Architetti, Ordini, Ordinamento professionale.
Abstract – Al sistema Ordinistico non si deve rinunciare, ma deve tornare ad essere una Rappresentanza Istituzionale e il tempo dello sconfinamento fuori controllo verso rappresentanze di carattere “universale” deve finire, è controproducente per gli architetti. Gli architetti possono ritrovare un ruolo preminente nella società italiana solo con una sinergia tra sistema ordinistico ad iscrizione obbligatoria fortemente improntato al ruolo istituzionale e quello della libera rappresentanza affidato alle associazioni, Istituti e sindacati professionali.
Devo ammettere che quando iniziò a circolare non ufficialmente il testo prodotto dal Consiglio Nazionale Architetti, un paio di mesi fa, pensai che la scelta di tempo fosse piuttosto strana anzi del tutto fuori luogo per quanto stava accadendo: l’ho perciò derubricato a documento a fini elettorali. La motivazione di fondo non la si può escludere, però devo ammettere di aver cambiato idea sulla sostanza del documento. Questo tempo sospeso è in fondo un buon momento per poter ragionare e discutere traguardando la prospettiva anche ad un futuro che per molti aspetti si dovrà confrontare con nuovi approcci e competenze.
Considero quindi che sia stata una fortuna che un testo destinato all’esame degli Ordini Provinciali sia diventato pubblico, la discussione su un tema i cui esiti coinvolgeranno oltre 150.000 architetti italiani si sta svolgendo infatti al di fuori di certe protezioni che spesso le sigillano rispetto alla stragrande maggioranza degli architetti. Tanto è vera la tendenza a non far trapelare nulla, che ad oggi della discussione interna agli Ordini i più nulla sanno ed io sono tra questi.
IN/Arch (Istituto Nazionale di Architettura) ha fatto la propria discussione in ambito Nazionale, discussione ricca, complice appunto la possibilità di moltiplicare gli incontri con videochat e ne ha pubblicato gli esiti in una sintesi molto stretta. A questa analisi ho potuto partecipare mettendo a disposizione la mia lunga esperienza ordinistica, anche se ormai manco da quei consigli da quasi 10 anni.
Anche INU (Istituto Nazioanle di Urbanistica) ha prodotto un proprio interessante documento, l’AIAP (Associazione Nazionale Architetti PAesaggisti) lo ha fatto e penso altre associazioni di architetti delle quali in questo momento non ho ancora notizia.
Questa partecipazione “esterna” è un fatto che costituisce una sostanziale novità rispetto ad altri casi del passato e apre uno scenario nuovo nel rapporto tra il sistema ordinistico e le libere associazioni professionali o di categoria ed è proprio l’argomento che vorrei trattare in questo mio intervento.
Si tratta di uno scenario di grande interesse che peraltro sembra generarsi all’interno della proposta del CNA; è un argomento tutt’altro che semplice ed ha bisogno di molteplici punti di vista e spazio per discuterlo, anche perchè determina parte consistente del nostro vivere quotidiano nella professione.
Armatevi di pazienza dunque per arrivare sino alla fine oppure rinunciate qui.
Il rapporto architetti/Ordine
Non appartengo alla schiera dei colleghi che considerano l’Ordine professionale un istituto inutile, anzi controproducente, da eliminare al più presto. Non l’ho mai pensato e non lo penso ora, tuttavia ritengo che vada riformato o meglio ricondotto alle proprie funzioni istituzionali che contrariamente a quanto molti credono non sono affatto poche o inutili: sempre che siano governate con coscienza e conoscenza del ruolo da interpretare da parte di coloro che lo amministrano.
Molti si lamentano dell’azione degli Ordini ma alla base della lamentela ci sono due ragioni principali, la prima dipende dagli iscritti, la seconda dai Consigli.
