Progettare una scuola, è per gli Architetti un’esperienza di grande soddisfazione ed entusiasmo: perché la scuola costituisce una delle destinazioni funzionali in cui si verifica una corrispondenza diretta tra la configurazione dello spazio fisico ed il comportamento di chi abita quegli spazi. Davvero, nel caso della scuola – indipendentemente dal livello, dalle scuole per l’infanzia all’università – lo spazio si modella sul suo modo di essere usato e viceversa.
Le caratteristiche spaziali, la collocazione nel territorio, il rapporto con i luoghi del contesto ed i linguaggi figurativi degli edifici scolastici, nel loro evolvere lungo la storia, fotografano il divenire dei modelli pedagogici, il loro modificarsi nel tempo in termini di contenuti e di metodi formativi, di obiettivi sociali, di orizzonti di conoscenza.
La capacità di dialogo e di condivisione di obiettivi tra i componenti della Comunità Scolastica e gli architetti progettisti costituisce una condizione estremamente vantaggiosa, tanto da poter affermare che ogni singola scuola costituisce un caso a sé, in ragione della specificità che assume il progetto formativo di quella scuola, in quel luogo, in quel tempo, in rapporto a quella specifica condizione sociale.
Per entrare nel merito delle strategie per il futuro della scuola, vorrei tracciare un breve percorso nel tempo, per inserire la questione in un suo preciso contesto storico: a partire pressapoco dagli anni 2000, molte città degli Stati Uniti (ci sono anche analoghe esperienze in Europa) hanno lanciato un programma legato alle parole d’ordine “sharing schoolyards” e “from schoolyard to playground”, legato all’esigenza di garantire l’accesso al verde – a distanze contenute dalle abitazioni – al maggior numero possibile di cittadini, trasformando le corti scolastiche in parchi, le palestre in spazi gioco, le aule e i laboratori in risorse a disposizione di iniziative locali. La rete scolastica, distribuita in modo capillare sulla città, contiene infatti un patrimonio di spazi verdi e attrezzature utilizzate solo per una porzione del loro tempo dalla popolazione scolastica. Incoraggiando le scuole a promuovere usi condivisi con le comunità locali, si è potuto massimizzare il loro utilizzo anche al di fuori del tempo curricolare, migliorare il coinvolgimento di un tessuto sociale più ampio con l’offerta formativa, avvicinare la scuola alla città, anche attraverso percorsi partecipativi.
Sulla base di queste esperienze, il tema del rapporto tra scuola e città ha conquistato sempre maggiore attenzione e anche in Italia si sono realizzate numerose esperienze nella direzione di una più stretta interazione tra istituzioni scolastiche e tessuto sociale al contorno.
Negli ultimi anni, grazie anche alla preoccupazione diffusa per le evidenti difficoltà di gestione di un patrimonio di edilizia scolastica sempre più degradato e inefficiente (sotto diversi aspetti: di solidità e sicurezza, di funzionalità, di accessibilità, di efficienza energetica….) si è cominciato a rivolgere maggior attenzione alle scuole anche dal punto di vista dell’organizzazione, efficienza e qualità degli spazi (sarebbe irragionevole intervenire su un edificio per apportare migliorie tecniche senza cogliere l’occasione per migliorarne la qualità degli ambienti); si sono così potute realizzare alcune esperienze di grande interesse; poche, purtroppo per incidere in modo significativo su una logica tutta rivolta ad intervenire a monte di una dichiarata emergenza.
Un tema ricorrente in queste esperienze innovative è stato quello di riconoscere come del tutto superato lo schema tradizionale in cui l’aula sta al centro della attività didattica ordinata e lo spazio connettivo è mero strumento distributivo (concetto che corrisponde anche ad una interpretazione per categorie schematiche e riduttive dei diversi soggetti che compongono la popolazione scolastica); per sostenere invece una interpretazione in cui i soggetti – docenti e studenti – appartengono a categorie eterogenee, gli ambienti della didattica assumono una più ampia articolazione funzionale, ed anche il tessuto connettivo entra a pieno titolo nel gioco degli spazi «come grande luogo d’incontro e dell’imparare informale» per citare le parole di Silvia Minutolo, capogruppo di Archisbang, lo studio di architettura che ha realizzato la riqualificazione della scuola media Giovanni Pascoli a Torino. Ancora, afferma Silvia Minutolo nel suo articolo sul Giornale dell’Architettura «Se a tutto ciò si affianca l’idea, sempre più diffusa, che una scuola bella, vivibile e dotata di una serie di strutture attrezzate annesse (laboratori, biblioteche, palestre, auditorium) possa essere una risorsa a disposizione della comunità allargata, un civic center da vivere 365 giorni l’anno 24 ore al giorno, va da sé l’importanza di una nuova visione del contenitore architettonico e dello spazio urbano ad esso legato». Aggiungo io che una scuola bella, accogliente, sostenibile costituisce anche una esperienza educativa alla spazialità e ai comportamenti rispettosi dell’ambiente.
