La cancellazione dell’architettura moderna

Assistiamo ad uno stillicidio di denunce, di allarmati proclami di pericolo della demolizione di alcuni importanti edifici e infrastrutture del 900 italiano. Il rischio è la puntuale rimozione del patrimonio italiano del gusto, del design, dell’architettura e dell’ingegneria moderna. 

Il secolo scorso, caratterizzato molteplici movimenti, dagli “ismi”, ha generato un’accelerazione di eventi e una notevole varietà di linguaggi per i quali l’Arte, l’Architettura, l’Ingegneria ed il Design hanno espresso alcune opere di assoluto interesse, sintesi della cultura tecnologica, della ricerca industriale e della produzione artigianale di qualità. 

Sono stati costruiti nuovi quartieri, infrastrutture, stazioni ed edifici che hanno rappresentato la vitale e a volte contraddittoria carica espressiva nel secolo scorso.

La maggior parte delle opere moderne del Novecento italiano rischiano di sparire. Molte di queste sono poco valorizzate, protette e restaurate. Altre, risultano abbandonate o recuperate per finzione con interventi tardivi e a volte inadeguati.

Sono molteplici e collaudate le competenze inerenti al restauro, la sicurezza e il riconfigurare degli edifici moderni. 

Si ha la sensazione che ci sia una “condanna” non scritta, una sorta di terribile “Fatwa” verso alcuni ponti di Riccardo Morandi. L’epilogo tragico di Genova ne è la palese testimonianza, siamo in attesa dei processi e delle sentenze e delle condanne per le omissioni degli interventi. 

Nonostante ciò, anche a Crotone il ponte di Morandi viene posto sotto sequestro per interventi “farlocchi”, si indaga per l’uso di materiali scadenti a scapito della sicurezza pubblica. 

L’Italia è dotata di norme di tutela come nessun altro paese, a volte, sono fin troppo rigide ed asfissianti. Hanno imbalsamato edifici e quartieri ridotti a quinte sceniche, quelle che Marco D’Erasmo ha definito come esiti della “Tassidermia”. 

Altre volte, le stesse norme addirittura ne hanno accelerato il consumo turistico. La cancellazione della città storica attraverso la sua turistificazione. I centri storici trasformati in stucchevoli parchi tematici, al servizio esclusivo della “rappresentanza” urbana e del consumo turistico.  Il “salotto buono” della città, con gli edifici e piazze ridotti in una sorta di “gioielleria urbana”.

All’opposto, si palesa l’evidente pericolo di non poter considerare patrimonio culturale, da salvaguardare e proteggere per legge, emblematici e rilevanti edifici moderni con meno di 70 anni di età, a meno che questi non siano di acclarata evidenza pubblica che ne impedirebbe la demolizione.

La recente demolizione lampo dell’Autogrill di Montepulciano sull’autostrada A1 è la palese testimonianza della fragilità della tutela del moderno.  La rapida scomparsa dell’Autogrill, icona della modernità, equivale alla parziale distruzione del sogno italiano.  

Si è rapidamente proceduto alla distruzione del vero “ponte” che ha unito l’Italia. 

La transizione dalla civiltà agricola a quella industriale, il sogno del viaggio degli anni ’50 e ’60, dei trasporti, delle vacanze, il ritorno degli immigrati in automobile al SUD. La rappresentazione del boom economico. Le prime auto, le FIAT 500, 600, 850, le auto popolari in viaggio in autostrada, la piacevole sosta negli autogrill posti a cavallo delle due corsie, rendevano spettacolare la struttura, l’architettura, la sosta e il traffico veicolare sottostante. 

È contemporaneamente un sogno americano realizzato a casa nostra e un’astronave all’interno della quale gli italiani trovano la rassicurante quotidianità del caffè e dei maccheroni.”

Al di là di queste valenze, per qualcuno potrebbero sembrare “sentimentali”, l’edificio demolito rappresentava la parte più avanzata dell’ingegneria, della ricerca tecnologica e del progresso della scienza e della tecnica delle costruzioni. Tant’è vero che veniva reclamizzato dalla Pavesi come uno degli autogrill più arditi al mondo, realizzato in acciaio Cor-ten. 

Era un edificio sintesi tra architettura e ingegneria che hanno visto la sperimentazione di strutture e tipologie fino a quel periodo inusuali in Italia. Un edificio mutuato delle grandi strutture a cavalletto, una sorta di gigantesco padiglione.

