Valutando con un amico architetto le opere costruite a Torino nel ‘900, abbiamo provato ad elencare le più belle ma anche quelle che non si sarebbero dovute costruire: in particolare l’insulsa, sproporzionata, devastante architettura di ferro e vetro di Massimiliano Fuksas a Porta Palazzo. In sé il palazzotto, obtorto collo, potrebbe essere accettato nella forma ma non nella la dimensione. È troppo invasivo rispetto agli altri oggetti architettonici della piazza storica, il progettista ha “ciccato” le misure; forse, data la levità del compenso, non è venuto a vedere lo spazio urbanistico in cui doveva inserire la sua opera? Peggio, quindi, dell’insignificante condominio post bellico costruito su uno degli angoli della piazza e del padiglione anonimo che il nuovo edificio ha sostituito.

Mentre l’amico mi definiva “inutile e trasbordante” la pensilina che Fuksas ha posto al primo piano, sotto la quale non può stare nessuno – né entrare né uscire – sorretta da due travi oblique di acciaio, per associazione d’immagini mi è venuto in mente il film Il prezzo di Hollywood (Swimming with Sharks, 1994) di George Huang, e l’articolata Schnabel House (1989) dell’architetto canadese Frank Gehry, ove gran parte del film si svolge.

Purtroppo Il prezzo di Hollywood non è un granché anche se la trama, drammatica, delirante, pure lineare, è piacevole nel suo demenziale cinismo. È la storia di un giovane ambizioso, Guy (Frank Waley), che ottiene un lavoro come assistente di Buddy Ackerman (Kevin Spacey), viscido e arrogante dirigente di una importante casa cinematografica di Hollywood e che viene vessato dallo stesso al punto che, preso dalla disperazione, lo sequestra e tortura. Tutto inframmezzato dalla relazione con Dawn (Michelle Forbes), una produttrice (anche amante di Buddy) che alla fine Guy uccide. Colpo di scena! Spacey, non denuncia Guy, entrambi si accordano di testimoniare alla polizia che a torturare Buddy fosse stata la donna e che il giovane l’aveva uccisa per salvare il suo capo. Un genere sado-masochista non raro nel cinema.

Un rapporto molto simile a quello dei politici torinesi che spesso amano intrattenere rapporti masochistici con certi architetti ritenuti “di fama”? Forse sì. Mentre preferiscono ignorare notevoli professionisti locali – designer o progettisti – che pur lo meriterebbero.

La Schnabel House di Frank Gehry si trova al 526 di Carmelina Ave a Los Angeles. È una realtà complessa, unica nel suo genere, che per essere apprezzata correttamente andrebbe vissuta giorno dopo giorno perché difficile da cogliere subito nella sua complessità (si veda la pianta), un’esperienza di volumi, forme, colori, materiali, movimenti e luce tra esterni e interni, su una superficie di 5.000 mq.

È composta di piccole costruzioni – un villaggio – separate ma collegate tra loro con diverse destinazioni d’uso, che gravitano su un cortile fatto d’erba e d’acqua (piscine con diverse funzioni), intorno alla casa principale con torre: un grande soggiorno, con cucina lineare e zona pranzo. Tutti elementi architettonici molto interessanti. Ad esempio, una delle cinque camere da letto è posta su un’isola dentro la piscina.

È il suo tetto che potrebbe alla lontana assomigliare alla pensilina di Fuksas. Quello di Gehry, è massiccio e ha una doppia funzione: oltre a essere la copertura della camera è anche lucernario. Belli i sottotetti delle molte stanze, le cui travi di taglio sono in compensato marino di tre-quattro centimetri di spessore, scandite ogni 40 cm. e aventi per ordito fogli dello stesso spessore delle travi. Vetrate e lucernari ovunque di qualsiasi forma e dimensione, il regno della luce.

La villa è l’abitazione di Buddy Ackerman. Gran parte del film si svolge proprio nella Schnabel House ed è lì che Guy sequestra, tortura e ammazza. Armato di revolver sorprende Ackerman di sera, mentre si riposa guardando la televisione in attesa di Dawn (ha una relazione con entrambi) a insaputa del ragazzo, lo lega ad una poltrona del soggiorno e comincia a seviziarlo. Gli esterni della villa si vedono quando Buddy torna a casa dal lavoro.

Anche la location dello stesso ufficio aziendale di Buddy all’interno della Schnabel, ove campeggiano differenti quadri dell’espressionista astratto Rothko, appartiene alla villa. Però guardando il film si capisce che al regista poco importa della casa, del luogo in cui si svolgono le scene, non ne fa come Hitchcock e De Palma il punto di forza, il meccanismo portante delle scene. Per Huang la scenografia è necessaria ma non complementare, avrebbe potuto girarlo in un’altra abitazione e nulla sarebbe cambiato. Perché Huang basa tutto suoi dialoghi, fa teatro.

Per tornare a Fuksas, guardando le sue opere realizzate in giro per il mondo, quasi un centinaio, gran parte di dimensioni notevoli, alcune pregevoli, non mi sembra che abbia travisato le cose come a Torino. Resto fiducioso nella prossima sua realizzazione, nella speranza che il palazzo della Regione Piemonte, irrispettosamente devastato dalla committenza, venga finito e finalmente utilizzato.

nella foto la Schnabel House di Frank Ghery