgerne altre. Le more, si sa, sono come le ciliegie: “una tira l’altra”. Sono state “gustate” 40 more, lo stesso numero delle città narrate con il viaggio della mente durante la “reclusione” casalinga.

La narrazione del mio viaggio nel tempo ha assunto significati diversi. È subentrato il “gioco” combinatorio, una sorta di Cabala. Ai numeri è stato sempre conferito uno speciale codice segreto, un valore universale, umano e misterico. 

Le 40 città, una al giorno per 40 giorni, sono un mix inestricabile di luoghi, persone, viaggi, incontri, aspirazioni, ansie. Un mix contraddittorio di sensazioni, odori, colori, rumori. Sono anche i luoghi dell’anima, quelli dello straniamento, dell’invisibile e dell’immaginario, collettivo o dei singoli. 

19 MARZO 2021

Se l’anno scorso ho immaginato il lockdown come una singolare “quarantena”, simile ad un viaggio nell’immaginazione, nella memoria, nel ricordo delle città. Un viaggio nella condivisione quotidiana delle emozioni, quest’anno, sperando che sia veramente l’ultimo della pandemia, vorrei dare al viaggio un’interpretazione e una visione diversa. Rifare un nuovo viaggio di 40 giorni.

40 ritorna come un numero magico, carico di significati. 

Ai numeri è stato sempre conferito uno speciale codice segreto, un valore universale, umano e misterico. A questi sono stati ricondotti, attraverso significati simbolici di ordine spirituale e naturale, antichi riti propiziatori, credenze popolari, il lavoro dei campi, i riti della fertilità, le azioni umane più diverse, dall’inizio di un’impresa a quello della battaglia e il viaggio, sino all’interpretazione dei sogni. 

40 per le religioni monoteiste abramitiche ha un significato speciale e tra queste affini. Nella Bibbia, la Torah, il Talmud, il Vangelo e il Corano, sono narrati alcuni eventi, che, anche, attraverso i numeri, assumono peculiari valenze simboliche, particolari se non addirittura “sacre”. 

40 giorni, non è soltanto un periodo di incubazione dell’antico morbo, il numero 40 ha un valore simbolico importante così come tanti altri numeri che consentono di comprendere l’ordine delle cose e le leggi del cosmo.

In numerose situazioni si fa ricorso al 40 per rafforzare il significato dell’evento.

40 sono anche le confessioni di Marina Ripa di Meana riportate in un romanzo popolare, di successo, dal titolo “i miei primi quarant’anni”.  I primi 40 anni diventano lo spartiacque anche per le persone che vivono la gioventù a mille all’ora.  

VIAGGIO

Ci sono tante tipologie di viaggio e di narrazioni antiche, moderne e contemporanee.

“Un vero viaggio non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi” (Marcel Proust), L’occhio della mente consente di guardarsi “dentro”, per camminare negli imperscrutabili sentieri dell’immaginazione, dell’inconscio e della meditazione. 

Quest’anno il viaggio, potrebbe allontanarsi dalla passerella dei social e  dall’informazione dei principali network.   

Il Covid-19 con il suo bollettino giornaliero di contagi, morti, ricoveri e guarigioni, tra aperture, chiusure e repentini cambi di colore delle regioni, ha anche provocato la prima pandemia “bipolare”, tra isolamento, informazione e disinformazione globale, l’infodemia.

Si è diffusa un’infezione globale, parallela. I social e i mezzi di comunicazione di massa, in tempo reale hanno interconnesso qualche miliardo di persone con una incredibile quantità di dati, esibizioni social e programmi di ogni genere sulla pandemia in atto, tra informazioni, supposizioni, complotti ed una serie sterminata di fake news.

Infodemia è la sintesi di due parole dai significati diversi, informazione ed epidemia. Gli imperanti fake di ogni genere, dai novax ai gruppi anarchici, i negazionisti e i reazionari, sino ad alcune estreme frange politiche hanno prodotto ad una enorme discarica nell’oceano dell’informazione, hanno generato un diverso contagio, quello della psicosi e della disinformazione. 

A differenza di molti abili “surfisti” delle emozioni, porsi a distanza dell’onda emotiva potrebbe aiutare a trascorrere diversamente (forse meglio) l’isolamento, così da avere una visione più nitida e forse più verosimile del quotidiano. Stare lontani per guardare diversamente, più in profondità, forse meglio, da un punto di osservazione meno coinvolgente. Non si cerca l’isola deserta del naufrago, alla Cast Away e nemmeno l’eremo domestico. Si potrebbe immaginare, invece, una peculiare “dieta” purificante e disintossicante dalle troppe tossine, dalle quotidiane scorie, dal colesterolo infodemico. 

E’ un invito che rivolgo a tanti, a me stesso.

Cosa sarà? L’effetto che avrà?  Vedremo.