La seconda parte dell’articolo pubblicato sulla Newsletter n. 102. La prima parte QUI.

Il modello di Metanopoli cui guardava Mattei era il villaggio aziendale, probabilmente ispirato dalle concezioni italiane di paternalismo industriale che, negli ultimi decenni dell’ottocento, aveva prodotto eccellenti esempi di insediamenti fabbrica-città, da Crespi d’Adda a Schio o Collegno, nati per volontà di illuminati capitani d’industria, come lui. 

Ma era anche influenzato dalla vitalità di alcuni piccoli centri urbani autonomi, sorti ai margini delle conurbazioni britanniche e americane, definiti garden suburbs (da noi città-giardino), da Welwin Garden City a Hampstead Garden Suburb o Forest Hills Gardens. Senza dimenticare l’esempio che offrivano, in quel periodo, i nuovi quartieri del terziario direzionale che stavano nascendo negli Stati Uniti e le new town prossime ad alcune città straniere, soprattutto inglesi.

Il masterplan di Metanopoli non prevedeva una configurazione rigida dell’assetto insediativo, da attuarsi su lotti edificabili predeterminati, quanto piuttosto uno schema libero e aperto, adattabile nel tempo: i comparti edilizi in cui l’area veniva a poco a poco suddivisa, ribattezzati “quadre” dall’estensore, erano ampi spazi verdi su cui realizzare, di volta in volta, gli ampliamenti necessari.

Chi la visita oggi non può non osservare, proprio per questo, l’assetto essenziale del sistema viario, che non separa ma mette in contatto, su uno stesso allineamento, le zone destinate agli uffici e quelle riservate alle abitazioni.

Nell’impianto urbanistico della città, oltre all’esplicito riferimento ai principi insediativi della città romana (due strade principali ortogonali, cardo e decumano, gli isolati-quadre), si coglie la ricerca di un’affinità con il paesaggio agricolo della bassa padana: anche qui i riferimenti prevalenti sono la trama ortogonale dei campi e i filari delle alberature (Bertoli, 2016).

In sostanza, il progetto di sviluppo proposto da Bacciocchi, impostato sul sistema a quadre, soddisfece e venne approvato da Mattei, il cui obiettivo era non solo di integrare in un’unica cittadina uffici, laboratori, centri di formazione e residenze, ma di arricchirla con un centro sportivo, una scuola, un poliambulatorio, una chiesa parrocchiale, esercizi commerciali (tra questi aprirà l’Eica, Ente italiano cooperativo approvvigionamenti, che sarà una delle prime forme di supermercato in Italia). In più, un albergo a servizio dei camionisti che raggiungevano Metanopoli per fare rifornimento del gas metano, fornito di bar, ristorante, una piccola piscina e un campo di bocce.

L’intero villaggio venne inoltre concepito secondo criteri di efficienza e – diremmo oggi – di sostenibilità ambientale. Con case basse circondate da giardini e viali alberati, tanto che ogni abitante ha ancora oggi a disposizione 170 metri quadrati di verde contro i trenta dell’abitato di San Donato e i sette di Milano (Bertoli, 2016).

Però Metanopoli, almeno inizialmente, era un mondo chiuso, perché l’accesso al centro abitato doveva essere consentito solo ai dipendenti e alle loro famiglie. Più che un segnale di affermazione della proprietà privata era un simbolo di esclusività: il privilegio di lavorare per ENI. Una concezione che deriva dall’attenzione al benessere dei dipendenti sempre sostenuta da Mattei, che anticipava il concetto di “welfare aziendale” adottato tanti anni dopo dal management d’impresa. 

La fase della piena affermazione della città aziendale dura un quarantennio ed è caratterizzata soprattutto dalla moltiplicazione dei suoi centri direzionali, che assecondano l’espansione delle attività dell’ENI. Comunque, i primi tre edifici sono residenziali e sorgono nel 1952, su progetto di Bacigalupo e Ratti, ispirato ai modelli dell’economica popolare di Milano, in particolare il Quartiere Harar di Figini e Pollini del 1951-52.

Apre poi, nel 1954, l’albergo per i camionisti, concepito come i motel americani che Mattei aveva potuto vedere ed apprezzare nel corso dei suoi viaggi negli Stati Uniti: gli interventi sono di Bacciocchi.

Il primo Palazzo Uffici viene realizzato nel 1955, progettato da Marcello Nizzoli (che già aveva collaborato con Olivetti) e Gianmario Oliveri. Una torre di vetro di 14 piani, a forma esagonale, organizzata secondo uno schema a pianta aperta. Ma, soprattutto, caratterizzata dall’uso di tecnologie costruttive molto avanzate per l’epoca e dall’impiego estensivo di prefabbricati. Inoltre, sarà uno dei primi edifici cablati in Italia.

