prima parte

Sono trascorsi settant’anni da quando Enrico Mattei decise di affidare all’architetto Mario Bacciocchi la redazione del masterplan di un quartiere di nuova fondazione, a San Donato Milanese. 

Il nome – Metanopoli – è inquietante e sembra appartenere a una località della tristemente nota “terra dei fuochi”, ma in realtà l’insediamento era – ed è ancora – è un modello di “città-giardino” aziendale. Fu battezzata così proprio da Mario Bacciocchi. Non piaceva a molti, ma Mattei – un piccolo imprenditore, cattolico, che aveva fatto la guerra partigiana – ne fu entusiasta, a quanto si racconta: e tanto bastò. 

Mattei era un uomo di potere, che poté beneficiare della stima e dell’appoggio politico di Alcide De Gasperi e di Ezio Vanoni. Nel 1945 era stato nominato Commissario responsabile di quel che rimaneva dell’AGIP, azienda di Stato creata nel periodo fascista, con il compito di metterla in liquidazione e di predisporre un piano volto a dare in concessione ai privati i permessi di ricerca e coltivazione dei giacimenti di idrocarburi.

Ma la scoperta di numerose grandi riserve di metano nella Pianura Padana, avvenuta nella seconda metà degli anni quaranta, fece cambiare il destino dell’azienda. I volumi di gas prodotto aumentarono infatti in maniera consistente e raggiunsero una dimensione tale da rendere necessario dotarsi di un vero e proprio centro operativo, destinato all’esercizio e alla manutenzione dei metanodotti (Urban center Milano, 2002). La SNAM, azienda impegnata nella costruzione di infrastrutture per il trasporto, la distribuzione e la vendita del gas, costituita nel 1941 e passata sotto la direzione di Mattei nel 1949, analogamente vide le proprie attività crescere in modo incrementale in pochi anni, tanto che presto sorse la necessità di scegliere una nuova località ove installarsi per l’esercizio e la manutenzione dei metanodotti e collocare una stazione di gas compresso per autotrazione.

Mattei, quindi, anziché attivarsi per provvedere alla liquidazione dell’ente, intraprese un’aspra battaglia, soprattutto politica, contro quanti pretendevano da lui lo smobilizzo e la privatizzazione dell’AGIP. La spuntò. E non solo riuscì a mantenere il monopolio delle ricerche nella pianura Padana ma nel giro di pochi anni trasformò l’AGIP, assorbita dall’ENI nel 1953, in un’impresa trainante dell’economia nazionale, attraverso la quale l’Italia poté presentarsi con un’autorità mai conosciuta prima nel consesso dei grandi operatori internazionali, non solo del settore energetico. Creandosi non pochi nemici.

Già nel 1952 aveva deciso di riunire sotto un’unica azienda controllata dallo Stato (l’Ente nazionale idrocarburi, Eni), tutte le società che operavano nel settore dell’estrazione e della trasformazione del petrolio e del gas naturale (Agip, Snam, Anic e altre minori).  A maggior ragione aveva bisogno di riunire le varie sedi operative in un unico e più efficiente insediamento urbano.

La scelta della sua localizzazione cadde su San Donato Milanese che, oltre a disporre di una grande quantità di terreni liberi e a basso costo, era situato in una posizione strategica, vicino alla grande città e alle aree di maggior consumo delle utenze industriali; l’area si trovava inoltre sulla direttrice Parma-Milano, lungo la quale erano situati i pozzi di estrazione di gas metano. Fino agli inizi degli anni cinquanta, il territorio di San Donato Milanese su cui ora sorge Metanopoli era costituito da campi poco coltivati (in prevalenza marcite). 

Immediatamente a ridosso dei confini di Milano, era già attraversato dal primo metanodotto di grande sezione che collegava i pozzi di Caviaga agli altiforni di Sesto San Giovanni dal 1949: primo importante segmento di un sistema che risulterà quasi decuplicato tra il 1948 e il 1952 nel suo sviluppo lineare (da 257 a 2.064 chilometri), mentre il consumo nello stesso periodo passerà da venti milioni di metri cubi a più di un miliardo (Sermisoni, 2012). Tra l’altro i terreni liberi nel territorio di San Donato erano ancora a destinazione agricola, e quindi subito disponibili in grandi lotti a prezzi molto bassi. Perciò da quelle parti i terreni costavano sicuramente meno che a Milano, ma in ogni caso la metropoli (già allora capitale economica del paese) era a due passi.

