“Il disprezzo (Le Mépris)”
Jean-Luc Godard, esponente di spicco della Nouvelle Vague, si è interessato molto all’architettura moderna, trovandola funzionale al suo lessico cinematografico. Il cineasta francese, infatti ne Il disprezzo (Le Mépris) (1963) riprende Villa Malaparte (del 1942) di Pietro Bardi e Curzio Malaparte a Capri con un uso costante di campi lunghi e medi, per inquadrarla nel suo contesto paesaggistico in modo ossessivo, quasi documentaristico.
La Villa di Capri sembra sia stata ideata da Curzio Malaparte – e non da Alberto Libera al quale è sempre stata attribuita – come risulta anche dal Pubblico Registro delle Opere protette presso il MIBAC. Dopo l’acquisto del terreno su Punta Massullo per dodicimila lire, l’amicizia con Galeazzo Ciano, allora Ministro degli affari esteri ed appassionato frequentatore di Capri insieme alla moglie Edda Mussolini, gli consentì di ottenere la licenza edilizia. Pietro Bardi si occupò della realizzazione dell’edificio, fece il progetto esecutivo (piante, sezioni e prospetti) e la direzione lavori, su indicazioni di Malaparte che diede le linee guida estetiche e costruttive. È considerata uno dei capolavori dell’architettura mondiale del ‘900.
La villa ricorda, con la sua semplice struttura, le abitazioni locali (mediterranee) e possiede note chiaramente razionaliste come il tetto a terrazza con un setto a paravento, segno che rimanda ai tetti da vivere di Le Corbusier. Particolare è la sua forma a parallelepipedo tagliato obliquo, con la gradinata che sale da stretta allargandosi alla larghezza del tetto-terrazza ed è priva di protezioni quali muretti o ringhiere. Villa Malaparte esce dalle rocce, senza soluzione di continuità, come fosse nata con i faraglioni stessi. Un costruito architettonico razionalista organico, perfettamente inserito nel paesaggio: arricchendolo, oserei dire migliorandolo.
Nel film Le Mépris domina il “piano sequenza” al punto che la versione finale è composta soltanto di 149 piani. È il capolavoro del regista francese. La sceneggiatura fa risaltare in modo inconfondibile e grandioso la figura del regista tedesco Fritz Lang, l’autore del film espressionista M – Il mostro di Düsseldorf (1931) e di Metropolis (1927). Il maestro che interpreta sé stesso appare in tutto il film. Godard gli dedica un ritratto sia affettivo che tecnico citazionista, dal finale sublime: un piano sequenza che riprende Lang con sullo sfondo il mare/cielo di Capri mentre dirige una soggettiva, Ulisse che guarda verso la sua terra, camminando lentamente al fianco dell’operatore che si muove seduto sul carrello della macchina da ripresa.
La trama. Lo scrittore francese Paul Javal (Michel Piccoli) si trova a Roma con la sua attraente e giovane moglie Camille (Brigitte Bardot), convocato dal produttore statunitense Jerry Prokosch (Jack Palance) per riscrivere la sceneggiatura d’un film sull’Odissea diretto dal famoso regista tedesco Fritz Lang, ritenuto senza sbocchi commerciali. Le location sono cinque: un quartiere di cinecittà (decadente), la sala cinematografica privata, la casa di Prokosch sulla Appia antica, la casa di Javal (un appartamento anni ’60, con gli arredi d’epoca, librerie in stile svedese e una scultura di Manzù) e infine a Villa Malaparte, iconica ambientazione che annulla l’interesse per le altre.
I dialoghi del film sono banali e interminabilmente noiosi. Godard sceneggiatore laconico e vacuo? No tutt’altro: qui i dialoghi contano proprio niente. Il film si sarebbe dovuto svolgere in parte nelle lingue dei diversi personaggi, cosa che Carlo Ponti, il produttore, non volle. Ponti fece modificare e tagliare più di venti minuti di pellicola. Tutto si salva per l’altissima qualità della regia e dei piani sequenza: meglio sarebbe stato, forse più evocativo per un rapporto di coppia in crisi, un sano silenzio. Tra l’altro la storia termina con una scena raccapricciante, Camille, dopo aver lasciato il marito alla villa, in fuga con Jerry muore in un incidente automobilistico sulla via Appia. Tra ultime scene si vede la cabriolet del produttore schiantata sotto un Tir, la Bardot riversa sullo schienale con il collo spezzato, Paul che sente l’annuncio dell’incidente alla radio.
I dialoghi di Le Mépris comunque anticipano i film sessantottini di Godard Due o tre cose che so di lei (1967), La cinese (1967), Week End, una donna e un uomo da sabato a domenica (1967), La gaia scienza (1968). La noia determinata dell’ideologia politica, film lontanissimi da quel delizioso capolavoro che è A bout de suffle (1961), una vera rivoluzione culturale. Peccato che da La Cinese in poi il genio Godard è caduto nell’isolazionismo sperimentalista (autolesionista).
L’edificio di Capri lo si può vedere anche ne La pelle (1981) di Liliana Cavani.
Photo by Julien Chatelain on Flickr