Il laureato

Il laureato (The Graduate, 1967) diretto da Mike Nichols, basato sul romanzo omonimo di Charles Webb, è una commedia tipica degli anni ’60, un film ben fatto, che mi ricorda tutta una serie di eventi e coincidenze personali. Il 1966-67 fu l’anno in cui mi iscrissi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, un luogo dal punto di vista architettonico mitico: il Castello del Valentino (1638) di Carlo e Amedeo di Castellamonte. E mi ricorda il design dell’automobile Duetto spider 1600 Alfa Romeo (1966) progettata da Pininfarina, il bellissimo Transatlantico Raffaello (1962) costruito dall’Ansaldo con i fumaioli reticolari alati che portò a New York proprio la Duetto che si vede nel film. Veramente le Duetto scelte dall’allora direttore delle relazioni pubbliche di Alfa, Camillo Marchetti, per sbarcare nella “grande mela”, furono tre: una rossa, una bianca e una verde. E poi il simbolo della rivoluzione del design in atto, la Radio Brionvega Cubo (1964) progettata da Marco Zanuso (1916-2001) e Richard Sapper, con cui per la prima volta ascoltai “Mrs. Robinson” di Simon and Garfunkel, leitmotiv del film di Nichols (che vidi non molto tempo dopo) un regalo che mi fecero, insieme alla penna stilografica Aurora, sempre di Zanuso quando passai la maturità (1966). Sono oggetti che custodisco ancora gelosamente. Figlio d’arte, trasferito a Torino da Milano, fin da giovanissimo ero sensibile a tutto ciò che veniva prodotto nel mondo dell’architettura, del design veicolare e del design industriale, e anche felice di essere capitato – vivevo in via Marenco – in una bella città. Una città razionale, assiale, ben pianifica dagli antichi, con 12 chilometri di portici; moderna nel vero senso del termine, certamente, dal punto di vista delle relazioni sociali non paragonabile con le possibilità milanesi, ma con una vivibilità urbana cento volte superiore.

La trama di Il laureato è di una semplicità sconcertante, la novella svolge il tema del disagio giovanile a tutti i livelli sociali. Disagio spinto dal vento letterario della Beat Generation (nel 1957 Jack Kerouac aveva pubblicato On the Road) dalle canne, dai Beatles, dalle manifestazioni per la pace, dai figli dei fiori, dall’emancipazione femminile, dal superamento di conformismi, dalle occupazioni sessantottine delle università.

Narra di Benjamin Braddock, un giovane ben educato di ricca famiglia, appena laureato, che gira in Duetto. I genitori organizzano una festa per festeggiare la sua laurea. Tra le persone invitate c’è Mrs. Robinson, moglie del socio d’affari del padre di Braddock. Però il giovane se ne sta in disparte, è disorientato e preoccupato per il proprio futuro. La donna, con la scusa di farsi accompagnare a casa, tenta di sedurlo. Però Ben riesce a liberarsi e ad andarsene. Tuttavia dopo qualche giorno, data la bellezza della signora, Ben la chiama invitandola in un hotel dove consuma con lei il suo primo rapporto sessuale. Inizia così una lunga relazione. Ma un giorno, su insistenza dei suoi genitori, Ben si trova costretto a invitare Elaine, figlia della signora Robinson, della quale si innamora perdutamente. Ma lei, scoperta la relazione con la madre, lo lascia … etc. etc. Ma, alla fine, quando Elaine sta per sposare un altro, Ben la raggiunge proprio in chiesa, e nonostante la Duetto si sia fermata, per mancanza di benzina, i due abbandonano tutti fuggendo su un autobus.

La Duetto diventa l’architettura diegetica, il luogo su cui si incentra il film. Infatti mi sono sempre chiesto se la pellicola abbia avuto successo per via (oltre all’ottima regia) della storia scandalosa – ambientata in tempi in cui la sessualità giovanile era ancora molto repressa dalle istituzioni religiose e dalle regole sociali o della rossa Alfa Romeo. Alcuni dicono che Il laureato servì per lanciare l’automobile nel mondo, io penso esattamente il contrario.

La Duetto mi rimanda ad un settore produttivo, di cui nella rubrica non ho mai parlato, in particolare ad una realtà fondamentale per la storia dell’architettura, dell’ingegneria e dell’urbanistica del nostro paese: allo stabilimento Alfa Romeo di Arese inaugurato nel 1963, tra i più importanti interventi industriali del dopoguerra. Complesso che visitai, grazie a mio fratello Walter, allora direttore del Centro Stile della casa automobilistica. Proprio quando il prestigioso marchio milanese divenne parte del Gruppo Fiat. 

Mentre si è conservato il Centro Direzionale con all’interno il notevole Museo storico Alfa Romeo fondato da Giuseppe Luraghi e Gaetano Cortesi 1976 firmato dagli architetti Vito (1912-1996) e Gustavo Latis (1920-2016), recentemente riqualificato da Benedetto Camerana, purtroppo sono venuto a sapere che presto sarà dismesso il Palazzo degli Uffici Tecnici (1967-1974) di Ignazio Gardella (1905-1999). Un capolavoro della storia dell’architettura industriale che va mantenuto. Voglio ricordare che gli edifici di questo valore progettuale sono Patrimonio dell’Umanità sempre, non solo quando fa comodo. A Torino, ad esempio, sono state salvate molte parti degli stabilimenti Fiat delle origini: il Lingotto (1920) di Giacomo Mattè Trucco con gli interventi di Renzo Piano del 1985 e le Officine Fiat (1907) di corso Dante, in stile Liberty dell’architetto Alfredo Premoli, oggi Centro Storico Fiat inaugurato nel 1963. Il museo nel 1999, in occasione del centenario Fiat, è stato ristrutturato e riallestito ad opera degli architetti Roberto Gabetti ed Aimaro d’Isola. Anche il Grattacielo Lancia (1954) degli architetti Giò Ponti e Gino Rosani, un edificio a ponte unico del genere in Italia, è salvo. 

Mi rivolgo ai proprietari dell’edificio di Arese, alla loro sensibilità, e non solo, alle istituzioni, al Ministero ai Beni Culturali e Ambientali che dovrebbe difendere le ragioni della conservazione magari scontrandosi con certe famiglie e alcune amministrazioni senza chiudere un occhio. Un esempio tra tutti, Italia ’61 a Torino, che sta sempre più assomigliando ad un parco archeologico arrugginito, una devastazione alle porte della città.