Gli archeologi ricostruiscono le civiltà scomparse osservando i resti materiali degli insediamenti e dei manufatti, perché esiste una relazione inscindibile tra la società e il suo involucro fisico. L’organizzazione dello spazio, dove stabiliamo le regole di convivenza, svolgiamo i riti sociali, trascorriamo la nostra vita privata, rappresenta il livello della nostra civiltà e la nostra capacità di progettare il futuro. Mi avrete già sentito fare queste considerazioni, tuttavia ritengo sia utile tenerle a mente e, ogni tanto, ripeterle.
Vi è uno stretto intreccio tra il dispiegarsi della materialità degli spazi e degli oggetti piccoli e grandi che li compongono e i comportamenti di chi li abita, li percorre, li usa. Così come vi è una correlazione inscindibile tra le scelte che vengono compiute ai diversi livelli e alle diverse scale e la definizione materiale dei luoghi.
In questo momento l’architettura è uscita dal lessico comune, non partecipa più nella definizione del futuro, non siede più ai tavoli dove si elaborano strategie di innovazione. L’architettura è relegata a orpello, per fornire il “vestito della domenica” a realizzazioni più o meno mediocri o a mero esercizio della tecnica. Questo è avvenuto per tante ragioni, che sarebbe qui troppo lungo esaminare.
Tuttavia la ragione principale è il silenzio, la rinuncia al dialogo, all’intrecciare i proprio destini con gli altri, a “sporcarsi del mani” con le questioni che sembrano in apparenza estranee all’architettura.
Eppure il trincerarsi nell’illusoria neutralità della tecnica, o nell’impalpabile recinto della disciplina, è anch’essa una scelta, così come lo è il silenzio di fronte a scelte sovraordinate che percorrono i sentieri della segregazione e della chiusura.
La strada che IN/Arch ha scelto di perseguire, anzi, lo scopo per il quel è stato fondato l’Istituto, è proprio quello di contribuire a rafforzare ed amplificare il dibattito sull’architettura e sul compito che le è proprio di contribuire a rappresentare – con le proprie forme materiali – i valori civili della società che la abita, e – come recita il nostro Statuto – “a sollecitare un’azione continua e diretta nell’interesse della collettività”.
Per queste ragioni, nella convinzione che la partecipazione ad un dialogo allargato sia condizione necessaria per il rilancio culturale ed economico del settore legato alla produzione edilizia che guardi al futuro, stiamo operando per intrecciare il nostro lavoro con il mondo culturale, associativo ed imprenditoriale dei nostri territori.
Ed è per queste stesse ragioni, dopo un’animata e proficua discussione al nostro interno, che abbiamo deciso di offrire un contributo alla discussione sul tema dell’accoglienza – peraltro centrale nel nostro Congresso dello scorso aprile – con l’appello alla gestione responsabile dei fenomeni migratori pubblicato sul Giornale dell’Architettura, e come IN/Arch Piemonte abbiamo scelto di aderire all’iniziativa di Libera dello scorso 7 luglio.
Abbiamo scelto la parola, invece del silenzio, abbiamo scelto di schierarci per una società dell’accoglienza e dell’inclusione, che affronti i problemi e proponga delle soluzioni, perché anche tacere è una scelta politica.
Nella foto il CIE in corso Brunelleschi a Torino.