Purtroppo, per le ragioni che tutti conosciamo, con la crisi pandemica del 2020, questo percorso, per una scuola sempre più coinvolta con la socialità si è interrotto e speriamo davvero che si tratti di una interruzione temporanea.
Ma non per questo la scuola è uscita dall’attenzione; anzi, proprio la drammaticità della sua chiusura e la gravità delle ferite aperte nel tessuto sociale, ha aperto una stagione di profondi ripensamenti sul rapporto tra scuola e organizzazione del territorio e della città: dopo una lungo periodo in cui si sono enfatizzate le categorie dell’eccellenza, della specializzazione, della centralizzazione, dell’alta tecnologia, che spesso si accompagnano all’isolamento dal territorio quotidiano, oggi l’incertezza dovuta al Covid e ad altri possibili incidenti lungo il percorso lineare della “crescita”, ci inducono a pensare ad un paradigma diverso, ad un modello di progresso sociale in cui servizi (non solo la scuola, anche i servizi sanitari, quelli culturali, il verde, lo sport, il tempo libero….) e opportunità siano molto più distribuiti sul territorio e resi accessibili a tutti.
Ma è a questo punto che ci accorgiamo che la scuola è ancora, tra i servizi – malgrado l’emergenza strutturale che la affligge – quella più presente capillarmente sul territorio, è il servizio pubblico con cui gran parte degli abitanti hanno rapporti più consolidati e continuativi e dunque è sulla scuola che bisogna puntare nell’immediato, tanto per il suo ruolo come motore di consolidamento sociale e di innovazione del sapere, tanto per la sua capacità di innervarsi nel tessuto urbano e assumere un ruolo strategico per ottenere un territorio fortemente innervato da strutture di prossimità che possano assumere anche il ruolo di presidio sociale, culturale, civile.
Oggi, con gli orari dilatati dalla pandemia, l’idea di un uso condiviso degli spazi scolastici richiede un ripensamento; nello stesso tempo occorre cogliere tutte le opportunità che rendono la scuola un avamposto civico, che può essere ibridato anche da altre funzioni che tradizionalmente non appartengono all’esclusivo campo dell’istruzione: biblioteche, auditorium, palestre, luoghi di socialità e solidarietà, percorsi di scolarizzazione ed emancipazione per i più deboli, luoghi di educazione sanitaria e sensori della qualità di vita, spazi pubblici e aperti per permettere una socialità sicura.
Indicazioni operative
Le scuole oggi richiedono permeabilità con spazi aperti e ricca dotazione di verde, spazi didattici più ampi, flessibili, facilmente sanificabili e con condizioni di microclima controllato.
L’attenzione è concentrata sulla capienza delle aule, ma al di là del distanziamento e della conseguente riduzione della capienza delle aule, occorre puntare sulla ventilazione (ricambio d’aria) e sui luoghi in cui tipicamente si verificano assembramenti (atrii, corridoi, luoghi di sosta…..).
Il lavaggio delle mani è entrato a far parte – come una sorta di ritualità sociale – dei gesti ricorrenti che punteggiano il tempo quotidiano e che non possono essere esaurite dai soli servizi igienici come spazi isolati e ancillari; il tessuto connettivo (corridoi, atrii, luoghi di sosta, scale…) deve poter commisurare la funzione di luogo di socialità con le precauzioni igieniche, ma nello stesso tempo deve permettere percorsi fluidi e veloci: è proprio sui percorsi – ambienti spesso ristretti e privi di sufficiente aerazione – che si concentrano le maggiori preoccupazioni, così come gli spazi di ingresso e uscita devono essere configurati in modo da ridurre assembramenti all’inizio e alla fine delle lezioni; la stessa organizzazione dell’orario scolastico deve essere riformulata: non più ingresso e uscita tutti insieme, ma orari sfalsati e dilatati per permettere la fruizione a più persone nell’arco della giornata; totalmente ripensati i tempi e i modi della ricreazione, delle mense, delle palestre….
Anche la questione della didattica on-line, utilizzata come surrogato nel periodo del confinamento, richiede attenzione, risorse, apre prospettive di integrazione con le attività in presenza, può allargare il ventaglio degli utenti (se sostenuta da finanziamenti e da strategie politiche efficaci).
L’introduzione – ormai strutturale – della tele-didattica, deve essere organizzata in modo da diventare complementare e non sostitutiva della didattica in presenza, e anche per questo richiede spazi (e competenze) appositamente dedicati, per le lezioni, per i seminari, per gli esami e le fasi di tutoraggio; per le fasi tecniche di montaggio, archiviazione, diffusione.