Per volontà di Mattei, venne inizialmente acquistata un’area di 80 mila metri quadrati sulla quale, nel 1953, sorsero il primo nucleo produttivo costituito dal centro industriale SNAM, la stazione di metano compresso e la stazione di servizio carburanti dell’AGIP. Poi vennero acquisiti, ancora dalla SNAM, divenuta una filiazione dell’ENI, altri 654 mila metri quadrati, trasformando l’area in una frazione che occupava quasi un terzo del Comune e che a quel tempo – il progetto partì nel 1953 – ospitava solo qualche baracca e abitazione di fortuna. In fasi successive, in vista di future espansioni, verranno poi comprate via via altre aree sempre nel Comune, per un totale di oltre tre milioni di metri quadrati “… mettendo in un certo senso … in sicurezza lo sviluppo futuro” (Bertoli, 2016).

La zona in questione, però, era allora difficilmente raggiungibile dal lodigiano e dal parmense, principali aree di provenienza dei lavoratori della Snam; si rese perciò necessario costruire per loro anche edifici residenziali. Fu dopo la realizzazione di queste prime opere che maturò in Mattei l’idea di raggruppare in un unico centro aziendale tutte le attività del Gruppo Eni nel Nord Italia, con il suo indotto. 

Il luogo prescelto divenne il quartier generale della nascente Eni, per farvi risiedere anche i suoi dipendenti, che lavoravano in cantieri sparsi in tutto il territorio italiano.  Tuttavia “non vi era l’intenzione di radicare la forza lavoro al territorio e anzi, almeno nella concezione iniziale, gli alloggi [erano] predisposti in funzione di rapide rotazioni ” (Urban center Milano, 2002). Niente assegnazioni o riscatti sul lungo periodo, ma soltanto contratti a breve termine. “La situazione cambierà col passare degli anni, perdendo questa connotazione e assumendo un carattere residenziale più stabile”.

Nell’area scelta non esisteva alcun impianto ma era vicina a grandi infrastrutture di trasporto dell’epoca: l’aeroporto di Linate, la storica Via Emilia, che collegava il centro di Milano con le città emiliane e il Sud, e qui era previsto l’inizio dell’Autostrada del Sole, che verrà inaugurata nel primo tratto da San Donato a Parma. 

L’obiettivo finale fu di concentrare in un unico complesso insediativo non solo le attività direzionali e di gestione della Eni, insieme alle abitazioni di operai, impiegati e dirigenti, ma anche un quartiere scientifico, con la Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi ed i laboratori: una città ideale del novecento, insomma, nella periferia sud-est di Milano, sul modello della Olivetti a Ivrea.

Dall’idea di Metanopoli ai fatti, come era costume di Enrico Mattei. Quale capo della neonata Società ENI, affidò nel 1952 all’architetto e amico Mario Bacciocchi la stesura del masterplan su quest’area a cavallo della via Emilia, entro cui realizzare una città-giardino d’avanguardia, che integrasse funzioni residenziali, sociali e produttive, proponendo un nuovo modello urbanistico, poi sarà poi internazionalmente apprezzato. Forse meno in Italia, dove tra gli altri l’inquieto e corrosivo scrittore e giornalista Luciano Bianciardi scriveva nel 1957 (interpretando probabilmente un giudizio allora diffuso): “… Ma San Donato, voglio dire il centro amministrativo, pare rimasto tale e quale. Dov’è dunque la novità? Non è difficile rendersene conto: basta fare due o trecento metri, ed ecco Metanopoli, che compare in mezzo alla campagna, improvvisa, come dipinta su di un fondale da un urbanista megalomane.

