Palermo o Wolfsburg

Una mattina di qualche anno fa, verso le 6.30, ricevetti una telefonata da mio fratello Walter – non spaventatevi, per quasi tutta la vita mi sono alzato alle 6.0 – che mi diceva: «sono a Torino, mettiti un vestito da manager blu scuro, tra mezz’ora ti passo a prendere … ti porto a vedere un posto che so ti farà impazzire … se non lo vedi in questa occasione non lo vedrai mai più». Feci qualche resistenza, detesto viaggiare, poi mia moglie mi disse andiamo. In un lampo ci trovammo a Caselle in partenza su un aereo aziendale del gruppo VW, destinazione Wolfsburg, la Stadtlandschaft (città-paesaggio) fondata nel 1938, nel centro della Germania, a cento chilometri da Berlino. Già subito al Flughafen Braunschweig (1930) ci accorgemmo di entrare in un mondo particolare “sconosciuto” (l’edificio dell’aeroporto è in stile neoclassico nazista, composto da una parte centrale, dove si trova la torre di controllo, con tetto “nordico” spiovente e due ali laterali dette Terrassen).

Wolfsburg è una realtà unica dal punto di vista architettonico, infrastrutturale, urbanistico, ambientale: per via della sua immagine all’avanguardia, delle stratificazioni di stili succedutesi nel breve tempo, adeguate alle necessità dello sviluppo economico industriale del grande gruppo automobilistico. Aeroporto, fabbrica (con le diegetiche ciminiere), uffici, case dei lavoratori, musei, luoghi di svago, planetario, stadio, hotel per tutte le tasche e Autostadt (2000). Una città di 130.000 abitanti creata in solo 80 anni. “Protetta” da due antiche fortezze: il Castello di Wolfsburg (1300-1500) della famiglia Von Bartenslebens e il Castello di Farllesleben (1551) degli Hoffmann-von-Fallersleben. Un unicum urbanistico difficile da raccontare nelle poche righe di un articolo. Un mondo dove l’automobile è l’interprete principale, venerata, idolatrata, dea a cui “sacrificare la propria vita”. Un luogo, quello allo stato attuale, dove si sono succeduti per la sua realizzazione grandi imprenditori, tecnici e architetti.

Palermo o Wolfsburg (Palermo oder Wolfsburg, 1980), aggiudicatosi l’Orso d’oro alla 30ª edizione del Festival di Berlino, è un film, importante, drammatico, diretto dal regista tedesco Warner Schroeter (1945-2010), tratto dal romanzo Passione di Michele (1980) del giornalista, scrittore, sceneggiatore Giuseppe Fava (1925-1984). La pellicola si svolge proprio negli stabilimenti Volkswagen e nella città di Wolfsburg alla fine degli anni ’70. Nella fabbrica all’epoca si producevano il Maggiolino (1938) ideato dall’ingegnere Ferdinand Porsche (1875-1951) e la rivoluzionaria Golf (1974) del designer italiano Giorgetto Giugiaro, che fece uscire Volkswagen AG dalla grave crisi industriale e di prodotto in cui si trovava. Stesso miracolo lo fece, con Alfa Romeo, Walter de Silva chiamato dall’ingegnere Rudolph Hruska negli anni ’90 a dirigerne il centro stile. Faccio queste considerazioni “storiche” solamente per sottolineare che al centro di ogni sviluppo sociale economico culturale ci sono sempre ingegneri e architetti.

La trama: Nicola, giovanissimo, decide di lasciare la Sicilia e trasferirsi in Germania Ovest – ricordo che Wolfsburg avrebbe dovuto appartenere, sulla base delle divisioni tra sovietici e alleati, alla Germania Est, cosa che gli inglesi non permisero – per lavorare come operaio alla Volkswagen. Le sue speranze di una vita migliore si infrangono subito contro il muro di diffidenza e ostilità germanico. Nicola scopre ben presto la difficoltà di adattarsi a nuove regole. Però la vita del nord gli fa bene, riesce a inserirsi nonostante le difficoltà di comprensione. Aiutato dall’amore per Brigitte riesce a integrarsi nella dura routine lavorativa e a superare l’isolamento linguistico. Quando la ragazza lo lascia, non è innamorata di lui, nel tentativo di salvare il suo “onore” Nicola – che pensa la sua relazione secondo gli antichi codici siciliani – diventa assassino, accoltellando a morte due suoi rivali in amore. Nicola sopporta silenziosamente il processo. Non capisce bene il tedesco e non sa a cosa va incontro. Il suo avvocato difensore vuole un’assoluzione. Però alla fine del film Nicola ammette la sua colpa e si arrende al destino.