Una curiosità: sulla sommità dell’edificio Piero Porcinai (il paesaggista che aveva curato anche la disposizione degli spazi verdi e degli alberi nel villaggio) progetta un giardino pensile sul quale si affaccia l’appartamento di Mattei, una foresteria che Mattei aveva affidato alla gestione della sorella Maria “perché l’ospite trovasse un’accoglienza familiare” (Bertoli, 2016).

Anche la chiesa parrocchiale dedicata a Santa Barbara, patrona di Metanopoli, è stata edificata nel 1955 ed è opera di Mario Bacciocchi, che volle ispirarsi alla tipologia delle cattedrali padane. Ancora Bertoli ce ne parla come di una chiesa d’avanguardia ma simbolicamente ricca di richiami alla storia e al passato, in un luogo che di storia non ne aveva ancora. Forse proprio per questo, in un articolo per L’Espresso del 1957, Bruno Zevi – con una acrimonia degna di miglior causa – la giudicò come una delle più brutte costruzioni dell’architettura del dopoguerra: “… troppo astratta, simbolica e lontana dai canoni estetici e dalle rappresentazioni figurative a cui si era abituati …”. Al contrario, molti osservatori giudicano il nuovo complesso parrocchiale “un modello di modernismo religioso, che seppe svolgere pienamente la sua funzione sociale di rappresentare la centralità urbana … e di costruire un’identità collettiva” (Bertoli, 2016).

Il secondo Palazzo Uffici, caratterizzato da una pianta stellare a tre bracci, viene realizzato nel 1962 da Bacigalupo e Ratti. Insieme al primo, si affianca al nuovo e imponente motel Agip (ultimato nel 1961), opera sempre degli stessi progettisti. Anticipatore delle tante strutture ricettive con il simbolo del cane a sei zampe che si andarono disseminando lungo i tracciati autostradali.

Il terzo Palazzo Uffici, un edificio con pianta a croce disegnato dallo studio Albini e Helg, alto 17 metri con bande rosso scuro (che hanno la funzione di racchiudere e proteggere le canalizzazioni) poste sui rivestimenti esterni, viene innalzato tra il 1971 e il 1973.

Ancora dello studio Bacigalupo e Ratti, il quarto Palazzo Uffici, caratterizzato da una facciata continua, austera e omogenea, viene eretto nel 1984. Infine un quinto Palazzo Uffici, progettato dagli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Isola, sulla base delle indicazioni di Kenzo Tange, verrà inaugurato nel 1991.  L’edificio è in cristallo verde azzurro, dà l’idea di una serra verticale ed è ricoperto da una vegetazione che consente una particolare climatizzazione interna. E con questo intervento, insieme all’ampliamento del Motel Agip, oggi Crowne Plaza Hotel “… l’avventura di Metanopoli si potrebbe definire conclusa negli anni novanta” (Urban Center, 2002).  

A parere di Fulvio Irace (La Repubblica, 2012), è solo tra il 1962 (con il secondo palazzo uffici di Bacigalupo e Ratti) e i primi anni 90 (con l’innovativo “cristallo” verde dei torinesi Gabetti e Isola, che precorsero l’attuale interesse per l’inserimento del verde in facciata), che si attua l’ispirazione di Mario Bacciocchi: “una città giardino ordinata e ariosa, che ancor oggi segna un salto di qualità rispetto a tutto ciò che è venuto nel suo secondo trentennio di espansione”.  Ora, aggiunge Irace: “Nuove organizzazioni professionali sostituiscono i vecchi studi italiani e la generazione dei maestri tramonta, in una prospettiva sempre più legata al gusto internazionale e quindi proiettata verso una cultura dei centri direzionali”. 

Come previsto fin dal progetto iniziale di Bacciocchi, l’impianto di Metanopoli ha subito accomodamenti e espansioni nel corso degli anni: già tra il 1965 e il 1975, Bacigalupo e Ratti avevano elaborato una serie di piani urbanistici integrati, che si sono spinti anche oltre il confine dell’area di proprietà dell’ENI. L’indotto portato dall’Eni nel territorio di San Donato Milanese aveva fatto crescere infatti in misura considerevole la cittadina anche al di fuori del perimetro di Metanopoli. Tanto da rendere necessaria la stesura di un piano per la valorizzazione delle aree intorno a Metanopoli, che ha visto coinvolti tra gli altri Mario Bellini, Vittorio Gregotti, Antonio Monestiroli, Gino Valle (1999).

