Ci hanno salvato i vecchi urbanisti (?)

Qualche giorno fa leggendo il giornale mi sono imbattuta in un titolo che mi ha colpito “Ci hanno salvato i vecchi urbanisti”. Era una lettera di una lettrice di Bologna. Ne riporto qui le parti più significative: “Lo devo dire. A proteggere me e i miei figli dalla solitudine dispotica di questo periodo non sono state le video-chat. Nè le stanze virtuali, né gli arcobaleni rimbalzati sui pc, tantomeno le video lezioni. A proteggerci è stato il cortile. … Non sono un esperta di urbanistica …. Però basta poco, una passeggiata ne mio quartiere,  per capire che negli anno 60-80 a Bologna nell’elaborare i piani urbanistici si pensò tanto ai servizi comprendendo in questo anche il verde pubblico, attrezzature sportive e perché no? Anche spazi comuni da condividere con le persone che dividevano l’uscio di casa. Cortili. Giardini condominiali. Spazi in cui fare due chiacchiere, leggere un giornale, per litigare di politica, tirare due calci a un pallone o risolvere le parole crociate. Allora lo devo dire. A proteggere i miei figli è stato il pensiero sociale di tanti anni fa, l’attenzione al benessere collettivo, ….”

Sarebbe troppo lungo ripercorrere in queste poche righe la storia dell’urbanistica e del dopoguerra in avanti, le numerose sconfitte, le tante sperimentazioni che hanno disegnato il nostro territorio e intriso le nostre vite, e che da tempo, nel dibattito sull’urbanistica e sulle periferie, si è tentati di gettare via senza comprenderne la genesi storica e il pensiero ad esse sotteso. Così come non possiamo dimenticare come le antiche epidemie abbiano generato delle profonde trasformazioni del territorio urbano, sfrondando gli agglomerati densi dei centri storici dopo il Colera del 1884 a Napoli, ridefinendo i confini della sanità pubblica dopo la Spagnola di inizio secolo.

È, tuttavia, rilevante che, per una volta, parli di architettura una persona che abita la città, che ci segnali come la casa, il nostro rifugio durante la pandemia, e il nostro mondo di relazioni “virtuali”, le reti immateriali di connessione con il resto del mondo, non siano sufficienti per una vita di qualità. Sono necessari spazi pubblici e privati di relazione, cortili verdi, terreni permeabili, aree polmone che rigenerino le aree urbane.

Oggi di fatto abbiamo raggiunto, e spesso superato, il limite di guardia nei processi di insediamento rendendo inderogabile  e urgente la salvaguardia delle risorse non riproducibili e la ricerca di un equilibrio diverso del territorio antropizzato. Poiché la nostra scommessa per la sopravvivenza, oltre che sulla necessità etica e materiale della pace, sta nell’uso equilibrato delle risorse dell’ecosfera.