METROPOLIS
Coloro che amano il cinema e ne seguono le vicende, hanno sicuramente visto Metropolis (1927), film di fantascienza di Fritz Lang (1890-1976). Cosa fa di Metropolis un film speciale molto importante per noi che oltre al cinema ci interessiamo di architettura e alle relazioni tra le due discipline artistiche? Semplicemente la diegetica creazione, l’invenzione da zero di scenari urbani immaginari, distopici, una visione della città che molto si avvicina allo sviluppo di quelle attuali. La scenografia ideata da Erich Kettelhut e la sceneggiatura di Thea von Harbouc, moglie di Fritz Lang, fanno entrare lo spettatore violentemente in un mondo drammatico che anticipa quello attuale: il gigantismo della città contemporanea, il verticalismo necessario a fare vivere moltitudini di uomini, governato a parole dall’economia capitalista liberale democratica ovvero dalla finanza illiberale, oligarchica, globalista, cleptocratica. Fu lo skyline di New York e la vista notturna dalla nave della città stessa ad ispirare il Fritz Lang mentre stava arrivando negli Stati Uniti, per la prima del film i Nibelunghi (1924).
Da Wikipedia: “Lang ambienta il film in un futuro (nel 2026, esattamente a 100 anni di distanza da quello di produzione del film, presentato in prima assoluta il 10 gennaio 1927). Il film è tra le opere simbolo del cinema espressionista ed è universalmente riconosciuto come modello di gran parte del cinema di fantascienza contemporaneo, avendo ispirato pellicole quali Blade Runner e Guerre stellari. Ma anche i grandi scrittori del genere come Asimov, Bradbury, Dick e Arthur C. Clarke, autore de La sentinella da cui il regista Stanley Kubrick trasse 2001: odissea nello spazio (1968). Una visione, sul futuro dell’uomo, opposta a quella di Metropolis.
Nelle architetture, negli interni, nel design di Metropolis: “… possiamo ritrovare le principali istanze delle ricerche europee di quegli anni, dagli aneliti dinamici del Futurismo, alle trasparenze vitree dell’Espressionismo, dal riduzionismo funzionale del Bauhaus al decorativismo geometrico e storicistico dell’Art Déco …”.
Gli edifici di Metropolis – grattacieli, torri, ponti, viadotti, autostrade, piste di atterraggio, ciminiere – sono modelli in scala, pertanto costruzioni reali più piccole. Gli architetti antichi realizzavano sempre, prima di erigere le loro grandi opere, dei modelli in legno di riferimento per sé e le maestranze. Per sé perché il disegno pur particolareggiato dei prospetti e delle sezioni non era sufficiente ad esperire il valore estetico e la complessità strutturale dell’opera nel suo insieme; per le maestranze quale linea guida per non sbagliare e velocizzare i lavori. Il modello poteva essere modificato in corso d’opera sulla base delle esigenze che man mano intervenivano durante la costruzione. Quindi i prototipi in scala non solo servivano per presentare l’opera al committente, ma anche per capire i comportamenti statici e strutturali, l’estetica funzionale, stabilire soluzioni di particolari costruttivi.
Ad esempio, se andate – quando sarà possibile – al Museo Nazionale del Cinema di Torino potete vedere, a sinistra entrando, il modello fatto costruire da Alessandro Antonelli per la realizzazione della Mole. Oppure, al Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli, il Modello in legno del Castello di Rivoli (1718) di Filippo Juvarra, realizzato dall’ebanista Carlo Maria Ugliengo. Per curiosità … esistono ancora le bellissime maquette della Fontana dei Fiumi (1651) di Lorenzo Bernini di cui una, addirittura quella presentata dall’architetto scultore napoletano ai committenti, si può ammirare in una sala del palazzo prospiciente la fontana stessa. Oggi i prototipi in scala sono creati da programmi e costruiti da stampanti 3D, non più dalle mani degli artigiani. Questo ha portato a realizzare costruzioni impossibili da immaginare solo pochi lustri fa. Precorritrice di questo modo di progettare – in stile Decostruttivista – l’architetto matematico Zaha Hadid (1950-2016).
Sant’Elia (1988-1916) e Le Corbusier (1887-1965), coetanei di Fritz Lang, hanno teorizzato la fine della città orizzontale, da sostituire con città verticali o lineari verticali. Le Corbù, però, è tra i pochi che ha sperimentato le sue teorie sul territorio: all’interno di un contesto urbanistico sistematico molto esteso, nel suo caso progettato a tre destinazioni d’uso, come lui spiega in Manière de penser l’urbanisme (1963). Attraverso gli esempi reali realizzati a Marsiglia, a Nantes, a Briey e a Firminy, con il contributo dello Stato francese. La Cité radieuse o l’Unité d’habitation (1952) sono luoghi ove l’individuale e il collettivo si mescolano, complementari, senza condizionarsi reciprocamente. Sono macchine plurifunzionali abitative, integrate con servizi per il tempo libero, la scuola, l’asilo, la mensa, immerse in un giardino/bosco diffuso che, senza soluzione di continuità, separando i livelli di mobilità – pedonale, ciclabile, automobilistica – unisce la zona residenziale a quella politica amministrativa, economica produttiva industriale e commerciale.
Una visione futurista, espressa negli esempi del capitolo decimo L’urbanisme est une clef del saggio già citato. Una cultura ambientalista, sostenibile, però basata sulla mobilità, sulle grandi infrastrutture, molto omologante a prima vista, che permette la conservazione delle città antiche e l’integrità del territorio; lontano da quanto accaduto non solo in Italia, in tutta Europa dal dopoguerra a oggi, con la costruzione diffusa tentacolare che consuma milioni di ettari e ove tutto è mescolato nell’annullamento dell’identità ambientale, culturale, sociale. Un amalgama di costruito lineare, un’incrostazione devastante il paesaggio. Come è avvenuto nell’hinterland delle grandi città italiane.
A Torino la Spina Centrale avrebbe potuto essere un’occasione per formalizzare un piano verso la città del futuro ma, a prima vista, sembra sia stata creata soltanto una enorme strada, una specie di “Diagonal” lungo la quale la pianificazione edilizia è stata lasciata al caso, una grande confusione tra il recupero di vecchie realtà industriali, preesistenze di scarso valore architettonico e il nuovo costruito a basso costo. Addirittura non si è neppure ipotizzata una zona da destinare a città verticale, dove concentrare tutte le attività gestionali politiche amministrative imprenditoriali cittadine: a dimostrazione il grattacielo Torre del San Paolo di Renzo Piano e il grattacielo della Regione Piemonte di Massimiliano Fuksas, eretti in punti a caso della città.
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