Negli anni novanta, con la privatizzazione dell’ENI e lo smobilizzo immobiliare di Metanopoli, l’amministrazione decide di rilanciare l’area per “avvicinarla” a Milano, sia materialmente che idealmente. Il progetto viene affidato a Kenzo Tange, con l’obiettivo di “crea[re] un senso di continuità con il centro storico di Milano e questa moderna città satellite” (Marzullo, 2016). “… Non creare la città perfetta, ma fare sì che nella città perfetta si vivesse un po’ di più, che non fosse uno strano satellite in cui lavorare e basta; che da deserto e immacolato diventasse il luogo della vita così com’è e non come dovrebbe essere; un’appendice particolarmente avanzata della città, piuttosto che un distretto tecnologico pieno di fantasmi. A vent’anni di distanza è quanto mai evidente che il risultato è stato ben poca cosa. I palazzi che la Kenzo Tange Associates progetta qui li abbiamo già visti altrove …”.

L’architetto giapponese concepisce infatti lo sviluppo urbanistico di San Donato con nuovi quartieri (Affari, Palazzo della Bmw e Palazzo San Francesco), che fronteggiano i primi due Palazzi Uffici, con l’obiettivo di formare una sorta di ingresso tecnologico alla città di Milano. 

Passati settant’anni, cosa ne è di Metanopoli-San Donato? si domanda amaramente Sara Marzullo. A suo parere restano i palazzi degli uffici … negli anni si aggiungono anche nuovi palazzi, nuovi grattacieli … ma nonostante i piani urbanistici – a varia scala – d’avanguardia, Metanopoli non è mai stata molto più di una company town: un posto dove si lavorava, che si svuotava dopo la chiusura degli uffici. Bella, sì, anche funzionale, ma inadatta alla vita di relazione.

Ora l’area è nuovamente al centro di un ulteriore piano di sviluppo, con a capo la Morphosis Architects, uno studio di Los Angeles che ha vinto il concorso indetto nel 2010, “grazie al suo approccio organico alla architettura”. La grande costruzione è stata appena ultimata.

Ma che pensare del suo rapporto con le preesistenze, quando i progettisti dichiarano che i nuovi quattro edifici che la compongono rappresentano “la ricchezza della stratificazione geologica e la composizione del suolo-paesaggio come fonte di energia e di vita”? E ancora che si tratta di un complesso a loop generato dal suolo che dà forma all’idea di scavo-estrazione, al processo di ricerca e trasformazione della materia in energia” e che, in particolare, i “ponti aerei che collegano le torri funzionalmente separate creano un unico racconto architettonico poetico, efficace, attento alle performance energetiche in grado di creare continuità e intercambiabilità tra architettura e paesaggio …? Tutto questo sarebbe piaciuto a Mattei?

Se, da un lato, Irace osservava che l’utopia di Mattei aveva sempre più rivelato il suo fondamento operativo – che significava mettere a disposizione una efficiente armatura urbana e territoriale – e si augurava che il concorso vinto dal gruppo Morphosis sapesse “forse” tradurre in un aggiornamento l’originaria integrazione fra paesaggio, architettura e città, dall’altro Sara Marzullo si chiede: “… ma non è forse un eccesso di progettazione che rende questi luoghi invivibili? Non è forse la straordinarietà di Metanopoli che ne fa un luogo adatto più per le scenografie che per le storie?”.

Letture

  • Urban Center, Metanopoli, Quartiere Affari di San Donato Milanese, Comune di Milano, 2002
  • Dorothea Deschermeier, Impero ENI: l’architettura aziendale e l’urbanistica di Enrico Mattei, Damiani, 2008 
  • Silvana Sermisoni, Metanopoli, Associazione Stoà di San Giuliano Milanese, 3 febbraio 2012
  • Fulvio Irace, Metanopoli, l’utopia della città giardino, La Repubblica, 2 marzo 2012
  • Maria Manuela Leoni, Metanopoli, in Architettura in Lombardia dal 1945 ad oggi, Regione Lombardia, 2014
  • Simona Politini, Metanopoli, la città sostenibile di Mattei, Il Patrimonio in Italia, 12 febbraio 2015
  • Sara Marzullo, Metanopoli la nebbiosa, The Towner, giugno 2016
  • Beppe Bertoli, Santa Barbara a Metanopoli, Dell’umano errare, settembre 2016
  • Valentina Silvestrini, La nuova enorme sede di ENI a Milano progettata da Nemesi e da Morphosis, Artribune, 5 ottobre 2022

Veduta aerea di Metanopoli nel 1959 (Fonte: Comune di San Donato Milanese)