Nessuno si salva da solo.

L’isolamento forzato che in questi giorni ci costringe in casa è paradossalmente la prova che il senso di comunità non è morto nel cuore della più parte di noi.

Persino il ricorso al telelavoro come soluzione temporanea fa percepire con forza la necessità che un “animale sociale” come il genere umano ha di restare in contatto con la comunità ed offrire il proprio contributo secondo il ruolo che occupa. Una necessità che è volontà di mantenere un rapporto umano diretto che, temporaneamente vietato, è talmente radicato nel genere umano ed in particolare per i popoli del bacino del mediterraneo, da sentirlo come una assenza soffocante da surrogare immediatamente in questo tempo sospeso con la tecnologia, pur di fare riunioni ed incontri anche con sconosciuti che avremmo volentieri rimandato nella normalità quotidiana.

Per contro in questa situazione spiccano nella loro insana solitudine anaffettiva, gli arroganti autoreferenti ed i cinici “guerrafondai” della scalata sociale, che mai neppure in questi casi hanno cedimenti oppure sentono emergere una qualche riflessione personale che li faccia tornare allo stato di esseri umani, come accade spesso nell’ampio repertorio della cinematografia americana, ma appunto sono racconti del mito americano.

Più realisticamente, possiamo invece augurarci che dalla crisi Covid19 si uscirà con un ritrovato senso di socialità e solidarietà che isoli e cancelli come un vaccino il vero virus letale costituito da soggetti di tale genere.

Lo slogan “andrà tutto bene” che inizia ad essere virale in questi giorni assume anche questo significato, vale a dire il dilagare di una riflessione su un’etica nuova e non demagogica estesa al nostro modello di vita e di sviluppo, che volga al ritrovato senso di convivenza civile fra persone e non numeri, al rispetto dell’ambiente e degli spazi per la vita quotidiana, al progetto degli spazi pubblici, al disegno delle città, alla semplificazione della vita ed al rispetto della “lentezza” necessaria per non perdere il filo logico dell’esistenza umana.

Un contributo in questa direzione penso lo possa dare anche chi fa il mio mestiere, almeno chi ancora non ne ha perduto le ragioni fondanti o sia disponibile a ritrovarle, quelli che giornalmente con pazienza e dedizione incuranti dei toni urlati, delle vessazioni, degli sprechi, dell’inutile burocrazia, della violenza della tecnocrazia, della fatica per guadagnare il giusto, operano guardando al risultato del proprio lavoro e tenendo al centro la qualità della vita di chi ne fruirà.

Diffondere questo modello sarebbe anche un modo per dare valore all’essenza di una professione dai connotati prevalentemente sociali e ritrovare il rispetto della comunità nei nostri confronti; così come medici e infermieri la stanno ritrovando in questi giorni in cui più nessuno si azzarda a parlare di malasanità, neppure se qualcuno di loro cede temporaneamente alla fatica del lavoro e dello stress. Troppo ci siamo abituati al virtuale e si è dimenticato che la realtà è imperfetta e contempla errori possibili che non posso essere recuperati con il tasto “indietro” e non necessariamente implicano una colpa.

Up sognatori e visionari, Up “semplici” onesti e portatori sani di senso civico, da questa discontinuità storica abbiamo l’occasione di correggere la rotta, non perdiamola, mentre restiamo chiusi in casa abbiamo tempo per pensare come fare.

Tempo per pensare: ecco la chiave!

Photo di andrew gook su www.unsplash.com