Pink Floyd a Pompei | The Wall

Pink Floyd a Pompei (Live at Pompei, 1972 e 74) dell’attore regista franco-scozzese Adrian Mabenè ha come iconico fulcro architettonico lo splendido anfiteatro romano di Pompei. In perfetto stato di conservazione. La costruzione si vede fin dall’inizio dall’alto: ripreso con teleobiettivo da un dolly che scende e si avvicina piano piano a volo d’uccello fino ad inquadrare i volti dei nostri semidei musicisti: David Gilmur, Richard Wright (1943-2008), Roger Waters e Nick Mason. 

In Pink Floyd a Pompei, si vedono loro quattro mentre si esibiscono nell’arena, dal vivo, senza pubblico e anche quando visitano, sparsi o incolonnati, la solfatara di Pozzuoli tra i fumi, il fango ribollente, le acque termali. Il docufilm musicale è un grande collage di immagini, spezzoni di filmati della antica città campana. Di architetture, di pitture, di statue, di mosaici e di calchi in gesso dei corpi inceneriti degli antichi abitanti. Due civiltà, quella Pop Rock contemporanea e quella Antica romana, che si fondono assieme nel dolore, nel ricordo della tragedia di Pompei, distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.. 

Ma non è vero che il pubblico nel film non c’è. C’è e come! Eccolo apparire: le maschere in pietra dei bassi rilievi, dei mosaici e quelle dipinte a tempera, a fresco o a encausto insieme alla copia di scriba, ai ritratti di vari personaggi, i signori, gli dei e gli eroi, rappresentati con i loro costumi, alcuni con i loro animali. Nella Villa dei misteri, altri nella Casa del frutteto o nella Villa imperiale, nella Casa de Vettiii, in quella di Agrippa Postumo o nella Casa dei Dioscuri, in tante altre abitazioni. Tutti spettatori ad ascoltare silenti la musica che viene dal futuro a ricordare un grande se pur doloroso passato. Pompei una città, di soli 20.000 abitanti, di manifesta vivibilità e gusto, qualità culturali estetiche oggi introvabili: le vie, i templi, le abitazioni, il teatro, i negozi, i luoghi di divertimento, le stesse sepolture fuori le porte progettate a forma di piccole case in modo da dare sollievo e ristoro ai defunti. 

Un modo di vivere ove il contesto scenografico architettonico paesaggistico era volutamente dominante, la consapevolezza del vivere nella civiltà del bello. Così scrive di Pompei il teorico dell’architettura e architetto Vitruvio (80 a.C.- dopo il 15 a.C.) sulle decorazioni interne delle abitazioni nel VII Libro del De Architectura (15 a.C.) “…vedute di edifici in ‘Stile architettonico prospettico’, colonne e frontoni sporgenti e, negli spazi più grandi, di esedre dove venivano rappresentate intere scene figurate, tragiche, comiche o satiriche; nelle gallerie invece si usavano particolari paesistici (porti di mare, promontori, coste, fiumi, sorgenti, edifici, boschetti, montagne, pastori con greggi).” Infine cita le: “…megalografie …con simulacri di divinità, favole mitologiche, guerre troiane o peregrinazioni di Ulisse…”.  Per chi ama la musica Pop elettronica è sicuramente uno dei film musicali più interessanti del ’900. Della pellicola esistono due versioni un medio metraggio originale (60 minuti) e un lungo metraggio (80 minuti). Purtroppo alcune registrazioni musicali dal vivo andarono perse, il lungo è integrato con registrazioni in studio.

Ma il film musicale più importante del gruppo Rock è The Wall (1982) un dramma musicale diretto dal regista Alan Parker (1944-2020) con le animazioni di Gerald Scarfe, la sceneggiatura e il soggetto di Rogers Waters. Un film solo musicale e senza dialoghi, dove i quattro musicisti non si vedono, voluto da Rogers per uscire dal meccanismo dei concerti dal vivo, dalle grandi arene contemporanee — con centinaia di migliaia di fan plaudenti — ritenendolo alienante per se e il gruppo: distruttivo. Insomma, Waters decide di costruire un muro (il film) tra il gruppo e il pubblico. Questo corrisponde al periodo della Band detto esistenzialista, lacaniano (Jaques Lacan, 1901-1981), in particolare alla condivisione del pensiero di Jean-Paul Sartre (1905-1980); più volte citato in interviste varie dallo stesso Waters forse il più intellettuale del gruppo. Pensiero dal quale scaturisce la metafora del muro (d’abbattere). Quello in cui ognuno di noi involontariamente costruisce per proteggersi dall’alterità, duale, del mondo della necessità, un infinito limes invalicabile. Impossibile se non attraverso la soluzione in se dei problemi che ne hanno causato l’innalzamento — anche solo a causa di un inciampo doloroso — solitamente legati all’infanzia (dice la psicanalisi freudiana): alla madre, al padre Pink (Bob Geldof) morto in battaglia contro i tedeschi, al professore, ai compagni di scuola, all’emarginazione quando si è bambini e manca una figura di riferimento. Da Wikipedia: “…Così si apre un processo mentale ( il pezzo musicale è The Trial), ’ si vede tutto in un cartone animato, lui piccino contro il muro assediato dai suoi persecutori ’ con tanto di accusa, giudice e testimoni a carico (il maestro, la moglie e la madre), il cui esito è immaginato da Pink come una sentenza che lo condanna ad abbattere il muro, eliminando le proprie difese integrandosi con il resto dell’umanità…”.

Ma un semplice muro è sufficiente per parlare di architettura nel cinema? Certo… basta che il muro ci sia, si veda, basta che l’idea stessa di muro venga rappresentata all’interno delle sequenze. In The Wall è altissimo, costruito con “antiche” pietre. Un vero vallo romano  quello realizzato da Pink per ingabbiarsi non per proteggersi dai barbari. Fino a identificarsi con i barbari “nazisti” che hanno per simbolo i martelli da carpentiere incrociati che marciano. Le trincee, piene di cadaveri di soldati, nel fango, ammonticchiati. In lontananza una porta da Rugby (che lui ragazzo supera correndo verso la macchina da ripresa). Londra sotto i bombardamenti e la Cattedrale di San Paolo (1675) dell’architetto matematico Christopher Wren (1732-1623). Continue suggestioni oniriche, surreali. Uomini tra i reticolati che avanzano o in ritirata. Nel film ci sono scenografie surrealiste come quella della scuola labirintica, compartimentata, alienante, con centinaia di studenti perfettamente irregimentati divisi tra maschi e femmine… Il corridoio che percorrono i ragazzi prima di essere trasformati in carne (da macello) tritata; iI sogno della stanza sghemba sulle cui pareti è proiettata l’ombra della moglie di Pink che si trasforma in un fiore (un enorme sesso femminile) carnivoro e cerca di ingurgitarlo mentre sta seduto, completamente in catalessi, vicino ad una finestra davanti un televisore. Tutte le allucinazioni della rock star Pink strafatto di droga, LSD, anfetamine, haschish — la storia di Pink ricorda molto la biografia di uno dei musicisti fondatore della banda, compositore polistrumentista e pittore britannico Syd Barrett (1946-2006) sempre drogato al limite da non riuscire più a suonare e a doversi poi ritirare dalle scene. Ma oltre ad abbattere il muro e a reintegrarsi Pink trova in se stesso chi è realmente? Forse… questo nel bellissimo film non si vede. Io penso di si. Amo il lieto fine. 

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