Las Torres de la puerta de Europa (1989) di Philip Johnson e John Burgee, simbolo della nuova Madrid di fine millennio, conosciute anche come Torres Kio – inclinate una verso l’altra con un angolo di 15° rispetto alla verticale, con un’altezza di 114 metri e divise in 26 piani – costituiscono un importante riferimento per Pedro Almodóvar, che le propone da varie angolazioni nel corso di Carne trémula (1997).
Il film, liberamente tratto dal romanzo Carne viva (Live Flesh) (1987) della scrittrice inglese Ruth Rendell, ha per protagonisti Javier Barden, Liberto Rabal, Pepe Sancho e Francesca Neri. Di grande successo di critica e di pubblico è di genere melò-thriller-tragico, temi provocatori cari al regista. Dello stesso genere ricordo Volver del 2006, nel quale alcune scene sono girate in una casa tradizionale della Spagna castellana, che gravita intorno ad una corte centrale a portico con colonne.
In Carne tremula invece Aldomovar colloca l’alloggio del suo giovane protagonista nella baraccopoli del quartiere proletario della Ventilla, vicino alle due torri, oggetto negli anni seguenti di una radicale trasformazione urbanistica. Le torri con la piazza sono un’opportunità scenografica per Almodovar, per sottolineare la dicotomia tra le classi borghese e proletaria, su cui solitamente l’artista basa le sue drammatiche historias de vida. Due mondi complementari e opposti: la piazza del potere economico finanziario cosmopolita di Madrid e la suburbia degli ultimi.
La sinopsi del film: David (Javier Barden) e Sancho (Pepe Sancho) sono due poliziotti che incontrano Víctor (Liberto Rabal), un giovane immaturo e emarginato. Durante una notte di pattuglia in città, conoscono Helena (Francesca Neri), tra loro si scatena una discussione e David viene ferito alla colonna vertebrale da Sancho. Ma viene arrestato Victor e, agnello sacrificale, condannato a sette anni di prigione, mentre David finirà la sua vita su una sedia a rotelle.
Almodóvar dice di questo film: «… come in quasi tutti i miei film, non è facile da classificare il livello di genere. So solo che questo è il film più inquietante che abbia mai fatto e che mi ha turbato di più. In Carne … c’è un dramma intenso, barocco e sensuale (totalmente indipendente dalla storia di Ruth Rendell che ne è stata l’ispirazione) è thriller e tragedia classica …». «… tra questi pochi personaggi si forma quindi una trama serrata. Entrambi alla maniera dei film noir americani degli anni ‘40” ...» E, io aggiungo, nello stile europeo-ispanico de Il crimine di Archibald de la Cruz (1955) di Luis Buñuel.
Per comprendere Philip Johnson (1906-2005), il primo architetto d’America, l’intellettuale, il filosofo, lo storico dell’architettura moderna, fondatore della rivista International Style, non basta guardare le sue opere di architettura e design, leggere i suoi libri. Si deve visitare la sua dimora, il complesso della Glass House (1949), cuore della tenuta di 20 ettari a Canaan nel Connecticut, nei dintorni di New York, ove è vissuto per più di quarant’anni costellandola di costruzioni emblematiche: la Da Monsta, la Guest House, la Sculpture Galery, il Library Studio, il Gazebo, il Lago artificiale con la fonte architettonica. Andate in visita a Canaan, ne riceverete un geniale insegnamento progettuale e morale.
Philip inizia a progettare a 42 anni, con Mies van der Rohe realizza il Seagram Building (1958), sua prima grande opera. Da lì in poi ha vissuto una vita professionale, fortemente eclettica, aderendo a tutte le tendenze architettoniche della contemporaneità: Razionalismo, International Style, Decostruttivismo, Post modernismo, diventandone alfiere di volta in volta. Guardate, anche solo in foto, quanto incidono nella skyline di NewYork le sue costruzioni, diverse l’una dall’altra.
Un’opera d’arte à bella o brutta, giusta o sbagliata, a seconda del pensiero politico dell’artista che la produce? Ezra Pound, tra i più grandi poeti di tutti i tempi, degno di ammirazione quanto Dante (fascio-ghibellino) e Cavalcanti (demo-guelfo), alla fine della Seconda Guerra Mondiale (1945) fu imprigionato in un manicomio criminale perché aveva aderito idealmente al fascismo, un delitto d’opinione. È giusto? Sta accadendo la stessa cosa, questa volta molti anni dopo la sua morte, per Philip Johnson.
Oggi è venuto di moda scagliarsi contro figure, personaggi eminenti della storia, individui che hanno costruito il mondo occidentale: politici, militari, scienziati, artisti, scrittori. In nome di una insidiosa, retorica, subdola, insinuante dittatura “politically correct”.
Photo by Fred Romero on Flickr.com – Las Torres de la puerta de Europa (1989) di Philip Johnson e John Burgee