La prima deriva dal fatto che ci si aspetti dall’Ordine azioni per le quali non è per struttura e norma delegato a fare quindi delude in maniera cocente, ma la soluzione non è modificarne i compiti attraverso una nuova legislazione, il punto è proprio che non è di natura lo strumento per farlo. Se volessimo usare una immagine, è un po’ come se per andare sui tratturi di montagna volessimo utilizzare una spyder, bella macchina ma è fatta per altri percorsi e per quanto volessimo modificarla non sarà mai un fuoristrada … se volete essere ambientalmente corretti, usate pure per l’esempio una bicicletta da passeggio e una mtb.
La principale di tutte le contestazioni è che non difende gli architetti sul mercato del lavoro e sui compensi, tema emergente anche quando era vigente la tariffa.
Ma questo è un compito sindacale e non dovrebbe essere così difficile comprendere che una Istituzione ad iscrizione obbligatoria che dipende dal Ministero di Giustizia, non può essere un sindacato.
Non può esserlo salvo ci si trovi in un sistema totalitario ed infatti gli Ordini lo furono, ma era l’Italia sotto il regime fascista. In democrazia parlamentare questo compito è assegnato ad altri soggetti, molteplici e ad adesione libera vale a dire i Sindacati di Categoria.
Sbagliano gli architetti a chiedere una difesa sindacale agli Ordini e sbagliano quei consigli che presi dalla frenesia di rispondere all’elettorato lasciano intendere che se ne faranno carico. Sul mercato del lavoro non hanno titolo a intervenire, gli Ordini portano infatti lo stesso nome ma, per fortuna, non sono più quelli dell’Italia del Littorio.
Su analogo gigantesco equivoco regge la seconda ragione, questa a carico dei Consigli degli Ordini. Un equivoco ampiamente alimentato da chi in questi ultimi anni gli ordini li sta governando e che accecato dall’aver avuto un mandato elettorale, dimentica di governare pro tempore un organismo ad iscrizione obbligatoria che non può pensare di poter rappresentare politicamente né in senso generale né in campo professionale.
Per le stesse ragioni già richiamate, non potrebbe essere così neppure se gli architetti partecipassero con percentuali bulgare alle elezioni, alle quali invece si presentano nelle migliori delle ipotesi intorno al 20% degli aventi diritto. A cascata, l’espressione di quel 20% cioè i Consigli eletti, votano il Consiglio Nazionale che è dunque un organismo di secondo livello che certo può dirsi rappresentante dei Consigli provinciali ma non degli architetti.
La rappresentanza universale è dunque esclusa di nome e di fatto.
E’ questo un elemento cruciale sul quale devo esprimere apprezzamento per la proposta del Consiglio Nazionale, perché nella proposta prende le distanze dall’equivoco della rappresentanza universale ma ribadisce per sé e per i Consigli provinciali un dato già presente ma spesso dimenticato dell’attuale ordinamento. I Consigli provinciali ed il Consiglio Nazionale sono titolari della “rappresentanza istituzionale” della categoria degli architetti.
Dunque rappresentanza “istituzionale” e non rappresentanza universale o politica.
In questi campi la forma è sostanza e molti consiglieri e presidenti dovrebbero rileggere con attenzione le norme istitutive, quelle già vigenti e ribadite dal CNA, e conformare i propri comportamenti e politiche anch’esse istituzionali.
Tornando quindi alla interpretazione errata del ruolo dei rappresentanti eletti nei Consigli degli Ordini, osservo che negli ultimi anni è invalsa invece la tendenza a sconfinare non di qualche grado rispetto ai compiti istitutivi, cosa che non darebbe disagio ad alcuno se fatta con equilibrio e parsimonia, ma di considerare come principale l’azione fuori dai limiti e compiti istituzionali, compiti che forse non sono neppure presi in considerazione.
Si “inventano” così attività e ruoli anche incompatibili con l’istituzione ordinistica che peraltro incidono fortemente sui bilanci, accrescendoli a dismisura, per attuare operazioni di dichiarata “promozione della professione” ma che quasi sempre sono semplici spese a carico degli iscritti; a volte si traducono persino in azioni di management con rischio di impresa cosa che è ancor più incompatibile con l’istituzione ordinistica.
