senza parole.

Un fiume esce dagli argini, un versante frana, un terremoto,  una marea che sommerge, una mareggiata cancella un tratto di costa … tutti fenomeni naturali, ciò che non è naturale sono i morti, i feriti, i numerosi danni alle cose e la conseguente emergenza per la ricostruzione.

Ma come e dove ricostruire? Se non si fanno i conti con un territorio già fragile per le proprie caratteristiche e reso più fragile ancora dall’azione dell’uomo, per troppo tempo indifferente alle ragioni della natura, ma molto sensibile a quelle dell’arricchimento personale tanto spasmodico da essere estraneo alle più elementari regole dell’etica della convivenza civile nei confronti della comunità.

Siamo arrivati al capolinea, ce lo dicono i fatti, la ricorrenza nel numero, nella ciclicità e nella diffusione delle “catastrofi”.

Siamo ad un capolinea perché, insieme con l’indifferenza alle regole anche semplicemente del buon senso, abbiamo sviluppato come sistema Paese anche un’indifferenza verso le competenze, verso la programmazione, verso la capacità di progettare, verso un approccio che sappia avere visione di sistema nel realizzare e nel gestire. Si pensa al proprio tassello di “competenza” e nessuno più pensa al mosaico nel suo complesso.  Il processo di cambiamento climatico rende tutto questo più evidente.

A ben vedere, dunque, esiste nel nostro Paese una sola grande emergenza, riprendere in mano la capacità di progettare, che non riguarda gli interessi di bottega di questa o di quella categoria professionale, ma l’interesse collettivo.

È altrettanto vero tuttavia, che il primo progetto cui chiedere la messa in campo, è quello della politica che deve affrancarsi dal “qui, ora e subito” per tornare a disegnare il percorso che porti ad un progetto per il futuro. La politica è un mestiere sociale e si conduce con la passione, deve offrire risposte, sopire le paure, generare coesione e cooperazione, sostenere gli interessi collettivi e fra gli interessi collettivi c’è quello di promuovere e sostenere una classe dirigente non politica che, costruita sull’investimento nell’istruzione e all’Università, lo restituisca in competenza e innovazione per la collettività.

Investimento per la salute, la giustizia, la qualità e la sicurezza del territorio, sono i punti cardine per generare le condizioni di uno sviluppo sano ed equamente distribuito.

Non entro nel merito di questioni sulle quali potrei solo commentare da osservatore attento ma non addetto ai lavori, lo faccio, invece, sui temi territoriali che mi sono propri e posso “osservare” oltre che in quella luce generale anche da professionista del settore.

Le professioni del settore, ognuna per le proprie peculiarità e competenze, hanno perduto la gran parte della loro tensione ideale per il loro ruolo sociale, a mio giudizio per un insieme di fattori. Progressivamente hanno assunto un prevalente ruolo meramente tecnico, o peggio, tecnocratico/ amministrativo, attraverso un processo di progressiva ed estenuante specializzazione.

Di ciò fanno le spese in particolare i professionisti “allenati” all’approccio di insieme del progetto e del contesto in cui è inserito, ne patiscono maggiormente gli architetti che hanno (o avevano) nel loro DNA la capacità di governo complessivo di un progetto, funzione dalla quale prevalentemente sono stati estromessi.

Ma confusione e conflitti di competenze ci sono in tutte le professioni tecniche che patiscono il depauperamento del valore della fase di progettazione e della confusione fra i ruoli professionali del settore. Tutto ciò genera confusione anche nella conoscenza e nell’immaginario collettivo, che pur “nell’incrinatura” generata da movimenti fuorviati (…terrapiattisti, novax e simili) continua a avere in sé chiara le differenza infermiere/farmacista/medico di famiglia/ medico specialista ospedaliero …, invece, poco comprende delle differenze geometra/perito edile/ ingegnere/ architetto/ geologo/agronomo-forestale … che rimangono un insieme quasi indifferenziato utile non perché portatori di conoscenza e competenza ma solamente perché “…la legge prevede la loro firma...” altrimenti del progetto farebbero benissimo a meno. Ed i risultati infatti sono drammaticamente sotto gli occhi di tutti.

Continueremo perciò ad assistere da protagonisti anche se non colpiti direttamente, al ripetersi di emergenze alle quali si darà risposta con strumenti straordinari dal costi iperbolici, almeno sino a quando non si tornerà alla ragionevolezza della costruzione di un progetto vero e complessivo per il territorio eseguito da chi ne detiene la competenza ed al quale sono offerti tempo e risorse adeguate alla buona condotta dello stesso. Queste ultime sempre immensamente inferiori alla gestione di un’emergenza per non dire della vita umana.

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