La stravagante pellicola di Schroeter si compone di tre “atti” stilisticamente molto diversi tra loro: il realistico si mescola con elementi operistici e distorsioni satiriche fino ad arrivare ad una farsa surrealista. Palermo o Wolfsburg dura quasi tre ore, con un inizio che sfiora il documentarismo, tanto analizza con freddezza, durezza e alienazione i fatti reali, fino ad arrivare allo spettacolo di corte della terza parte, una forzatura eccessiva e poco convincente. A Wolfsburg, infine, non è Nicola a essere processato, ma tutto ciò che è associato alla parola “Wolfsburg”: efficienza industriale, concorrenza spietata e disumanità alienante. Cosa poco veritiera, estremamente ideologica, visto l’alto livello, già negli anni ’80, di patto sociale raggiunto in Germania – protagonista proprio la VW – tra padronato e i dipendenti. Ove il sindacato e lo Stato della Bassa Sassonia siedono nel Consiglio di amministrazione del gruppo. E c’è sempre stata la ridistribuzione degli utili, di fine anno, ad ogni singolo dipendente.

Ma seguiamo insieme la storia incredibile, mitica, della città di Wolfsburg: su indicazioni di Adolf Hitler, l’architetto Albert Speer (1905-1981), ministro per gli armamenti e la produzione bellica, incarica l’architetto viennese Peter Koller (1907-1996) di realizzare il piano urbanistico (Koller-Plan) di una città per 90.000 abitanti.

Nasce uno stabilimento imponente con un fronte del corpo di fabbrica di 1.300 metri che, rettilineo, segue il corso del canale e dei binari della ferrovia, collegato con una super strada all’aeroporto militare di Braunschweig. La città-fabbrica viene però quasi distrutta dai bombardamenti alleati durante il Secondo conflitto mondiale.

Nel dopoguerra con la ricostruzione viene messo in atto il nuovo piano urbanistico da Hans Bernard Reichow (1889-1974), allievo di Erich Mendelsohn (1887-1953), che ruota l’asse cittadino di 90°: dalla obliqua Porschestraße a una perpendicolare est-ovest parallela al corso del canale. Reichow però, è ostacolato da Koller che, pur ex appartenente al regime nazista, non viene deposto dall’incarico – è stato attivo in città fino alla morte – e riesce a costruire solo due delle sue nuove Siedlungen. Lo scontro tra i due architetti porterà a realizzare una città mai completamente ben definita e caratterizzata.

Nel 1958 viene incaricato Alvar Aalto (1898-1976) di mettere a posto le cose, di ridisegnare la Stadtlandschaft Wolfsburg. La città vuole uscire dal suo aspetto di quartiere operaio. Nell’arco di un decennio l’architetto finlandese progetta il Gemenindezentrum (1960) e tre importanti edifici: la Kulturhaus (Casa della cultura) (1962) che ospita il Forum Architektur (Forum di architettura), la Heilig-GeistKirche (Chiesa dello spirito Santo) (1962), la Stephanuskirche (Chiesa di Santo Stefano) (1963-1968). Con la costruzione e la pianificazione di questi fondamentali riferimenti sociali Wolfsburg si sente per la prima volta “città nel vero senso della parola” (stadtmitte). Il progetto strategico d’identità, creato da Aalto, verrà completato 1994 con la costruzione del Kunstmuseum di Peter Schweger & Partner (inaugurato con una retrospettiva di Fernand Léger), del Giardino zen (2006) dell’architetto giapponese Kuzuhisa Kawamura e dell’Allepark.

Negli anni ’60 – ’70 Wolfsburg continua a svilupparsi creando sempre nuove Siedelungen. La fabbrica di VW è in espansione anche grazie al contributo degli operai italiani. Nel 1972 Wolfsburg si dota di un teatro. È Hans Scharoun a vincere il concorso per la costruzione del Klieversberg Theatre, classificandosi davanti ad altri sette architetti di fama mondiale, fra cui Alvar Aalto e Jørn Utzon.

Dal 1996 Wolfsburg fa un nuovo salto nel futuro creando un Zentrum di servizi globali e strutture per il tempo libero, principalmente a scopo turistico e per dimezzare la disoccupazione giovanile: costruisce Autostadt VW (città dell’auto), cittadella super-tecnologica con paesaggio lagunare a nord del Mittelandkanal, a destra della gigantesca fabbrica, affacciata sull’ansa artificiale creata all’uopo a ridosso della sua iconica torre est come progetto satellite per l’Expo 2000 di Hannover.

Autostadt è collegata dallo Stadtbrücke (Ponte della città) (2000) di Leonhardt-Andrä und Partner al contemporaneo intervento urbano di Zaha Hadid (1950-2016), il primo progetto architettonico di portata internazionale dell’architetto matematico anglo-irachena. È con il Phæno Science Center (1999-2005) di Wolfsburg che la Hadid diventa celebre in tutto il mondo. Con lei è nato un nuovo modo di fare architettura definito” decostruttivista”.

Buon viaggio nel mondo dell’architettura contemporanea, della tecnologia avanzata, nel luogo delle opportunità; quanto ho scritto è solamente un’informativa, bisogna andare a visitare la città per capire. Nessun problema: unico ostacolo … l’aereo non vi trasporterà all’aeroporto di Braunschweig, ma a quello di Hannover.

Foto di gerdxx su flickr.com