Si può tollerare una situazione di tale genere per una Istituzione per la quale l’iscrizione è obbligatoria ed il contributo annuale è dovuto salvo l’applicazione di sanzioni disciplinari?
Penso che questa sia una deriva che non può più essere tollerata e il Ministero che ha il controllo dell’Istituzione la dovrebbe sanzionare.
Ma forse è proprio ad evitare un tracollo di tale genere che il Consiglio Nazionale ha richiamato con puntuale precisione nel proprio documento il principio formativo, la natura e il limite della rappresentanza ordinistica.
Peraltro, se volessimo osservare quanto accade per le altre professioni, potremmo notare facilmente, per ciò che si conosce del quadro generale dei sistemi ordinistici, che una tale deriva istituzionale è ben leggibile nel sistema degli architetti ma appare assente per ogni altra professione in modo particolare per quelle considerate dalla Comunità Europea di valore ed interesse sociale.
Qual è dunque la conseguenza diretta per gli architetti? Non solamente che il compito e l’azione istituzionale sia deludente e di scarsa efficacia, ma che la confusione generata verso gli interlocutori istituzionali esterni, mina l’autorevolezza della rappresentanza istituzionale ordinistica stessa, che viene percepita come evanescente e ondivaga.
Tutto ciò ricade direttamente sugli architetti, anch’essi accomunati nel giudizio … salvo non si tratti di nomi altisonanti e “fuori dalla mischia”.
La dicotomia architetto vs archistar prende le mosse anche da qui.
Sistema Ordinistico e libere associazioni
Questa situazione, già di per se stessa negativa per gli architetti, apre ad un terzo fattore di debolezza rispetto al sistema sociale, al lavoro, al riconoscimento valore della propria professione.
Lo sconfinamento dei compiti ordinistici, insieme con la scarsa propensione degli architetti a considerare modelli professionali e/o rappresentativi di carattere associativo, ha limitato e limita la forza contrattuale e culturale della professione dell’architetto.
E’ sufficiente osservare la situazione delle altre professioni ordinistiche per avere qualche indicazione in merito. In presenza di una rappresentanza istituzionale ordinistica che si mantiene sostanzialmente all’interno dei propri limiti, sono cresciute parallelamente organizzazioni di rappresentanza sindacale, di specializzazione e culturali che promuovono efficacemente il sostegno delle professioni in questione. Hanno voce in capitolo e sono consultate nelle decisioni che hanno rilevanza per le professioni; sono inoltre sostenute dagli aderenti poichè si tratta di una loro libera scelta, quindi l’orientamento di politica professionale della rappresentanza dipende da loro stessi. L’associazionismo non è stretto dalle legislazioni specifiche per gli enti a controllo pubblico necessarie per organizzazioni con obbligo di iscrizione, dunque può organizzarsi più liberamente ed efficacemente.
Ciò non impedisce loro di potersi schierare a fianco dell’Ordine di riferimento in caso di questioni che riguardino il ruolo specifico dell’istituzione ordinistica: infatti spesso se ne legge sui giornali.
Questo processo per gli architetti non è avvenuto o è avvenuto in modo limitato benché siano presenti associazioni e istituti che hanno ormai storia ed autorevolezza nel quadro della rappresentanza degli architetti.
Se inoltre osserviamo la situazione degli architetti (e dell’architettura) in Italia, nel resto d’Europa e non solamente, ci accorgeremmo che in nessun luogo al mondo, architetti ed architettura sono così marginali come ormai da anni accade in Italia.
Eppure gli Ordini o organizzazioni simili esistono in tutte le parti del mondo, non sono necessariamente ad iscrizione obbligatoria, ma nei molti casi in cui lo sono convivono con una articolata struttura di associazionismo anche di carattere sindacale.
Non voglio dire che la debolezza degli architetti italiani sia tutta concentrata in questo aspetto, perché peraltro contraddirei ciò che ho sempre sostenuto e che ancora oggi sostengo, vale a dire il fatto che ritengo utile agli architetti avere a disposizione una organizzazione che “tenga insieme” tutti gli architetti. Per contro non vi è ragione utile per gli architetti nel fatto che tale organizzazione, l’Ordine, sia preminente e dilaghi su tutto l’ambito di competenza del sistema dell’architettura.
