Ogni lato, ogni pietra del venerabile monumento è una pagina non soltanto della storia, ma anche della storia della scienza e dell’arte.” Così Victor Hugo nel libro III del celebre Notre-Dame de Paris descriveva la complessità della cattedrale parigina, frutto delle stratificazioni composite della storia e dell’architettura. Oggi tutto questo è perso, devastato dall’incendio che lunedì sera ha avvolto uno dei più preziosi monumenti dell’occidente.

Notre-Dame era di una bellezza struggente, come le storie che nel nostro immaginario si sono susseguite grazie al genio di Victor Hugo e agli innumerevoli adattamenti della storia del gobbo, che segue l’amata sino alla morte.

Oggi si piange la perdita di uno dei monumenti più importanti e visitati al mondo, dichiarato patrimonio dell’umanità nel 1991, tuttavia quel che è successo impone delle riflessioni.

Nella cattedrale erano in corso dei lavori di restauro, come nel Duomo di Torino quando scoppiò l’incendio che si portò via la cupola del Guarini. Con qualche probabilità – anche se è troppo presto per dare dei giudizi e occorre attendere che le indagini sull’accaduto facciano il proprio corso – l’incendio ha tratto origine proprio da una qualche leggerezza nella conduzione delle opere.

Quanti conoscono la complessità del lavoro di restauro dei monumenti, per averne seguito i cantieri o averne realizzato gli interventi, non possono che riconoscere quanto sia difficile, soprattutto in assenza di budget adeguati, operare evitando di correre rischi e di mettere a repentaglio lo stesso bene in cui si sta lavorando. Per lavorare meglio in un cantiere di restauro non servono, però, nuove leggi, – che, peraltro, esistono e spesso vengono disattese o aggirate, o applicate superficialmente – occorrono, a mio parere, finanziamenti adeguati, formazione delle maestranze e controllo costante.

Ma in questi anni stiamo assistendo, invece, alla burocratizzazione delle professioni, a fronte di compensi sempre più risicati, ad appalti che inducono a riduzioni drastiche degli importi a scapito della qualità dei materiali impiegati e della sopravvivenza di imprese con un numero adeguato di addetti, che possano essere costantemente formati, ad amministrazioni che non investono a sufficienza nella conservazione del patrimonio architettonico, sottovalutandone l’importanza che questo rappresenta anche per l’economia dei territori.

Ma tutto questo non interessa ai più, che oggi piangono la Notre-Dame perduta e domani proseguiranno il loro cammino Incuranti di quanto la trasformazione e la cura dei territori, dei beni, degli spazi della città possa incidere sulla vita di ciascuno.

Per la newsletter di oggi stavo scrivendo un pezzo sul Piano regolatore di Torino, e sul silenzio che lo avvolge, nonostante l’avvio della discussione in commissione urbanistica. Poi l’evolversi degli eventi mi ha fatto cambiare rotta. Ma a ben pensarci forse le riflessioni che accompagnano i due temi non sono così lontane. Il piano regolatore di una città, per quanto sia uno strumento in parte superato e per alcuni versi difficile da adattare alla velocità delle trasformazioni nel tempo, insieme ad una seria programmazione sulla tutela del patrimonio storico-architettonico, rappresenta però uno degli strumenti che possono modificare la qualità e lo sviluppo anche in senso economico di una città, il luogo dove si intrecciano i vari aspetti delle nostre vite. Questo silenzio dimostra quanto poco ne siamo consapevoli.

Foto di Notre Dame a Paigi da Flickr (autore Edwademd)