Tredici anni or sono mio fratello Walter ed io partimmo da Monaco di Baviera in bicicletta con mogli, figli, nipoti, piccoli e grandi, nonni belgi (“il mucchio selvaggio”), con lo scopo di raggiungere Vienna viaggiando lungo le rive dell’Isar prima e del Danubio dopo. Fu un’esperienza bellissima. Perché Vienna è una città molto ospitale, gentile, piena di gente elegante, educata e con una buona cucina. Vi entrammo pedalando lungo il canale artificiale sulla riva sinistra, superando il Löwenbrücke, Il ponte dei leoni di Otto Wagner, sfilando sul lato dell’Inceneritore e centrale del teleriscaldamento di Spittellau di Friedensreich Unterwasser posto in un quartiere cittadino a meno di un chilometro dal centro. Una volta giunti nel centro storico, costeggiando l’antica metropolitana, salimmo e stabilimmo il quartiere generale nel dehors di un bar di Michalerplatz ove al centro c’è la fossa con i resti archeologici del Castrum romano dell’antica Videbona. Il Bar Restaurant Kanzleramt si trova tra l’Hofburg con all’ingresso le quattro Fatiche di Ercole di Lorenzo Mattielli e la Haus ohne Augenbrauen di Loos, di fronte alla Michalerkirche. Lì capimmo subito che nei musei i bambini non volevano andare ovvero girare in bici; pertanto, piazze, giardini, parco giochi, piste ciclabili, tante architetture e monumenti, ma sostando pochi secondi e via; però con vere fermate per consumare colossali schnitzel mit bratkartoffeln.
Altro luogo, punto di arrivo e partenza delle nostre scorribande, erano le ex Scuderie imperiali, all’MQ Museums Quartier, un insieme di musei civici, un contesto di edifici barocchi e di altre epoche (le cui origini risalgono al XII sec.) anche contemporanee, come il MoMok di Ortner & Ortner (un bellissimo cubo di basalto grigio), però posti in pianta in modo casuale (non classico) e uniti tra loro da una un grande piazza interna, con una vasca a sfioro, ed intorno chaise-longue su cui sedersi o sdraiarsi a prendere il sole, disegnate da Hans Hollein. Bar e ristoranti realizzati da noti architetti viennesi. Vienna è una città bellissima, assomiglia molto a Torino, si capisce che le due città sono state governate per secoli dalla stessa famiglia austro-borgognona. Non so se vi siete accorti che nella nuova via Roma (1931-33) Marcello Piacentini ha fatto scelte estetiche-urbanistiche riconducibili alle teorie di Adolf Loos, enunciate in Parole nel vuoto (1900) e nella rivista Das Andere (1908), su come costruire edifici nuovi nei centri storici senza “stuprarli”.
La lunga digressione sentimentale per introdurre il film Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani, girato a Vienna, in particolare in due location, costruite tra la fine ‘800 e la prima metà del ‘900, progettate da due eccezionali architetti, Otto Wagner e Karl Ehn. Il film infatti si svolge nel 1957 in una Vienna postbellica, dall’atmosfera triste, lugubre, disperante, dove ex nazisti tramano su come far sparire tutte le prove che li colleghino ai crimini da loro commessi, in previsione di un ipotetico processo a Maximilian. Attori protagonisti Charlotte Rampling e Dirk Bogarde ma anche Gabriele Ferzetti, Philippe Leroy e Isa Miranda.
La Otto-Wagner-Haus (1898), all’interno del complesso di edifici residenziali dell’architetto secessionista Otto Wagner, nel film è l’ingresso dell’Hotel Zur Oper ove svolge il compito di portiere di notte l’ex ufficiale delle SS Maximilian Theo Aldorfer (Bogarde), nel quale prenderà alloggio Lucia Atherton (Rampling), signora dalla doppia natura morale, sopravvissuta al campo di concentramento dove aveva subito stupro e violenze da Theo e altre esperienze intrattenendo gli ufficiali tedeschi. Il Karl Marx-Hof progettato dell’urbanista Karl Ehn, il complesso residenziale ove abita Theo Aldorfer, è il set principale del film.
Le scene si svolgono proprio in uno dei 1.382 appartamenti del blocco lineare di edilizia abitativa pubblica lungo ben 1.100 metri, costruito fra il 1926 e il 1930 dalla municipalità socialista. Quindi il Karl Marx-Hof è la location ove i due interpreti riprendono la loro dolorosa relazione, due psicopatici sempre in bilico tra amore e thanatos, che cercano di lasciarsi inutilmente morire d’inedia, per disperazione, ricercati riconosciuti traditori dai nazisti, perché testimoni delle loro nefandezze. Poi assassinati sul vecchio ponte in ferro sul Danubio il Floridsdorfer (purtroppo oggi demolito). Il portiere di notte è un film sul libero arbitrio, sull’impossibilità degli individui di autodeterminarsi, decidere il proprio destino. Mi chiedo: Liliana Cavani, sceneggiatrice del film, fu influenzata dalle dottrine orientali? Forse sì. Infatti è l’autrice di un film precedente molto interessante sotto l’aspetto spirituale filosofico, Milarepa (1973).
Prima della chiusa voglio ricordare un altro edificio di Vienna che si vede nel film, di certo scelto non a caso, il Crematorio di Simmering, situato in Simmeringer Hauptstrasse 337. Un’architettura neo-neogotica. Della quale però non ricordo l’architetto.
Dopo una settimana di permanenza, cambiato dai ragazzi il nome del gruppo in “la compagnia dell’anello”, ci recammo alla Westbahnhof per rientrare con un treno per ciclisti a Monaco. Stanchissimi. I ragazzi parlavano del Ring quasi fosse casa loro. Sapevano tutto di Vienna. L’avevamo percorsa non so quante volte. Fu in treno che mio fratello Walter mi regalò un bustino in marmo di Francesco Giuseppe: ne ho fatto l’interprete principale, insieme a Sissi, del Tanzen La solitudine dell’imperatore (2014). Un’altra volta vi spiegherò cosa è un Tanzen.
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