Le fotografie ed i video che troviamo sui media, dei nostri centri storici, in questo strano periodo, ci confermano che le nostre piazze, le gallerie, i portici, così come i luoghi come chiese, musei, scuole, non sono scomparsi.
Non sono stati sottratti da misteriose invasioni aliene, ma sono sempre lì, eccezionalmente lindi e particolarmente pronti ad accoglierci ; appaiono come fossero stati costruiti recentemente, così ordinati , così neutri, quasi come fossero fondali cinematografici di un film che non è stato ancora concepito e sceneggiato.
Le riprese effettuate dai droni sono le più angoscianti, sembrano visioni esterne che freddamente rappresentano la nostra vita e le nostre relazioni sociali.
Il racconto fotografico di Armando Rotoletti, concepito alcuni anni fa, sulla rappresentazione di 82 piazze siciliane svuotate dalla presenza dell’uomo e delle macchine, aveva come finalità sia il recupero della devastante bellezza intrinseca sia una meditazione su un possibile ripensamento di un nuovo senso d’ uso.
Ebbene è proprio l’uso , la pratica, il vero soggetto di possibili riflessioni su come prenderanno valore tali spazi quando la segregazione domiciliare sarà finita.
L’uso dello spazio pubblico, sarà molto meno superficiale e incosciente di prima, come se una dimensione data sia stata messa in discussione per divenire una dimensione da riconquistare; come un amante lontana che ritorna dopo una lunga assenza che al primo incontro mette i soggetti in forte ansia:” mi amerà ancora, il mio desiderio sarà così pervasivo come lo percepisco adesso ?”.
Lo spazio pubblico inteso come luogo di messa in scena del pubblico, sicuramente, a valle delle trasformazioni che questo incidente sanitario sta producendo sul corpo sociale, prenderà connotazioni probabilmente molto diverse da come le ricordiamo e come le ri-conosceremo.
Lo spazio pubblico non è solo costituito dalle piazze e dalle vie auliche dei nostri centri storici, ma anche da quelli che non possiedono quella bellezza intrinseca derivata dalla loro attenta concezione progettuale e dalla stratificazione storica di elementi qualificanti avvenuti nel tempo; ci sono anche gli spazi aperti della città contemporanea, esterni alla parte aulica delle città, che per primi ci indurranno ad un vero ripensamento del senso d’uso.
In un momento in cui il mantra è sintetizzato nella parola “ripartenza” quasi come fosse possibile riattivare un interruttore sganciatosi per un picco di tensione, l’uso dello spazio pubblico non può esere riattivato come se il fermo immagine congelato nelle nostre memorie potesse ricominciare a fluire come in un film.
Lo spazio pubblico è definitivamente morto, viva lo spazio del pubblico.