Che sarà di noi?
Siamo qui chiusi nelle nostre case, a guardare il mondo dalla finestra e dallo schermo – di TV e computer, e a cercare di capire cosa ci aspetta e cosa abbiamo imparato da questa tragica esperienza.
Il Covid obbliga ciascuno di noi a fare i conti con la finitezza. Il contrario dell’illimitatezza e della globalità, e nello stesso tempo concretizzazione del limiti della nostra vita, della vulnerabilità nostra e del mondo così come noi lo conosciamo.
Nel frattempo ci raccontiamo come saremo tutti diversi, tutti migliori. Ma succederà davvero?
Sembra si affacci una domanda, sino a poco fa inesistente, di competenza. Saremo in grado di non ricadere nella braccia degli improvvisatori, dei pifferai magici, che ci ammaliano con i loro proclami ai quali non seguono mai dei fatti?
La fragilità di questi giorni è percorsa anche dall’urgenza e dalla necessità di nuovi principi di giustizia sociale e benessere materiale, e di fatti concreti che possano almeno in parte risarcire chi sta scivolando nell’agonia della povertà. Ma saremo in grado guardare gli invisibili che popolano le nostre città, e che, forse, non hanno una casa in cui rifugiarsi, un lavoro a cui tornare?
Ci siamo cosparsi il capo di cenere per non aver investito negli ultimi decenni su scuola, formazione e ricerca. Saremo in grado di non accontentarci di un pò di tablet per gli studenti?
Siamo coscienti che la nostra Terra si sta ribellando, lancia un urlo cattivo di dolore, che dovrebbe costringerci a cambiare strategie, modello di consumi, ecc. Ma davvero da ora in poi ci dedicheremo a fare tutto ciò che è possibile per mantenere e riparare il nostro “mondo” in modo da poterci vivere nel miglior modo possibile?
Retorica, forse. Ma i segnali che arrivano sono stridenti.
La pioggia di denaro che ci promettono sembrerebbe essere indistinta. Potrebbe, invece, premiare le imprese che fanno ricerca verso sistemi di produzione sostenibili, prestare esplicita attenzione alla zona grigia di collaborazione di alcune imprese – e alcuni professionisti – con le organizzazioni criminali, escludere chi non ha pagato le tasse, e una volta di più potrebbe sottrarre le risorse alle imprese che davvero ne hanno bisogno.
Nella Commissione del Governo, creata per placare l’esigenza espressa a gran voce dal mondo imprenditoriale per ”riaprire subito”, sono del tutto assenti architetti e ingegneri. Ovvero coloro che hanno le competenze per occuparsi di modificazione del territorio e di procedure di sicurezza, e che, forse, meglio di altri, conoscono alcune filiere produttive strategiche. Questo significa che alla riapertura saremo privi istruzioni chiare e condivise su come affrontare il nostro lavoro – la gestione dello studio, dei cantieri, soprattutto quelli piccoli, ecc . Ma rivela soprattutto che verrà ignorata la voce di coloro che hanno la competenza per progettare lo spazio, in maniera temporanea o permanente, e lavorare concretamente per mettere in campo soluzioni che potrebbero limitare il contagio.
La complessità delle procedure che governano le trasformazioni territoriali nell’emergenza mostrano la loro inefficacia, tanto che da sempre si sono cercate scappatoie più o meno sensate – G8, terremoto, ecc. Ora occorre davvero procedere verso una semplificazione, che garantisca nello stesso tempo il rispetto delle regole e del territorio inteso come bene pubblico.
In nostro mondo è in bilico, così come i nostri mestieri, così come li abbiamo conosciuti, sapremo ridefinirli e dare un contributo concreto o ci limiteremo a sopravvivere, se sarà possibile?