L’emergenza Covid ha fatto venire a galla una serie di criticità, molte delle quali erano già presenti nel sistema scolastico, sia pure sommerse e mascherate dall’abitudine, dalla rigidità della burocrazia e da esigenze di riduzione dei costi. Elisabetta Forni, sociologa e già docente al Politecnico di Torino, su La Stampa del 4 luglio 2020 formula una serie di suggerimenti che meritano grande interesse: « è un diritto dell’infanzia quello di avere una educazione con un rapporto adeguato tra docenti e allievi. Quindi per la riapertura a settembre non si deve fare un’operazione transitoria per ragioni sanitarie, ma si deve pensare di innescare un meccanismo da mantenere anche per il futuro. Anziché immaginare di ridurre le ore a scuola, con spazi più ampi si potrebbero portare all’interno e gratuitamente anche le attività sportive e culturali che fanno fuori dopo la scuola solo i bambini che se le possono permettere.[….]Questo ridurrebbe in maniera netta le differenze sociali. […]Non si deve pensare solo di recuperare dei metri quadrati. Quello di vedere la città come una scuola a cielo aperto non è un tema di adesso ma ci sono studi consolidati. L’idea che tutta la città diventi spazio educativo, non solo nei luoghi istituzionali della cultura come teatri o musei, ma anche tutti gli spazi pubblici come le strade, si scontra con un atteggiamento degli adulti che spesso non è tollerante nei confronti dei bambini.[…]E comunque educazione è anche andare per strada, vivere la città, ma per gli insegnanti questo vuol dire burocrazia, autorizzazioni, responsabilità.[…]la città può rappresentare un mezzo altamente educativo: andarne alla scoperta, fare incontri con il diverso da sé e risolvere i conflitti tra pari senza la supervisione di un adulto ne fanno un terreno propizio per lo sviluppo di una personalità autonoma, non condizionabile, non assoggettabile a meccanismi gregari.»
In conclusione:
al tema scuola deve essere assegnata una assoluta priorità nella definizione delle strategie di ripartenza, per almeno tre ragioni
- La Scuola ha il compito primario di costruire le condizioni affinché bambini e giovani, in quanto tali, incontrino condizioni accoglienti, sicure, uniformi di espressione della loro condizione, di accrescimento, di esercizio dei loro diritti.
- La Scuola ha il compito di predisporre le condizioni e le risorse perché il Paese sia in grado di progredire, produrre menti attrezzate al cambiamento, ad affrontare le continue sfide poste dalla società e dall’ambiente antropizzato.
- La Scuola è, tra i sevizi pubblici collettivi, quella che nella condizione attuale rappresenta, con maggiore diffusione capillare, la presenza dispiegata sul territorio delle Istituzioni Civili, dunque assume il ruolo di avamposto per presidiare un ampio ventaglio di situazioni locali e costruire le condizioni per migliorare la risposta collettiva ai problemi posti non solo dalla crisi pandemica, ma da tutte le molteplici minacce – dal collasso del sistema economico al riscaldamento globale – che oggi gravano sull’immediato futuro del pianeta.
Il progetto richiede una attività meticolosa di di raccolta di informazioni, di concezione, di verifiche con le diverse competenze; richiede confronto intellettuale, intelligenza, capacità di ascolto;; deve poter essere valutato ai fini della qualità, della integrità, della efficacia; deve ottenere l’approvazione dei diversi enti di tutela, deve rispondere ad una mole di prescrizioni normative, deve superare una serie titanica di passaggi burocratici ecc. ecc. dunque il tempo del progetto non può essere costretto entro limiti impraticabili affinché rivesta contenuti di reale qualità. Dunque occorre muoversi immediatamente per riuscire, sia pure con grande sforzo, a darsi degli obiettivi con scadenze prossime come quelle del prossimo autunno. E non ci si può illudere che esistano scorciatoie emergenziali che garantiscano reale tutela da percorsi deviati e deformati da interessi che non coincidono con il bene comune.
Dal programma del convegno” Scuole APP-ERTE ” Livorno 16 Dicembre 2016
«Le scuole sono forse il più grande patrimonio materiale e immateriale delle nostre comunità . Esse sono dappertutto e dappertutto accolgono la sfida della trasmissione del sapere, dell’educazione, dell’incontro tra generazioni, del confronto fra culture e linguaggi. Nulla più della scuola è il bene comune di questo Paese. Un bene che, tuttavia, non sempre è pienamente utilizzato, spesso è chiuso in orario extra-scolastico, talvolta ha poche relazioni con la comunità , poco incline ad ascoltare i bisogni, i desideri e le proposte degli studenti e, in generale, della comunità scolastica.
Da qualche anno, però, in Italia si sono moltiplicate le esperienze di scuole che sperimentano nuovi modelli di gestione condivisa e aperta, coinvolgendo attivamente gli studenti, i genitori, i nonni, le associazioni e tutte le componenti dei territori in cui sono situate.…»
Il testo qui riportato è la traccia dell’intervento fatto martedì 14 luglio 2020 nell’ambito dell’assemblea sui luoghi della scuola e della sicurezza “Tutti in aula, si ma dove“.
Photo Arnout Fonck on flickr.com: Kinderdagverblijf Parkvilla progetto di 51N4E, 2013