CANDIDATO INDIPENDENTE DA LISTE
Quest’anno compio 31 anni di iscrizione all’Albo degli Architetti della Provincia di Torino.
In questi tanti anni, quando si presentava la scadenza della elezione del Consiglio dell’Ordine, c’è una cosa che sempre si è data per scontata ma mai ho capito: la presentazione di liste contrapposte.
Credo che sia una cosa sbagliata. Le liste formano congregazioni che privilegiano – lo si voglia o no – un certo gruppo di persone, e invece pongono ai margini i colleghi che non ne fanno parte e che non diventano sodali. In sostanza il potere, quel piccolo potere del Consiglio dell’Ordine, viene polarizzato da un gruppo, e funziona, strutturalmente, su logiche di inclusione ed esclusione fra il gruppo e il resto dei colleghi.
Secondo me è sbagliato. Credo che ciascun collega, quando propone la sua candidatura, debba mettersi al SERVIZIO DI TUTTI i colleghi con le sue forze, con il suo personale impegno, e farlo con altri singoli colleghi senza logiche di gruppi, di squadre, di congregazioni, di vantaggi particolari ed esclusivi che inevitabilmente, nella formazione di liste, vanno a formarsi.
Se i colleghi presentassero le candidature individualmente, da un lato la loro offerta di servizio apparirebbe più chiara, e dall’altro il Consiglio, e le idee che verrebbero ad innescarsi, sarebbero meno preordinate, più aperte, più capaci di interpretare la molteplicità delle esigenze degli iscritti.
E così quest’anno ho provato a vedere che succede a presentarsi fuori da questa logica, fuori dalle liste, queste cose che, per i motivi sopraddetti mi paiono controproducenti.
È probabile che sia difficile, fuori cordata, ottenere abbastanza voti. Ma tentar non nuoce. Se non altro avrò espresso questa mia idea a tutti i colleghi.
Su cosa mi impegnerei, se eletto? Al di là degli aspetti ordinari, di generale sforzo di miglioramento e aggiornamento dei servizi, il mio impegno andrà soprattutto a promuovere la cultura e le competenze degli architetti presso la committenza pubblica, privata, e, in genere, presso i cittadini.
La gente ama l’architettura, la ama perché ama i luoghi in cui essa è presente. E tuttavia, nel momento cruciale in cui vengono effettuate oggi le trasformazioni ambientali, alle varie scale, prevalgono logiche che tendono ad escludere la qualità architettonica in senso stretto. Prevalgono logiche economiciste, quantitative, burocratiche, pubblicitarie, che valorizzano vantaggi contingenti e penalizzano la qualità ambientale e architettonica. Lo sforzo che va fatto, a mio parere, è soprattutto culturale: ridare all’architettura il ruolo che le compete nell’ambito della società in cui viviamo.
Questo porterà vantaggi alla nostra categoria, come alla società, su cui ci dobbiamo aprire caratterizzandoci come categoria di qualità con caratteristiche peculiari ed esclusive e non solo ridurci – individualmente – a ruoli servili tecnico-burocratici normativi da un lato, e di decoratori superficiali dall’altro.