Confesso che provo un certo disagio a scrivere di TAV.
Non perché non abbia le mie convinzioni, o non sia documentato. Piuttosto perché questo sta diventando un tema lacerante, che avverto divisivo anche con molte persone con cui ho condiviso idee ed impegno. Sì TAV, No TAV; il TAV o la TAV, anche la declinazione dell’articolo tradisce l’orientamento e immediatamente stimola reazioni. Da oltre un decennio la questione TAV ha occupato le cronache dei giornali in relazione alla protesta dura che quest’opera ha scatenato, complice una cattiva comunicazione ed una mancante capacità di affiancare la progettazione con un percorso partecipativo che andava avviato sin dall’inizio. Oggi per molti è diventata la battaglia per eccellenza, spesso assimilata allo spreco di risorse pubbliche, al malaffare, allo sfruttamento capitalistico.
Io sono per il Sì, e posso riassumere la mia scelta principalmente in queste valutazioni di carattere tecnico e pianificatorio:
- L’interscambio economico tra l’Italia e l’ovest europeo, cioè con gli stati raggiungibili attraverso l’arco alpino occidentale, è consistente ed in crescita; ha recuperato i valori pre-crisi (2007) ed è superiore a quello con la Svizzera. La Francia è il secondo Paese cliente dell’Italia, ma il traffico merci è quasi esclusivamente su gomma, a differenza di quanto avviene sulle altre direttrici alpine. In più quello con la Francia è meno della metà del traffico che attraversa le Alpi occidentali, che riguarda sezioni anche molto lunghe del corridoio Mediterraneo.
- Circa 3 milioni di TIR percorrono i valichi sulla rete autostradale tra Italia e Francia, +12,7% negli ultimi 4 anni. C’è un preciso obiettivo europeo su questo punto (Libro bianco sui trasporti, 2011), che mira ad un riequilibrio modale per arrivare al 30% di trasporto ferroviario nel 2030 e al 50% nel 2050. Oggi neanche l’8% del traffico verso la Francia è su rotaia, e il raggiungimento di quegli obiettivi richiede che vengano realizzati adeguamenti delle infrastrutture, secondo un processo di sostituzione in corso che si sta realizzando su tutte le dorsali di valico delle Alpi.
- La linea storica ha 150 anni: le limitazioni fisiche di pendenza, le più elevate tra le linee alpine in esercizio (oltre il 30‰), e i raggi di curvatura estremamente limitati condizionano l’esercizio della linea, rendendola inadeguata al trasporto ferroviario moderno che richiede treni lunghi e pesanti, per essere conveniente e stare nel mercato.
- Una galleria ottocentesca è incompatibile con gli standard di sicurezza europei, e va pesantemente rimodernata: intanto non è “foderata” (con centine e conci), ed è quindi sensibile a possibili cedimenti (anche limitati) della volta o della massicciata, potenzialmente molto pericolosi (non per nulla è continuamente monitorata da RFI con un sistema laser). Poi è a canna unica, non ha uscite di sicurezza né impianti di ventilazione forzata per la gestione dei fumi in caso di incendio, tutte infrastrutture necessarie sulle linee miste che trasportano merci pericolose.
Ma forse, più delle motivazioni tecniche, mi convincono altri tipi di considerazioni: che ci sia un trattato internazionale, con UE e Francia, che risponde ad una strategia assunta a livello comunitario e che quindi impegna non solo l’Italia ma tutti gli attori che hanno concorso a quel disegno, e che insieme si sono assunti impegni; ratificati da 4 trattati internazionali e da 7 accordi intergovernativi. Esiste un punto di non ritorno, nel processo di realizzazione di un’opera, in cui non è più lecito disattendere gli impegni presi? Io credo che quel punto sia stato abbondantemente superato.
Anche perché per stoppare tutto al punto in cui siamo occorre valutare il costo dell’operazione. Se consideriamo il ripristino dei luoghi com’erano prima dei cantieri, la messa in sicurezza delle gallerie già scavate, l’adeguamento della linea storica, come detto obsoleta e non rispondente ai criteri di sicurezza, le cifre stimabili sono dello stesso ordine di grandezza dei 2,8 miliardi previsti per ultimare l’opera. E i tempi probabilmente non molto inferiori. Senza contare quello che potrebbe essere la rivalsa da parte della Francia e dell’UE, che hanno finanziato il 75% di quanto sinora speso.
A valle di queste considerazioni, torno al punto di partenza: abbiamo urgenza di acquisire nuovi modelli di confronto, di sperimentare processi partecipativi di pianificazione per valutare le contrapposizioni secondo una visione multidisciplinare. In questo senso mi allineo alla proposta di IN/Arch: un centro di documentazione, luogo di analisi, confronto e dibattito, sarebbe un passo concreto in questa direzione e un superamento di logiche politiche.
Foto della Stazione TGV di Lione-Satðlas di Santiago Calatrava