UN RICORDO DI LEONARDO MOSSO.
Ho incontrato Leonardo Mosso, scomparso in questi giorni a 94 anni, solo un paio di volte tanti anni fa. La prima volta è stato credo nel 1987 a Villa Faraldi. Un piccolo borgo dell’entroterra ligure affacciato sul mare dove abbiamo una casa e dove all’epoca si teneva nel mese di luglio un importante festival culturale. Il festival, nato dalla sensibilità dall’artista norvegese Fritz Roed e da un gruppo di artisti norvegesi, tedeschi, svedesi, italiani, si è dipanato per molti anni offrendo numerosi eventi di grande qualità su musica, teatro, arti pittoriche e figurative, e offrendo la ribalta a talenti ancora sconosciuti, poi diventati famosi; per poi spegnersi negli ultimi decenni man mano che il contributo pubblico ha rivolto le sue esigue risorse verso sagre di paese e saltimbanchi. Ma non voglio divagare. Al festival di Villa Faraldi Mosso aveva proposto delle lievi installazioni che costruivano un percorso tra i carruggi, obbligando i passanti a cogliere le suggestioni di pezzi di storia e di architettura che altrimenti invisibili agli sguardi distratti.
La seconda volta fu a metà degli anni ’90, quando mi occupavo di Collegno, Leonardo Mosso insieme a Jeannot Cerutti mi proposero di costruire una grade Nuvola rossa luminosa alle porte della città, sul modello di quella realizzata nella prima aula del Parlamento italiano a Palazzo Carignano. Mosso, infatti aveva realizzato nel1974 una nuvola di “bastoncini” rossi e aveva proposto un dialogo tra la volta affrescata della sala delle Arti e delle Scienze di Gonin con le sale dedicate alla Resistenza quasi a ricercare un legame culturale tra Risorgimento e il percorso antifascista e di liberazione nazionale.
La Nuvola rossa su Collegno sarebbe stata una sorta di “luce di artista” ante litteram e avrebbe attirato l’attenzione su un luogo noto allora soprattutto per la triste storia dello smemorato ospite del Ospedale psichiatrico, spostando l’accento sulla salda tradizione antifascista che connotava la città. Ma il progetto su Collegno non fu mai realizzato perché era sponsorizzato da un noto produttore di hamburger, che voleva insediarsi in città, e che aveva attirato le antipatie di molti.
Insomma da questi piccoli episodi si riesce, secondo me, a immaginare quale fosse la natura del lavoro di Leonardo Mosso, in bilico tra architettura e arte, tra curiosità e ricerca, tra capacità di sperimentazione e disinvolta concezione del fare.
L’archivio di Leonardo Mosso è stato di recente acquisito dal Centre Pompidou di Parigi, a dimostrazione del rilievo storico del suo pensiero.
Potrei elencare qui i numerosi progetti di cui Mosso, insieme a Laura Castagno, fu autore o promotore, – dalla collaborazione cona Alvar Aalto che portò alla fondazione dell’omonimo istituto, confluito poi nel Maaad, Museo dell’Architettura Arti Applicate e Design, all’associazione che divenne poi il Museo Nazionale del Cinema, tuttavia credo sia meglio lasciarvi alle parole di Gianfranco Cavaglià e al suo articolo del 2018 su Arti e Rassegna tecnica e all’intervista allo stesso Mosso sul Giornale dell’Architettura.
A questo punto non mi resta che fare a tutti voi un augurio per il nuovo anno, nella speranza che davvero porti quei cambiamenti nei nostri comportamenti e nei nostri orizzonti necessari per ritrovare un corretto equilibrio con ciò che ci circonda, tanto auspicato nella prima fase del lockdown primaverile, quanto disatteso nei mesi successivi.
Per ora però, se davvero vogliamo tornare a una vita normale, occorre restare a casa, riducendo i contatti esterni allo stretto indispensabile.
Buon 2021 a tutti!