Sono edifici che forse portano con sé una sorta di “peccato originale”. Edifici “macchina”, sintesi industriale con la tara del prodotto a scadenza?  Edifici assimilabili alle automobili o alle lavatrici, con la Spada di Damocle dell’obsolescenza programmata, che finiscono nella discarica del vecchio a vantaggio di un nuovo prodotto.  Il nuovo come edificio delle prestazioni strabilianti.

La rimozione della memoria sta innescando grandi dibattiti e un crescendo di polemiche, come per la ventilata demolizione dello Stadio Meazza di Milano.  Anche la laboriosa efficiente e a volte “cinica” Milano sta riscoprendo nel Meazza il luogo del cuore, dei ricordi. Lo ha recentemente ricordato l’ex Presidente dell’Inter Massimo Moratti.   

A Roma, la finta ricostruzione a pochi metri di distanza della tribuna dell’Ippodromo di Tor di Valle, opera dell’architetto Julio Lafuente, sarebbe un formidabile falso storico, una sorta di feticismo storico. 

A Firenze, recente era stata paventata la demolizione, poi rientrata, dello stadio Artemio Franchi, emblematica opera di Pierluigi Nervi.

Sempre a Milano, lo stesso pericolo pare che lo abbiano corso alcuni bellissimi edifici realizzati tra gli anni 50-60, alcuni di questi sono progetti di Gio Ponti, Luigi Caccia Dominioni. L’elenco sarebbe infinito. 

Si restaurano, si recuperano resti di edifici vincolati e non, anche anonimi, dell’800. 

Si riportano in vita ruderi anche con l’ausilio dell’innesto, del nuovo che reintegra, che aggiorna il registro, mette in sicurezza e ne rinnova l’uso. Gli architetti italiani sono autentici Maestri in ciò.

Alcuni edifici caposaldi del Novecento sono diventati patrimonio comune; diverse case di Le Corbusier sono rientrate negli elenchi degli edifici tutelati dall’UNESCO. Molti edifici di Mies van der Rohe, F.L.  Wright, Carlo Scarpa, Giuseppe Terragni, Louis Kahn sono ormai tutelati. Altresì la maggioranza degli edifici moderni necessitano di interventi di recupero e restauro. Senza il restauro avremmo rischiato di perdere per sempre Villa Savoye.

Non vorremmo perdere la bellezza delle architetture Moderne, delle stazioni del Mazzoni, così com’è stata recentemente alterata la percezione e spaziale dell’Ala Mazzoniana, interna alla Stazione Termini, diventato un piccolo centro commerciale.

L’architettura vive di ricostruzioni e sostituzioni, le città ne sono la summa, è la loro forza rigeneratrice.

Nulla permane in eterno, si è consapevoli che, prima o poi, anche per le opere più iconiche l’ineluttabile destino è l’archeologia (nei casi migliori). 

Basta immaginare l’esiguità delle architetture integre pervenuteci dall’antichità e l’enorme distesa dei resti, delle rovine, dei siti archeologici che ci ricordano chi siamo stati, da dove proveniamo e forse quali potrebbero essere le incognite del nostro futuro. 

La migliore conservazione dell’architettura è il progetto, nelle sue molteplici declinazioni, senza preclusioni ideologiche. 

Si ha la sensazione che la concezione dell’edifico “macchina” stia presentando un conto salato.

Il mercato contemporaneo delle costruzioni sembra mosso da prevalenti esigenze economiche, dall’aggiornamento continuo delle norme, anche energetiche e ambientali, queste stanno diventando un abile pretesto per la rapida rimozione del peculiare carattere delle facciate di alcuni pregevoli edifici residenziali del secondo dopoguerra. 

In alcuni casi dell’esistenza stessa degli edifici di valore. Allo stesso modo si sta costruendo in aree libere urbane e periurbane, negli ex scali ferroviari, utili riserve del comune patrimonio verde delle città.

In passato tutto ciò è ciclicamente avvenuto a causa di fattori endogeni ed esogeni agli edifici, ma agli edifici veniva conferita un’aura, un senso di durata che oggi sembra smarrito. 

La sostituzione del moderno sta avvenendo spesso al di là del valore culturale degli edifici. 

Abbiamo il dovere civico, morale e culturale per impedire che accada tutto ciò.