L’area costruita sorse rapidamente a metà strada tra le fonti di produzione e i destinatari del consumo, divenendo insieme centrale operativa di un network di condotte metanifere e quartier generale di una rete di vendita di carburanti sempre più estesa. In brevissimo tempo, poi, il quartiere si trasformò in una vera e propria “città del terziario” dove si concentravano appunto uffici, facevano capo allo studio dei giovani architetti Bacigalupo e Ratti (progettisti del centro industriale SNAM) e allo stesso Baciocchi, autore dell’impianto di metano compresso e della stazione di servizio carburanti dell’AGIP. 

Nel 1956, a soli tre anni dall’inizio dei lavori, il villaggio era quasi completato, con più di 160 edifici e una rete stradale interna di circa 25 km. Accanto alle carreggiate stradali correvano una fascia erbosa e un marciapiede, al di sotto del quale era ricavato – con una straordinaria anticipazione dei tempi – un cunicolo per gli impianti tecnologici e la distribuzione dei servizi (acqua, gas, elettricità), semplificandone la manutenzione (Bertoli, 2016).

Da qui partirà anche la rete autostradale italiana, ma il governo ancora non aveva neanche dato inizio ai lavori, che a Metanopoli era già pronta una stazione Agip al servizio dei futuri viaggiatori; poco importa se il giorno in cui si inaugurò il complesso tutto quello che c’era della futura Autostrada del Sole (il primo tratto aprirà nel 1958) era un cartello, a indicare il capolinea milanese e qualche bulldozer immobile: “la città del metano” era comunque già pronta a tutto (Marzullo, 2016).

Silvana Sermisoni, che per la SNAM ha curato una bella monografia su Metanopoli precisa che, in ogni caso, non solo questa non nasce da un progetto lungamente elaborato, nel senso più stretto del termine (non esiste a monte, infatti, un piano esecutivo disegnato nei dettagli, all’origine della company town), quanto piuttosto da un’intuizione, il cui ideatore e realizzatore non fu un urbanista, né un accademico o un architetto, ma un imprenditore, coadiuvato dai suoi più stretti e partecipi collaboratori: Enrico Mattei presidente dell’ENI, di cui faceva parte la SNAM, e che ne volle e seguì tenacemente la realizzazione sino alla sua misteriosa morte, avvenuta quando l’aereo su cui viaggiava precipitò nella campagna di Bascapè, a sud di Milano, il 27 ottobre 1962.

Il suo sviluppo urbanistico sarà progressivo e tenderà ad assecondare le esigenze di crescita dell’azienda, piuttosto che del Comune. La sua capacità attrattiva fu però enorme: se nel 1951 il censimento della popolazione del comune di San Donato Milanese faceva registrare 2.667 abitanti, quello del 1961, il primo dopo la nascita di Metanopoli, ne contava 10.296 (+ 286%) e nel 1971 si arrivò a 26.872. Per le sue accresciute dimensioni, nel 1976 gli fu concesso il titolo di città e oggi conta circa 32mila abitanti.

Tuttavia, nel clima di privatizzazioni che permea gli anni novanta, l’Eni da società pubblica diventa una società per azioni e decide di liberarsi delle proprietà immobiliari, contrattando, nella maggior parte dei casi la vendita dei condomini agli stessi abitanti. A tutela dell’’insediamento, però nel 2003 la Regione Lombardia approva l’introduzione del vincolo paesistico ambientale per l’intero ambito di Metanopoli.

La peculiarità della scelta di Mattei è riscontrabile nel fatto che, a differenza di quanto avvenuto in simili occasioni progettuali portate a termine sia in Italia sia all’estero (Ivrea e l’Olivetti, per esempio), Metanopoli non nasce come operazione di riqualificazione o ampliamento di un centro urbano esistente, ma come cittadella fondata ex-novo (Leoni, 2014). Alla quale in settant’anni, da quel lontano 1952 a oggi, alcuni fra i più noti progettisti italiani del dopoguerra hanno contribuito a dare concretezza e lustro, assecondando la visione del fondatore. Un grande capitano di industria guidato dal convincimento, maturato attraverso il sodalizio con la sinistra cattolica milanese (Sermisoni, 2012), che l’impresa economica dovesse rispondere anche a finalità di interesse collettivo e saldarsi a una causa di carattere generale, il perseguimento dello sviluppo economico del paese.