Parlare oggi della linea TAV Torino Lione è intervenire in un terreno su cui, da vent’anni circa, si sono scontrate, non solo a parole, diverse visioni della società e del futuro. È un terreno difficile non soltanto per questa sua caratteristica politica sedimentatasi negli anni, ma anche per la sua effettiva complessità tecnica non solo riguardo al tema dei trasporti, ma anche ambientale nel suo complesso. Su di essa si sono scritti decine di libri, pubblicazioni, studi, forse migliaia di articoli su giornali e riviste, spesso anche di cronaca in ordine a scontri e processi.
In questi anni i principali media hanno trattato l’opposizione alla linea TAV senza mai evidenziarne le ragioni, relegando con sufficienza tale opposizione ad un carattere “nimby” (not in mybackyard) da un lato, e di mero ordine pubblico dall’altro, magnificando invece in modo acritico e propagandistico la necessità dell’opera.
In realtà, il “popolo no tav” (perché popolo può definirsi, socialmente e culturalmente trasversale e composito) ha, nel corso di lunghi anni, affinato le sue conoscenze diffuse. Contrariamente a quanto i giornali più importanti diano ad intendere, è preparatissimo in materia. Ed è riuscito a fuggire da una logica meramente localistica collegandosi con realtà esterne che hanno compreso e condiviso la sua battaglia, ponendo la questione anche su piani più generali riguardanti i modelli di sviluppo auspicabili, che forse è il tema più importante che questa vicenda ha fatto emergere.
Limitandoci qui all’aspetto tecnico, le argomentazioni dei NO TAV sono confluite nel corso degli anni in un agile compendio, che viene periodicamente aggiornato con le ultime novità, le “150 Ragioni contro la Torino Lione“, reperibile in rete a questo link. Documento di parte, ma che consiglio di leggere a chi non l’ha ancora fatto, se non altro per capire a che livello di accuratezza dei temi si pone la questione da parte degli oppositori all’opera, e dunque il livello minimo su cui impostare la discussione.
Quindi è del tutto falso liquidare tutto ciò riducendo l’opposizione al TAV ad una questione di ignoranza e ordine pubblico, atteggiamento iniziale sbagliato delle Istituzioni, pagato molto caro e di cui ancor oggi si scontano le conseguenze.
Anche se a questo punto sarà molto difficile, sarebbe bello che, per la prima volta in tutti questi anni, la questione venisse esaminata davvero in senso ampio e spregiudicato, sia a livello istituzionale, ad esempio confrontandosi, anche a livello europeo, sulle politiche territoriali più opportune che la Comunità Europea debba perseguire, di cui la mobilità è solo uno degli aspetti, che può seguire logiche di sviluppo differenti, nella alternativa se privilegiare pochi canali con conseguente polarizzazione su pochi centri, o se arricchire la capillarità delle reti favorendo multipolarità urbane. Sia a livello tecnico, esaminando, ad esempio, se realmente sia necessario e opportuno che i trasporti debbano essere effettuati con modalità che rendono tecnicamente obsoleti gran parte dei tratti ferroviari esistenti, fra cui quello attuale del Frejus, in un contesto di risorse generali scarse, contese anche da altre esigenze impellenti (ad esempio, la manutenzione delle infrastrutture esistenti, messa in sicurezza sismica e geologica di strutture e territorio, per limitarci solo a quelle di tipo infrastrutturale e di servizi primari).
Siamo infatti in una situazione ben diversa da quella dei secoli scorsi, in cui l’infrastrutturazione era tutta da realizzare. Oggi si pone invece la questione della sua manutenzione e miglioramento, nel quadro di una società che cambia e che ha esigenze anche differenti dal semplice efficientamento ottimale del fattore trasporto, specie se esso deve drenare notevoli risorse pubbliche a sfavore di altre fondamentali talvolta trascurate o dove il pubblico ha la tendenza a ridurre gli investimenti (si pensi alla istruzione o alla sanità). Gli ordini di grandezza sono impressionanti: si pensi ad esempio quanti “Parchi della Salute” si potrebbero realizzare al costo del TAV Torino Lione, laddove si fa invece fatica a reperire risorse pubbliche per realizzare solo in parte quello di Torino, ricorrendo ad investimenti privati data la scarsità di denaro pubblico. Si direbbe che la tendenza attuale sia di risparmiare col cucchiaino se si tratta di sanità o pubblica istruzione, e di buttare via con la pala per realizzare ad esempio questa linea TAV che, pur migliorando ovviamente l’efficienza dei trasporti, appare nient’affatto essenziale in termini di miglioramento effettivo che realizza, pure in buona parte ottenibile con il miglioramento della linea esistente. È chiaro che la questione non è soltanto tecnica, ma anche politica: come e a favore di cosa e chi utilizzare le risorse pubbliche.
Sotto questo profilo, la proposta dell’IN/Arch di costituire un centro di documentazione sul TAV è senz’altro auspicabile, specialmente se appunto possa essere l’occasione di una riflessione non solo accurata e specifica sugli aspetti particolari, ma anche aperta all’attenzione riguardo alle strategie territoriali più generali su un piano nazionale ed europeo, in ampio contesto pluridisciplinare, e il più possibile scevro da inquinamenti di ragionamento dettati da logiche partitiche. Che questa sia l’occasione di andare oltre il TAV.
Nella foto la Stazione Atocha-jardin di Madrid