Torno qui all’accenno iniziale sulle organizzazioni professionali che hanno per prime e forse “non autorizzate” espresso opinioni e rivendicazioni in alcuni casi.
Si tratta di organizzazioni direi ormai storiche come IN/Arch ed INU, altre più recenti come AIAP o INBAR, sindacati di categoria, associazioni di carattere locale, un sistema di rappresentanza libero e vero in alcuni casi su aspetti specifici altri di più ampio spettro che può realmente affermare di rappresentare i loro iscritti perché sono liberi di rinunciare all’adesione se perdessero la fiducia o l’interesse in quelle organizzazioni, senza perdere possibilità di esercitare la propria professione.
Una differenza non da poco che evidenzia in modo semplice la giusta, anche se obbligata, sottolineatura del Consiglio Nazionale:
- “L’ordine provinciale svolge la funzione di rappresentanza istituzionale degli iscritti e promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni.” Capo terzo Art.21 comma 2;
- Il CNA “ha in via esclusiva la rappresentanza istituzionale degli architetti a livello nazionale, e promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni competenti;” Capo terzo Art.29 comma 1 lettera a
La sottolineatura è chiara e riporta le cose al loro posto, mettendo una forte ipoteca sul controllo dello sconfinamento degli Ordini che negli ultimi anni hanno ecceduto nell’uscire dai loro compiti istituzionali. Forse l’azione potrebbe anche derivare dal sentore di un intervento degli organi di controllo vale a dire del Ministero di Giustizia.
Ma tutto ciò comporta una diminutio per i compiti degli Ordini?
Io penso di no, anzi valorizza il loro lavoro, la capacità di essere Istituzione, di avere voce in capitolo su temi centrali.
Sovrintendere ai limiti e competenze dell’esercizio professionale non è un compito né da poco né inutile, è difesa dell’ambito di lavoro degli architetti (ma non è contrattazione sindacale); essere garanti del passaggio dal momento della formazione universitaria a quello della professione attraverso i tirocini è ancora un compito piuttosto importante; promuovere e gestire il corretto aggiornamento e formazione continua degli architetti nel corso del loro progredire professionale; vigilare che l’esercizio della professione sia condotta correttamente e nel rispetto del ruolo sociale della nostra professione promuovendo indipendenza e decoro professionale; essere organo dirimente sulla coerenza e legittimità dei compensi professionali; avere ruolo di composizione di liti professionali; coordinarsi con enti corrispettivi di altre province per armonizzare gli approcci e essere interlocutore di istituzioni su questione di carattere legislativo e formativo … non sembrano proprio compiti di second’ordine o inutili.
Dunque mettere in atto le prerogative dell’istituzione, oltre ad organizzarsi per sostenerne i compiti attraverso un centro studi sulla professione e gli effetti delle legislazioni di settore sulla professione stessa affiancato da un consistente ufficio legale di analisi, sarebbero compiti per i quali gli architetti potrebbero trarre vantaggi considerevoli soprattutto in ambito dell’armonizzazione legislativa e in nel campo di un processo che renda omogenee le interpretazioni e applicazioni delle leggi del nostro settore.
Le altre attività siano lasciate alle libere associazioni che in modo più dinamico e puntuale possono rappresentare gli architetti per la loro specificità e specializzazione o declinazione culturale o ancora sindacale con gli strumenti e le azioni che il sistema democratico consente loro di mettere in campo.
Una sinergia fra libere associazioni e istituzione sarà sempre possibile ed il rapporto sarà chiaro e privo di zone d’ombra.
Ci sono molti spunti di discussione nella proposta organica di riforma dell’ordinamento professionale, quello che ho inteso trattare è certamente quello che racchiude molti altri temi. A questi altri penso di dedicarmi nel prossimo futuro.