Per questo numero avevo preparato una riflessione sull’architettura contemporanea dopo una passeggiata a Milano. Poi però la gravità degli avvenimenti mi ha fatto pensare che fosse più urgente esprimere l’indignazione verso le ignobili scritte apparse a Torino e Mondovì sulle case di ebrei e partigiani. Non so se questo tema sia così estraneo all’architettura, in fondo la segregazione e l’emarginazione trovano la propria espressione innanzitutto nella modificazione fisica dei luoghi. Nei muri, nei ghetti, nelle periferie, nelle porte imbrattate da mano vigliacca.

Non dobbiamo lasciare che quel pezzettino di razzismo che si annida in noi, che ci fa trattare con fastidio il postulante al semaforo, che ci fa guardare con sospetto un mussulmano, che ci fa aderire, seppure per i pochi attimi di battuta scherzosa, ai luoghi comuni con i quali si etichettano spesso gli ebrei, posi uno sguardo indifferente su quelle scritte.  Perché è dentro l’indifferenza e la neutralità che prolificano i tentativi di minare il “consesso civile”, di aprire dei varchi nei codici di convivenza condivisi, per saggiarne la tenuta, e passare a nuove e più temibili prevaricazioni.

Senza  indugiare nella retorica, sono convinta che ogni persona intellettualmente onesta, ogni comunità responsabile, ogni istituzione degna di essere considerata tale, siano oggi chiamati a esprimere una scelta e a partecipare a un confronto tra tutti coloro che concordano sulla necessità di tracciare un limite e dichiarare pubblicamente che questa umiliante deriva populista e oscurantista deve essere solidamente circoscritta e segregata.

foto di Emmanuel Appiah su Unsplash