BLADE RUNNER 2049 (2017)
Tre sono i film di Denis Villeneuve che preferisco, La donna che canta (Incendies, 2010), Sicario (2015), Blade Runner 2049 (2017); i primi due in modo particolare perché, oltre alla altissima qualità estetica e della regia, raccontano di due donne, eroine, in situazioni drammatiche inimmaginabili, due film, ove non ci sono edifici significativi, si svolgono in luoghi pressoché desertici. Mentre il terzo film, anch’esso nel ricordo di un’altra eroina, Rachael, una donna replicante, attraverso i suoi due gemelli, partoriti guarda caso in un deserto, un maschio (l’agente K/Joe interpretato da Ryan Gosling) e una femmina (la dottoressa Ana Steline interpretata da Carla Juri) mi permette di parlare di architettura. Di architetture costruite appositamente, o già esistenti, di maquette realizzate in studio e altre modellate in Computer grafica 3D. Una mescola tra finzione e realtà in un continuo scenografico frutto di una creatività degna di Metropolis (1927). Addirittura originariamente la pellicola doveva chiamarsi proprio come il film del grande cineasta Fritz Lang. Eccezionale il lavoro svolto dallo scenografo Dennis Gassner e da Emma Pill, location manager del film. Oltre a Ryan Gosling e a Carla Juri fanno parte del cast Harrison Ford che interpreta il personaggio di Rick Deckard padre dei due bambini e Robin Wright, Dave Bautista, Sylvia Hoeks, Ana de Armas e Jared Leto.
Il regista canadese Denis Villeneuve mette in scena in un futuro vicino, una Los Angeles distopica, circondata da regioni contaminate dalla radioattività causata da una guerra nucleare, in cui il clima si è trasformato in modo incontrollabile e chi è sopravvissuto vive in condizioni molto difficili in un ambiente totalmente compromesso. La città è abitata da decine di milioni di androidi, replicanti e umani; assediata dalle discariche di spazzatura, di resti industriali, tecnologici, chimici, che continuano ad accumularsi, senza venire in qualche modo smaltiti; un luogo in cui polvere, neve, pioggia oscurità continue rendono l’atmosfera densa, al limite del collasso; l’oceano si è alzato e la città è protetta da enormi dighe. La sceneggiatura si basa sui personaggi del romanzo Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep? 1968) di Philip K. Dick (1928-1982). Il film è il sequel di Blade Runner diretto nel 1982 da Ridley Scott. Una storia del mondo, rispetto al precedente film, ulteriormente e tragicamente degenerato a causa della società militare super tecnocratica.
In Blade Runner del 1982 l’azione si svolge a Los Angeles, in location cittadine. Nella Ennis House (1924) di Wright, nel Bradbury Building (1983) di Wyman, nelle torri del Westin Bonaventure Hotel (1976) di Portman e la Union Station(1939) in North Alameda Street, solamente le piramidi in stile azteco della Tirrell, il quartier generale della multinazionale che produce i replicanti, sono modelli in scala. Mentre in Blade Runner 2049 la maggior parte delle riprese del film sono state effettuate a Budapest, in location cittadine o negli Origos Film Studios e Korda Studios. Nel film di Villeneuve sono presenti anche le rovine post-apocalittiche di San Diego e Las Vegas, con i loro palazzi metropolitani in miniatura, entrambe realizzate dalla Weta Workshop negli stessi Studios della capitale ungherese.
La facciata del vecchio casinò abbandonato di Las Vegas in cui entra Ryan Gosling è stata ricostruita, identica in grandezza naturale, mentre gli interni sono stati filmati nel Palazzo della Borsa di Budapest (1905) (oggi sede della MTV) dell’architetto ungherese Ignác Alpár. Così come gli interni della Sede Centrale della Wallace Corporation, sono stati costruiti sulla base di uno spettacolare progetto dello Studio Barozzi Veiga, ricavati dal concorso per il Neanderthal Museum di Piloña (2010) in Spagna. Scrive Roberta Valli: “…Il progetto dello studio italo-spagnolo con i suoi volumi piramidali minimali e contemporaneamente scenograficamente grandiosi è perfetto per creare l’ambiente monumentale, quasi monastico, in cui il nuovo demiurgo tecnologico lavora…”. Tra le opere di Barozzi e Veiga, tutte da visitare, il MCBA-Musée Cantonal des Beaux-Arts (2019) Losanna, il Bünder Kunstmuseum (2016) a Coira e l’Auditorium e Palazzo dei Congressi Infanta Doña Elena (2011) ad Aguilas. Sempre per la Sede della Wallace Co. alcuni interni si ispirano alle realizzazioni dell’architetto messicano Luis Barragán (1902-1988). C’è un corridoio che, quello a tratti di luce della Wallace in cui passa K/Joe con la potente e spietata replicante Luv, è identico a quello di Casa Gilardi (1977) a Città del Messico. Altra costruzione è la scuola BGSZC Széchenyi István Kereskedelmi Technikum (1910) l’istituto commerciale di Budapest progettato dall’architetto Béla Lajta.
Nelle sequenze iniziali del film si vedono la Centrale Termoelettrica Gemasolar a Fuéntes in Andalucía, una città vicino a Siviglia. Sempre spagnola è la location del mare di Serre di El Ejido a sud di Almeria, il territorio è definito “il mare di plastica”. Con il suo nero aspetto vulcanico l’Islanda è stata scelta per alcune delle riprese aeree e fa da sfondo alle serre idroponiche che producono proteine e alla fattoria di Sapper (Dave Bautista) in cui si reca Ryan Gosling all’inizio del film per ‘ritirarlo’.
Il set ove si vede l’edificio Espressionista con le piramidi che scendono dal soffitto è il sotterraneo di una vecchia fabbrica abbandonata di Budapest.
La maggior parte delle vedute di Los Angeles sono realizzate in computer grafica, fatta eccezione per la scena in cui vediamo Ryan Gosling recarsi al suo appartamento, l’edificio Deco si trova all’angolo tra la Honvé e la via Szalay in un quartiere residenziale di Budapest.
Le riprese aeree di Città del Messico e delle sue favelas sono utilizzate per la sequenza iniziale del viaggio sul velivolo volante (spinner) verso la stazione di polizia di Los Angeles. La sequenza dell’attacco nella discarica è stata realizzata tutta in CGI e costruita in modo da assomigliare al famoso cimitero di navi di Chittagong in Bangladesh.
Alla fine K/Jef muore, dopo avere salvato il padre Rick Deckard, guardando verso il cielo mentre la neve cade. Muore sulle scale del laboratorio a cupola — dove la sorella Stelline, pitia futuristica, ricostruisce i ricordi dei visitatori formalizzandoli in tre dimensioni — il cui esterno è un edificio Brutalista con finestre a nastro continue e grandi volumi, compenetranti, aggettanti.
Insomma un bel film per gli amanti della fantascienza, dell’architettura e dei buoni sentimenti.
Photo YelmelNoBrainer | Casa Gilardi, Mexico City. Architecture by Luis Barragan