BLACK RAIN
Pioggia sporca (1989) si svolge tra New York e Osaka in Giappone anche in questo film il regista Ridley Scott usa come locations, quale abitazione del capo della mafia giapponese, la Ennis House (1924) a Los Angeles, un’opera fondamentale di Wright. Peccato che girando il film in Giappone non abbia utilizzato quello che resta dell’Imperial Hotel di Tokio che Frank Lloyd Wright realizzò dal 1917 al 1923, trasferendosi a Tokio per sei anni; l’hotel Wright lo progettò in stile maya, un idea che utilizzò anche per la Ennis House.
L’Imperial Hotel di Tokio, quello che rimane, è una costruzione in cemento armato con tamponamenti in mattoni lavorati e blocchi di pietra Oya scolpiti a mano, molto porosa e fragile, cosa creò in seguito non pochi problemi. Molto lesionato dal terremoto del 1923 fu restaurato e utilizzato fino al 1976 data della sua demolizione per sostituirlo con un nuovo hotel aggiornato alle necessità del tempo. Quindi la maggior parte dell’edificio di Wright è andato distrutto tranne l’iconico atrio con le due ali a fronte della piscina. Parti che furono meticolosamente smontate, pezzo per pezzo, e ricostruite al Museo dell’architettura di Meiji-mura, un parco ove sono stati raccolti edifici (principalmente dell’età Meiji) a Inuyama, vicino a Nagoya. La ricostruzione esterna iniziò a marzo del 1977, impiegando 6 anni prima di essere completata. La ricostruzione degli interni iniziò nel 1983 dopo una pausa di 7 anni e fu completata nell’ottobre 1985, più di 17 anni dalla demolizione. Il complesso di edifici, è un progetto scientifico, molto particolare, per la salvaguardia e la conservazione del patrimonio architettonico giapponese.
Da Wikipedia: “…L’Imperial Hotel è sempre stato la dimora di star, celebrità e troupe di produzione cinematografica. Douglas Fairbanks nel 1931, Charlie Chaplin nel 1932, Bob Hope nel 1950, Cary Grant nel 1953, Alain Delon nel 1963, Marlene Dietrich nel 1974, e naturalmente Di Maggio e Monroe nel 1954. Gli ospiti recenti sono stati Jodie Foster, Pierce Brosnan, Jean Reno, Luc Besson e Keanu Reeves…”.
Perché il titolo Black Rain? Per ricordare la pioggia nera che cadde sul Giappone dopo lo scoppio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Nel film uno dei personaggi ne parla rinfacciando agli agenti americani, un po’ arroganti, il terribile olocausto…
Nick Conklin (Michael Douglas) e Charlie Vincent (Andy Garcia), due poliziotti di New York, si trovano in un ristorante di Manhattan e assistono ad un brutale massacro di alcuni gangster giapponesi seduti a un tavolo insieme a membri della mafia americana. L’omicida di nome Sato (Yūsaku Matsuda), un criminale che fa parte della Yakuza giapponese, però non riesce a sfuggire ai due detective che lo arrestano dopo un breve inseguimento. Portatolo al commissariato Nick e Charlie ricevono l’ordine di estradarlo a Osaka. Ma quando arrivano in Giappone gli uomini della Yakuza, all’aeroporto, spacciandosi per degli agenti, si sostituiscono alla polizia giapponese liberando Sato. Compreso il grave errore, Nick e Charlie, si danno alla caccia del boss mafioso affiancati da un collega nipponico Masahiro Matsumoto (Ken Takakura). Un poliziotto integerrimo, incorruttibile, ovvero l’opposto di Nick.
In origine l’intenzione di Ridley Scott era di filmare nel quartiere della vita notturna di Tokyo, di Kabukicho a Shinjuku. Ma scelse Osaka perché le autorità cittadine erano più disponibili a concedere permessi cinematografici e più affine ai suoi gusti.
“…La ribollente affascinante città industriale di Osaka dona al film…” ha commentato Scott “… da proprio la sensazione d’un inquinato, fumoso, abbacinante di neon, incubo urbano…”. Gran parte delle scene di Black Rain sono state girate ad Osaka però alcune locations oggi non esistono più per via della continua trasformazione della città: come il Ponte in ferro Shinsaibashi (1873) smantellato nel 1995 o il vecchio Centro commerciale, della stazione di Hankyu Umeda, inaugurato nel 1929 demolito nel 2000 e ricostruito, era simile a una neogotica cattedrale le cui nervature delle volte però sembravano di bambù non di pietra, e grandi sale con enormi lampadari che scendevano a riempire lo spazio. Infine il ponte Ebisubashi sul canale Dōtonbori demolito e poi ricostruito su progetto dell’architetto Akihiro Tsukaguchi nel 2015.
Dōtonbori (1615) è il centro culturale e di divertimento di Osaka, illuminato da neon pubblicitari che coprono integralmente le facciate dei palazzi che guardano le due sponde del canale.
Tra gli edifici sul Dōtonbori c’è il “futurista” Kirin Plaza dell’architetto Shin Takamatsu, costruito nel 1987, un grattacielo di grande interesse progettuale e formale. Ecco alcune considerazioni dell’architetto sul suo progetto: “In termini di disordine, non c’è nessun posto in Giappone che superi il luogo dove è posto questo edificio. In un luogo del genere, la mia missione era assolutamente chiara. Vale a dire, la missione di costruire un’opera di architettura che simboleggiasse la società nel tempo in cui l’edificio veniva costruito. È impossibile, tuttavia, simboleggiare una società specifica senza utilizzare un segno o uno stile specifico. Però, l’architettura è una presenza estremamente diversa da un segno o uno stile. Quindi, in teoria, rimaneva solo una soluzione: la determinazione che l’architettura dovesse simboleggiare se stessa e non le caratteristiche del luogo. Il distacco dal contesto doveva essere sfruttato e intensificato in modo che l’architettura lo sopraffacesse…”. (Akihiro Tsukaguchi). Proprio l’opposto delle teorie dell’architettura organica di Wrigth.
Nel film inoltre di Osaka e dintorni si vedono brevemente il Mercato Municipale all’ingrosso, le Acciaierie Nippon nella città di Sakai (sud di Osaka), la Stazione Kyobashi, la superstrada sopraelevata Hanshin, l’antico Castello (1597) e la città portuale di Nanko, così come il Motomachi quartiere dello shopping nella vicina Kobe.
Photo by Mike Kilcoyne on Unsplash: Osaka